IDEE/ Stato, regioni e comuni: le leggi per far più belle le nostre case

- Claudio Pianegonda

CLAUDIO PIANEGONDA spiega quali sono gli strumenti normativi, le procedure e gli investitori maggiormente titolati per varare un piano nazionale di ristrutturazione edilizia

palazzo-casa-condominio-appartamenti-imu foto:Infophoto

Nell’articolo precedente è stato detto che, diversamente dai decenni di grandi edificazioni che ci hanno preceduto, l’edilizia del futuro dovrà riguardare la rigenerazione urbana, la ristrutturazione edilizia e la messa in sicurezza del territorio. Come perseguire questo processo per favorire uno sviluppo ordinato e sostenibile? Abbiamo già osservato che il Piano Casa Berlusconi e l’art. 5 del Decreto Sviluppo del 2011 sono strumenti per molti versi insufficienti o comunque poco consoni a un patrimonio immobiliare estremamente frazionato come quello italiano.

Per migliorare la qualità dei nostri centri abitati, il legislatore nazionale dovrebbe riattualizzare la normativa sui comparti e sui piani particolareggiati di cui alla legge 1150 del 1942, nonché quella sui piani di recupero di cui alla legge 457 del 1978 e quella di altri “strumenti” previsti da leggi emanate negli anni Novanta. Dall’approvazione di tali leggi fino a oggi la situazione del nostro Paese è profondamente cambiata e in parallelo sono mutate le condizioni della popolazione.

Una nuova legislazione, all’insegna di un giusto equilibrio tra tutela della proprietà privata e funzione sociale della stessa, dovrebbe consentire di superare con fermezza quelle inerzie originate da interessi contrapposti ed egoistici. I provvedimenti dovrebbero disporre una dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dei piani di intervento per gli immobili e le aree degradate o ad alta pericolosità idraulica. Ciò permetterebbe di ricorrere all’esproprio in tante situazioni di inerzia di proprietari, naturalmente tutelando poi gli abitanti degli edifici da “rottamare”.

Le leggi regionali di attuazione dovrebbero poi inaugurare piani urbanistici da attuare in collaborazione tra pubblico e privato, coinvolgendo anche il mondo bancario e prevedendo la possibilità di accesso a fondi comunitari. Quali i soggetti privati da coinvolgere? Penso prioritariamente alle imprese edili di una certa dimensione, con un numero congruo di operai regolarmente assunti e un know how adeguato, che sono quelle che più hanno sofferto l’attuale crisi. Naturalmente andrebbero coinvolte le Aziende Territoriali per l’edilizia residenziale pubblica, oltre che le cooperative edilizie, anche per aggregare in modo fattivo i cittadini e contribuire a sciogliere l’intreccio di veti che sempre emergono in tali operazioni, e i fondi immobiliari.

Ai comuni va dato il compito di individuare le aree degradate, gli edifici da trasferire, perché edificati in ambiti a rischio idro-geologico o di tutela ambientale, le zone e gli immobili da mettere in sicurezza o da risanare, le zone dove ricollocare le volumetrie degli edifici abbattuti. Va poi data ai comuni la possibilità di utilizzare un minimo di risorse necessarie per conseguire un ruolo di protagonisti del risanamento del territorio e di sviluppo dell’economia locale.

I piani attuativi, che dovranno avere come obiettivo il perseguimento della qualità urbana e di un elevato gusto estetico degli edifici, non dovranno essere calati dall’alto, ma avviati a seguito di proposte provenienti dal basso e soprattutto attuati con processo partecipativo, con un ruolo importante degli operatori privati, previamente selezionati con evidenza pubblica, sotto il controllo delle amministrazioni locali.

Si tratta in sostanza di ridisegnare il sistema, pensando per la mano pubblica non un ruolo di factotum, ma di valutatore delle performance. Le regioni dovrebbero stabilire tempi certi di avanzamento dei programmi, che i comuni dovranno far rispettare. Sempre alle regioni sta poi prevedere, in caso di ritardo nell’avanzamento delle procedure, la nomina di commissari ad acta, stabilire modalità per la messa a disposizione di alloggi parcheggio, dare disposizioni per interventi nell’ambito di edifici residenziali pubblici e stabilire le quote di volumetria da destinare all’edilizia sociale e convenzionata. Altre condizioni per la realizzazione di questi nuovi programmi d’intervento dovrebbero essere una fiscalità equa e non eccessiva e il perseguimento di evidenti obiettivi sociali.

Obiettivo di tali piani di intervento dovrà essere la pianificazione e la programmazione del territorio da riordinare, l’avvio del processo di riqualificazione urbanistica sotto l’aspetto della sicurezza idraulica, dell’adeguamento delle urbanizzazioni, del reperimento dei necessari standard urbanistici, della messa in sicurezza degli edifici e il loro miglioramento estetico con importanti lavori di ristrutturazione edilizia. In questo quadro una parte del premio volumetrico potrebbe essere finalizzato per rinvenire alloggi per la locazione a canoni moderati in modo da rispondere al bisogno abitativo di chi non ha neppure una casa da ristrutturare.

Rispetto ai piani delle città del governo Monti, che stentano ad avanzare, questa proposta prevede azioni estese a tutti i comuni caratterizzati da tali problematiche, un ruolo più attivo per gli operatori del settore e l’effetto moltiplicatore che può esserci con il coinvolgimento di risorse private. La ripresa del nostro Paese non può certamente provenire da un solo settore, neanche dall’edilizia, seppure da molti economisti sia considerata il volano per eccellenza dell’economia, ma questo vasto processo di rigenerazione e riabitazione urbana è anche importante perché va a migliorare il vero patrimonio dell’Italia, dato dalle nostre belle città.

 

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