Tra il fallimento di Lehman’s Brothers (l’evento che ha originato la Grande crisi) e la crisi dei debiti sovrani, le caratteristiche italiane rispetto ai propri titoli decennali hanno subito una modifica. Il nostro Paese, infatti, si è spostato da un’area di contagio «che la vedeva maggiormente coinvolta con i Paesi periferici dell’area euro (Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda) ad un’area che la vede più fortemente interconnessa con i paesi “core” (Germania e Francia)». E’ il frutto di uno studio effettuato dalla Consob, secondo il quale «contrariamente alle attese, nell’ultima crisi del debito sovrano che ha avuto inizio alla fine del 2010 l’Italia non ha assorbito i maggiori impulsi di contagio dai paesi più vulnerabili ed esposti (come ci si aspettava), ma è risultata particolarmente sensibile agli impulsi che provenivano dai Paesi forti e stabili dell’area».
Non è tutto. Per gli analisti della Commissione nazionale per le società e la Borsa, l’Italia, benché disponga di fragilità strutturali, non rappresenterebbe, di per sé, un centro di contagio. Piuttosto, sarebbe «sistematicamente al centro di importanti connessioni di contagio che la vedono come Paese target, evidenza questa di una abnorme penalizzazione del Paese a motivo più della sua fragilità reputazionale che dei suoi fondamentali economici». Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari presso l’Università Cattolica di Milano, ci spiega perché non è d’accordo con questa analisi.
Tanto per cominciare, cosa si intende per contagio?
Quando un Paese detiene dei titoli di un altro Paese che non è in grado di onorare il proprio debito, e il primo viene trascinato nel baratro dal secondo, siamo in una situazione di contagio.
Cosa ne pensa delle considerazioni della Consob?
Tutte le interpretazioni sull’ipotesi che un singolo Paese possa rappresentare una fonte di contagio non tengono semplicemente conto di come tale contagio si è effettivamente propagato.
Ovvero?
L’unico fattore realmente contagioso è stato rappresentato dalla Grecia. Non è un caso che si è iniziato a parlare di spread quando la Merkel e Sarkozy decisero di imporre perdite a chi deteneva dei titoli greci. Da allora, chiunque avesse avuto titoli di paesi dell’Eurozona considerati deboli, ha iniziato a pensare di essere il prossimo a rischiare il default. E a vendere.
Di per sé, quindi, l’Italia può rappresentare un fattore di contagio o no?
Abbiamo un debito di 2mila miliardi. E’ assurdo pensare che, se per un qualunque motivo, non dovessimo essere in grado di onorarlo, gli altri paesi potrebbero andare avanti serenamente. Tuttavia, tale contagio non derivava dalle debolezze dei singoli paesi. L’Italia, infatti, non ha alcun dato macroeconomico differente dal passato, salvo il debito non garantito.
La Consob parla anche di fragilità reputazionale.
Non c’entra assolutamente nulla. Abbiamo visto che quando è andato via l’uomo “reputazionalmente” peggiore, e quando è arrivato quello “reputazionalmente” migliore, non è cambiato niente. Anche con Monti, infatti, lo spread ha ripreso ad aumentare per ben due volte, e sarebbe continuato ad aumentare all’infinito.
Cos’è intervenuto, nel frattempo?
La Bce. Inventandosi prestiti illimitati, prima, e annunciando che avrebbe comprato titoli di Stato per mantenere in piedi l’Eurozona, poi.
Se i nostri fondamentali economici non sono cambiati, perché eravamo più a rischio?
A causa dell’effetto domino. E’ come se, mentre una nave stesse affondando i passeggeri si recassero sui ponti più alti per salvarsi. Affogheranno più tardi, ma affogheranno. In sostanza, dopo Grecia, Spagna e Portogallo ci saremmo stati noi.
Dopo l’intervento di Draghi, siamo ancora messi male come prima?
Nel momento in cui la Bce affermasse che non intende più acquistare titoli di Stato, quelli dei paesi a rischio riprenderebbero a essere venduti compulsivamente.
(Paolo Nessi)