SPY FINANZA/ Da Grecia e Spagna un allarme (anche) per l’Italia

- Mauro Bottarelli

Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, ha lanciato un allarme sull’Europa che non va affatto trascurato. Ci spiega perché MAURO BOTTARELLI

grecia_bandiera_samarasR400 Infophoto

Il giochino ora comincia a farsi pericoloso. L’altro giorno, il membro del board della Bce, Benoit Coeure, è tornata a parlare di manovre di stimolo, nella fattispecie dell’ipotesi di una nuova asta di finanziamento Ltro. Bene, le sue parole sono condivisibili ma peccano, a mio modo di vedere, di realismo. Ecco cos’ha detto: «Dobbiamo essere sicuri che queste cose accadano in un ambiente nel quale il denaro divenga utile e trovi il modo di fluire verso l’economia reale. Vogliamo essere certi che quando offriamo prestiti alle banche, questo serva a uno scopo». Sottolineando come «la Bce non può dire alle banche come usare il denaro che prendono in prestito, perché intervenire sull’allocazione del credito andrebbe oltre il nostro mandato», Coeure pare molto chiaro: niente denaro se non c’è la certezza che vada a famiglie e imprese. E in questo momento, con le sofferenze ai massimi, gli stress test alle porte, la supervisione unica e i requisiti di Basilea III, c’è la certezza che quel denaro non andrebbe a finanziare l’economia reale ma a tamponare le falle di capitale e le ratio.

Di più, Coeure conferma come l’offerta di liquidità da parte delle banche centrali «può creare eccessivi atteggiamenti rischiosi da parte delle banche, le quali potrebbero investire quei soldi in assets che non contribuiscono alla trasmissione di politica monetaria, come ad esempio l’acquisto di bond governativi». E qui Coeure vince il premio per il miglior dissimulatore dell’anno: «Dobbiamo stare allerta ed essere pronti ad agire se necessario e per questo consideriamo tutti gli strumenti. L’acquisto di asset su larga scala è possibile, è uno strumento che la Bce può usare perché non infrange nessun trattato. Non vedo le prospettive attuali dell’inflazione, però, come richiedenti questa azione». Insomma, la Bce può comprare e può prestare, ma non lo farà perché l’inflazione non lo richiede e perché non ci sono le condizioni per cui le banche prestino quel denaro a imprese e famiglie. Come può reagire, a vostro modo di vedere, un investitore a questi concetti?

Ora, la Bce prevede che l’inflazione salga all’1,1% nel 2014 e all’1,3% nel 2015, quindi ben al di sotto dell’obiettivo prefissato del 2%: cosa ci vuole perché l’Eurotower intervenga con gli acquisti, tassi di inflazione negativi? Ma si sa, in un mondo di spread anestetizzati artificialmente a dispetto dei dati macro, va bene tutto. Il mercato secondario per i bond periferici è ormai una sorta di deserto, si compra solo alle aste e lì le banche la fanno da padrone, visto che il continuo aumento del trend di detenzioni di obbligazioni governative nei portafogli. Ma quanto può durare questa pantomima? Poco, ve lo assicuro. Non per altro, ma perché quando ho letto le ultime dichiarazioni di Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, a un Forum tenutosi l’altro giorno a Bruxelles, mi si è un po’ gelato il sangue.

La Lagarde ha detto chiaro e tondo che la Bce deve «prendere misure preventive per alleviare il credit crunch verso le piccole e medie aziende e scongiurare il rischio di deflazione». Per l’ex ministro francese, «è prematuro cantare vittoria, visto che i governi dell’Ue potrebbero dover passare da misure di austerity a politiche di stimolo fiscale per far ripartire la crescita ed evitare danni permanenti all’economie sottostanti». Vi rendete conto, la Lagarde! Il capo dell’Fmi, parte di quella troika che fino a ieri imponeva unicamente austerità, ora lancia l’allarme crescita e deflazione! E ancora: «C’è il rischio di un circolo vizioso in cui domanda depressa e investimenti stagnanti si alimentino tra di loro». Non vi basta? Voilà: «Può una crisi essere finita quando il 12% della forza lavoro è senza occupazione? Quando la disoccupazione giovanile è a doppia cifra e sta superando il 50% in Spagna e Grecia?». Sembra quasi che quelle ricette suicide che finora ci hanno portato a questo le abbia imposte io…

Ma a far capire l’imminenza di una nuova crisi, questa volta letale per l’eurozona, se non si interviene e subito, sono le altre dichiarazioni della Lagarde: «La crescita non è stata bilanciata all’interno dell’eurozona e potrebbe non essere sostenibile. Ci sono sacche di forte crescita e alta occupazione, come in Germania, ma la crescita sta declinando altrove. Molta della domanda per beni e servizi europei arriva dall’estero e non dall’interno, lasciando l’economia in balia dei su e giù del commercio globale. L’unica soluzione durevole è una crescita che non si basi solo sull’export forte ma su una robusta ripresa della domanda interna». E qui l’appello alla Bce ad agire preventivamente, «trovando un modo per aiutare le piccole e medie imprese, magari seguendo la ricetta della Bank of England del “Funding for Lending”, trovandone un aggiustamento funzionale». Quanti mesi fa avevo scritto che quella ricetta era l’unica che potesse garantire al meccanismo di trasmissione del credito di ripartire? E guardate che anche le isole felici rimandano sinistri segnali, visto che la produzione industriale in ottobre è calata sia in Germania che in Francia.

