Milioni di italiani proprietari di casa che si vedranno decurtare dalle tasche fior di quattrini non hanno fatto, probabilmente, ancora i conti con la realtà. Ben più amara di quanto ci si attenda. Già dev’esser stata dura scontrarsi con l’introduzione dell’Imu. Ma, posto che il boccone sia stato ingoiato, ne arriverà ben presto uno più grande. Per alcuni, almeno. Per molti. Attualmente le aliquote dello 0.4% sulle prime case e dello 0,76% sulle altre si applicano alla rendita catastale moltiplicata per un coefficiente pari a 160. Rispetto all’Ici, che contemplava una rivalutazione della rendita del 5% e la moltiplicazione per un coefficiente pari a 100, si tratta, in sostanza, di una maggiorazione del 60%. Ed ecco l’ulteriore brutta notizia: il governo intende riformare il catasto, i cui valori sono fermi al ‘92 e stabilirne di nuovi in modo tale che il valore dichiarato degli immobili sia corrispondente a quelli di mercato. Sarà, quindi, una stangata indiscriminata? Ilsussidiario.net lo ha chiesto a Gianni Trovati, giornalista de Il Sole 24 Ore, esperto di finanza ed enti locali. «Va detto, anzitutto – spiega -, che ci metteranno anni. Si tratta di una riforma complicata, dato che occorrerà individuare criteri oggettivi e non contestabili attribuibili a tutti gli immobili italiani; e tra ricorsi e contenziosi passeranno, almeno, 4 o 5 anni». Fatta questa premessa, «l’idea – continua – è quella di ridistribuire il carico fiscale, aumentandolo nelle zone che negli anni si sono rivalutate e diminuendolo dove il mercato, con il tempo, ha perso di vivacità, e gli immobili soffrono di appesantimenti fiscali che si discostano dalla realtà».
Resta da vedere se la promessa di mantenere il gettito invariato di cui ha parlato il governo sarà mantenuta. «C’è una clausola di salvaguardia che lo impone. Una volta fatta la riforma, quindi, sarà necessario modificare le aliquote in modo da mantenere l’equilibrio». La clausola di salvaguardia, sottolinea Trovati, non può saltare. «Al limite, data la complessità dei cambiamenti, potrà funzionare poco». Tale complessità è data dal fatto che si dovrà passare da criteri, decisamente farraginosi, a metodi più semplici. Ecco gli attuali, in estrema sintesi: «Il primo riguarda la categoria abitativa che, ad esempio, può essere popolare, residenziale, signorile, ecc.; altro criterio, sono i vani catastali. Dipendono dalla mappatura e non corrispondono ai vani reali. Ad esempio, un bilocale non tiene conto del bagno e della cucina. Per la cantina, il balcone e le varie pertinenze, poi, ci sono altri criteri ancora». Come se non bastasse, «i criteri dei vani cambiano da comune a comune». Infine, «ciascuna tipologia immobiliare ha una specifica tariffa d’estimo, che varia a seconda del comune. Dalla tariffa d’estimo rivaluta e moltiplicata per i vani si ricava la rendita. Questa, moltiplicata per 160, per le abitazioni, dà la base imponibile per le aliquote».
Ecco l’intento della riforma: «Al posto dei vani, il nuovo sistema dovrebbe tenere in considerazione la metratura effettiva e introdurre modalità più semplici ed efficaci per determinare la base imponibile. A quel punto, per mantenere il gettito invariato, sarà necessario ritoccare le aliquote». Difficile, se non impossibile stabilire cosa cambierà per il cittadino medio. «In questo caso, la categoria “cittadino medio” non esiste. I casi varieranno di città in città e a seconda dell’immobile; per alcuni, in sostanza, si determineranno pesanti aggravi, per altri degli alleggerimenti».
(P.N.)