Al suo ultimo Consiglio europeo da presidente del Consiglio, Mario Monti torna con convinzione a parlare di crescita, obiettivo raggiungibile (a suo dire) utilizzando appieno i margini di flessibilità presenti nel Patto di stabilità e nel trattato di bilancio (Fiscal Compact). Proprio attraverso tale flessibilità, l’Italia potrà deviare dall’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio per attuare investimenti pubblici produttivi per la crescita, pur restando comunque sotto la soglia del 3% nel rapporto deficit/Pil. Il vero problema, fin da subito evidente agli occhi di tutti, è che in realtà non c’è alcuna novità: quanto avvenuto in queste ultime ore, infatti, non ha fatto altro che confermare quel principio già sancito dal Consiglio Ue di metà dicembre. Insomma, un “copia e incolla” che, di fatto, non porta ad alcuna svolta sostanziale. “Dopo questa conferma – ha però affermato il ministro per le Politiche europee Enzo Moavero, anche lui presente a Bruxelles – può partire il lavoro di attuazione”. Carlo Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, contattato da ilsussisiario.net, si dimostra estremamente scettico: «Bisognerebbe innanzitutto chiedersi con che titolo Monti si è recato a parlare e negoziare al Consiglio europeo – ci dice Borghi – visto che si tratta di un governo dimissionario in carica per il disbrigo degli affari correnti. Come mai proprio adesso Monti sceglie strade diverse da quelle sempre percorse in passato?».
Entrando nel merito delle affermazioni, come giudica l’eventuale utilizzo di quei “margini di flessibilità” del Patto di stabilità e del Fiscal Compact?
A chi parla di flessibilità o dell’utilizzo del bilancio europeo per investire nella crescita, vorrei ricordare che quello stesso bilancio, oltre a essere stato già tagliato e bocciato, rappresenta una percentuale infinitesimale del Pil europeo. Nonostante questo, però, noi continuiamo a esserne contribuenti netti.
Ciò che proviene dal Consiglio europeo non ha quindi niente a che fare con la crescita?
Si può parlare di crescita quando un Paese riesce a essere competitivo oppure ad attuare iniziative radicali e convincenti di spesa, ma da Bruxelles non arriva niente di tutto questo. Nessuno ha infatti mai espresso la necessità che l’Italia, da netto contribuente, diventi al più presto netto ricevente, quindi ecco che ci ritroviamo (come sempre) a dover pagare per gli altri.
E’ illusorio dunque immaginare che l’Italia potrà effettivamente deviare dall’obiettivo del pareggio strutturale di bilancio per fare investimenti pubblici produttivi per la crescita?
Assolutamente illusorio. Non c’è niente di tutto questo all’orizzonte, anche perché ogni politica di crescita o di spesa, in un sistema come quello europeo, è fattibile solo se qualcuno paga. Ovviamente, finora, questo non è mai avvenuto. Certo, potrebbe pagare anche l’Italia, ma solo se ci fosse una garanzia totale sul debito pubblico, uno spread azzerato e un debito pubblico al livello di quello tedesco. Solo in quel caso lo Stato italiano potrebbe permettersi di spendere di più per aumentare il proprio deficit e rilanciare l’economia, anche se comunque non si risolverebbe il problema della competitività.
E come si pone l’Italia rispetto agli obiettivi indicati nel Fiscal Compact?
L’Italia ha fatto un “agreement” con cui si impegna al pareggio di bilancio e al rientro del debito in un periodo di vent’anni. Io, francamente, di flessibilità non ne vedo. Queste due condizioni, infatti, sono raggiungibili solamente con la crescita, però ecco che in questo modo torniamo a quanto stavamo dicendo in precedenza. La leva fiscale è stata ampiamente utilizzata, dimostrando successivamente tutti i suoi effetti negativi: l’Italia si è di fatto ritrovata con un debito/Pil notevolmente più alto rispetto all’inizio della manovra, un risultato esattamente opposto a quanto indicato nel Fiscal Compact.
(Claudio Perlini)