Ma prendiamo la Spagna, la quale gli scorsi 22 novembre e 5 dicembre ha visto l’outlook del proprio rating di credito sovrano innalzato da negativo a stabile sia da Standard&Poor’s che da Moody’s. Insomma, altra certificazione di uscita dalla crisi. Ma siamo proprio sicuri? La Spagna ha il secondo tasso di disoccupazione dell’Ue, prima di lei solo la Grecia e Il Fondo monetario internazionale prevede che la percentuale dei senza lavoro non scenderà sotto il 25% fino al 2018, ma, anzi, potrebbe salire ancora. Il reddito medio è crollato a 23.123 euro nel 2012, contro i 25.556 del 2008, dato dell’Istituto di statistica, con il 22,2% degli spagnoli a rischio povertà, come confermato da Eurostat.

E le banche? Le sofferenze bancarie a settembre sono salite al 12,68% del totale dei prestiti, il peggior dato dal 1962, ovvero da quando la Banca di Spagna lo monitora. I default come proporzione dei mutui totali erogati sono saliti al 5,2% nel secondo trimestre di quest’anno, contro il 3,2% dell’anno prima. E il mercato immobiliare, così strettamente legato al settore bancario? I prezzi delle case sono crollati del 28,2% dai massimi, nel mese di settembre sono stati concessi solo 15mila mutui contro i 129mila del settembre 2005, il picco della bolla zapateriana. Stando a Standard&Poor’s, da qui alle fine del 2014 i prezzi delle case potrebbero scendere di un altro 13%: forse è a fronte di questa brillante prospettiva che hanno innalzato il rating di credito…

E la società spagnola? La cosiddetta “economia sommersa” pesa per il 18,6% del Pil stando all’analisi dell’Institute of Economic Affairs, pari a circa 183 miliardi di euro e nella classifica della corruzione percepita di Transparency International la Spagna ha perso 6 punti scendendo a quota 59: solo la Siria ha subito un calo maggiore. Insomma, a parte queste inezie, la Spagna sta benone ed è fuori dalla recessione.

E la Grecia? Guardate questo grafico: la deflazione nel Paese non è mai stata peggio di oggi. E nonostante i giornali abbiano strepitato rispetto l’uscita dalla recessione nel terzo trimestre, l’export è sceso del 12,2% in ottobre, con un calo del 20% delle spedizioni marittime fuori dall’Ue, chiaro segnale che la forza dell’euro sta bloccando qualsiasi tipo di ripresa. Gli investimenti sono scesi del 12,6% e sono al -68% dal picco del 2007, mentre sempre in ottobre la produzione industriale è scesa del 5,2%, un deterioramento netto dal -1,35% di settembre.

 

Per Dmitris Drakopoulos di Nomura, «è naturale aspettarsi che la Grecia ritorni in recessione nel quarto trimestre di quest’anno e nel primo del prossimo». E nonostante si brindi da più parti all’avanzo primario che si starebbe generando, in maggio la Grecia dovrà ripagare 10 miliardi di euro ai propri creditori: quindi, o si genera da qui a sei mesi un surplus mostruoso o facilmente i creditori europei del Paese dovranno immettere nuovo capitale fresco per evitare un’altra crisi. Ma c’è qualcos’altro che dovrebbe farci riflettere, a tale riguardo. Mentre il mondo saluta come una vittoria l’annuncio da parte di Stournaras dell’avanzo primario nel bilancio che continua a crescere, un recente studio ci dimostra proprio come le nazioni in condizioni simili alla Grecia siano più a rischio di fare default proprio nell’anno in cui raggiungono un surplus primario di budget, ovvero quando sono meno dipendenti dai creditori. Detta molto alla buona, il governo greco ha molta meno incentivazione a pagare e rinegoziare con i suoi creditori, quando non ha più bisogno di prendere a prestito da loro per mantenere in piedi il Paese.

Come saprete, l’avanzo primario del bilancio statale altro non è che la differenza fra la spesa pubblica e le entrate tributarie ed extra-tributarie, esclusi gli interessi da pagare sul debito. In altre parole l’avanzo primario è la somma disponibile per pagare gli interessi sul debito pubblico (Bot, Cct, ecc.) ed eventualmente per ridurre questo debito. Il problema è che una volta arrivato all’avanzo primario, il governo greco potrebbe essere meno incentivato a pagare i creditori, visto che formalmente non necessita di prendere di nuovo a prestito da loro per far funzionare lo Stato.

Guardate questo grafico: con esso, Geo-Graphics dimostra come tutte le nazioni terminate in condizioni simili alla Grecia in passato abbiano fatto default non appena l’avanzo primario fosse diventato positivo. Per la Grecia, la data potrebbe essere il 2014, ovvero l’anno prossimo. Se così sarà, cosa succederà ai rendimenti delle obbligazioni sovrane degli altri paesi periferici, Italia e Spagna comprese? Ecco spiegato, forse, l’irrituale e allarmato intervento di Christine Lagarde. Qui si sta scherzando col fuoco.

 

 







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