Sul fronte della famigerata imposta comunale sugli immobili, potrebbe arrivare una lieta notizia. Potrebbe. Se sarà recepita una delle proposte che stanno circolando tra le bozze dei decreti fiscali, qualcuno sarà sollevato dal pagamento del pesante fardello. L’idea è quella di non farlo pagare, per due anni, a chi, da qui in avanti, acquisterà la sua prima abitazione. A patto, tuttavia, che l’importo non superi i 200mila euro. Una misura del genere potrebbe, così, agevolare le giovani coppie nell’acquisto di una casa e, al contempo, agevolare il settore immobiliare, tra quelli che, attualmente, stanno maggiormente risentendo della crisi. Il suggerimento sembra animato dai più nobili intenti. Tuttavia, Pierluigi Rancati, segretario regionale lombardo del Sindacato Inquilini Casa e Territorio – Cisl, spiega a ilSussidiario.net perché non è del medesimo avviso. «Sono totalmente in disaccordo – dice -. L’idea che ancora non riesce ad abbandonare la politica abitativa nazionale, secondo cui la migliore scelta immobiliare sia quella di promuovere e sostenere l’acquisto della casa, è fuori mercato e fuori tempo massimo». Fondamentalmente, per due motivi: «Anzitutto, gli elevati prezzi, nonostante il periodo di crisi che stiamo attraversando, continuano a non calare. Inoltre, il mercato del lavoro di oggi, spesso, richiede una certa elasticità in termini di spostamenti e la disponibilità a essere trasferiti in luoghi diversi per diversi periodi. L’assenza di mobilità che conferisce il possesso di una casa, contrasta con le dinamiche che, volenti o nolenti, il mercato occupazionale sta sempre più assumendo. E, sotto questo profilo, contribuisce ad aumentare o a mantenere le ineguaglianza regionali».
Va da sé che, secondo Rancati, il governo dovrebbe agire in una direzione opposta: «Servirebbe rilanciare il mercato dell’affitto. Attraverso, ad esempio, una politica di prelievi fiscali finalizzata a contrastarne il declino. Si potrebbe incentivare, da parte dei costruttori, o dei proprietari di seconde case, la messa in locazione degli alloggi realizzati. Una politica che, invece, a fronte della caduta degli scambi sul comparto immobiliare della compravendita tenta di incentivare gli acquisti, ormai, è inutile». Contestualmente, sarebbe opportuno «favorire la ripresa del settore immobiliare attraverso un finanziamento pubblico che abbia come obiettivo la realizzazione di un piano-casa di edilizia residenziale pubblica».
Tutto ciò dovrà avvenire a certe condizioni: «Abbiamo vissuto 12 anni di euforia del mercato immobiliare in cui nessuno si è mai sognato di chiedere agli operatori, considerando le elevatissime rendite di cui hanno potuto beneficiare grazie all’intervento dello Stato, di compartecipare, per una quota minimamente significativa, a un intervento sul ramo più debole del settore. L’unico fine che si è sempre perseguito era quello di blandire gli operatori privati con agevolazioni di ogni genere. Senza che lo Stato ne ricevesse in cambio nulla».
In Italia, i cittadini, tradizionalmente hanno sempre investito nel mattone. Se avevano dei soldi da parte, li usavano per comprare casa. Se tale forma di investimento viene disincentiva, resta da capire in quale direzione si potrebbero orientare gli investimenti degli italiani. «Sono possibili svariate altre forme di investimento. Magari, nel capitale di rischio per lo sviluppo del un settore industriale che, nel nostro Paese, ha profondamente bisogno di un nuovo afflusso di liquidità».
(P.N.)