CERNOBBIO/ La mossa di Letta per “rubare” Pd e governo a Matteo Renzi
Sfida a distanza tra Enrico Letta (a Cernobbio) e Matteo Renzi (a Modena). Letta ha contrapposto la propria missione di governo alle parole del candidato in pectore del Pd. SERGIO LUCIANO

Altro che Renzi: il candidato naturale a guidare l’Italia con il mandato della maggioranza degli elettori ha pochi anni in più e un altro nome: quello di Enrico Letta. È il “succo” che molti osservatori hanno desunto dalla giornata del premier a Cernobbio, dalle cose che ha detto e dal modo in cui le ha dette.
“Figuriamoci se uno si deve dedicare ad altre cose come il proprio futuro politico o a un partito”: ecco, in un’Italia lacerata da leaderismi protervi e egolatri, sono parole che stupiscono, sbalordiscono. E accreditano chi le dice molto più dei tanti “io, io, io” strepitati dai candidati di generale riconoscimento. Renzi compreso. Perché – ecco la novità – mentre il sindaco di Firenze interviene, polemizza, punzecchia, sfotte, fa il fenomeno, litiga a distanza con Bersani ed Epifani e reclama il suo “posto al sole”, sfila col “chiodo” alla Fonzie dalla De Filippi e corre, un po’ “spompo”, la mezza maratona, il presidente del Consiglio parla meno, sgobba e fa i fatti. Pochi, per carità: ma chi, al suo posto, riuscirebbe a farne di più? E poi, insomma: pochi ma non pochissimi, considerando che ha, sì, una maggioranza virtualmente amplissima, ma è una maggioranza tenuta insieme con lo sputo.
E allora ecco che la forza della candidatura naturale di Letta viene da sé, e incrocia – si badi bene – lo stesso “pubblico” elettorale di Renzi. Il giovane premier è culturalmente se non “tecnicamente” un ex-democristiano, come Renzi. Entrambi hanno quindi la possibilità di riportare il Paese nell’alveo che gli è connaturato e di cui è stato espropriato vent’anni fa, quello di un moderatismo centrista con ampie aperture verso il pensiero cristiano – mai come adesso esaltate dalla figura carismatica di Papa Francesco; entrambi militano nel Pd, ma con una palese gravitazione verso un progressismo all’europea che non ha gran che da dirsi con il sinistrismo di Vendola o dello stesso Fassina. Entrambi possono insomma fare incetta di consensi nell’area ben pensante e moderata dell’elettorato ormai orfano di Berlusconi – augurando, per carità, al Cavaliere vita anagrafica lunghissima – e convincere i partner europei, e le istituzioni di Bruxelles, Strasburgo e Francoforte che ci dettano l’agenda politico-economica, dell’affidabilità del nostro Paese.
Certo, sulla carta Letta sembra meno brillante di Renzi; ma anche meno esibizionista, meno piacione, meno provocatore e supponente, e soprattutto ha fatto e sta facendo più fatti e meno chiacchiere.
A Cernobbio, peraltro, era il momento delle chiacchiere, e anche quelle Letta le ha fatte benissimo.
“Abbiamo capito quello che è successo tra febbraio e aprile o ancora siamo ciechi? Sono avvenuti due terremoti non paragonabili a nessuno dei terremoti della politica italiana: il risultato elettorale e l’implosione del Parlamento che non è riuscito a eleggere il presidente della Repubblica”. “Noi siamo qui per una svolta, non per traccheggiare”. “Di fronte a un compito così improbo, impervio”, come quello del governo e dell’innovazione, “mi dedico totalmente a questa missione, che è già un’impresa. Figurare se uno si deve dedicare ad altre cose come il proprio futuro politico o a un partito”. “Siamo qui per dire la verità al Paese (…) Bisogna rompere le catene che bloccano l’Italia. Il nostro paese può fare cose straordinarie”. “La prima catena è il caos politico permanente, questo rumore di fondo che copre tutto e che fa sì che la maggior parte delle domande che ricevo dai giornalisti stranieri che orientano gli investimenti riguardino il terremoto permanente del nostro sistema politico”. La seconda è ”lo spirito conservatore della nostra burocrazia”, serve ”una burocrazia che lavori per missioni: quando è raggiunta si cambia, non deve restare non si sa a fare cosa”. Quindi ” la catena delle liturgie, quelle drammatiche liturgie della politica, della gerontocrazia del nostro sistema che ci trasciniamo dietro”. E ancora, ”la catena dell’Italia che dice di no a tutto” e quella della ”conservazione rispetto al cambiamento delle regole della politica, che dice la Costituzione non si tocca”. Mentre invece la Costituzione “dobbiamo cambiarla” ed è “necessario lo sforzo di tutti”, che “non prevalga uno spirito conservatore”.
Diciamola semplice: ha detto tutte cose giuste. E poi ancora frasi pesanti, annunci: il Governo sta lavorando a un ”Piano Destinazione Italia, che a fine settembre presenteremo e approveremo, con dentro un grande pacchetto di dismissioni e incentivazioni per l’attrazione degli investimenti”. Un ribadito impegno politico: “Sul finanziamento pubblico dico a tutti di fare presto. Ho preso un impegno con il paese a chiudere la questione e abolire il finanziamento pubblico ai partiti entro l’autunno”. E ha aggiunto: “le riforme si devono fare. Se si fa finta non si è capito il voto di febbraio”.
E infine ancora belle parole, frasi dette con trasporto, sui giovani, sulle donne, sulle opportunità del Paese. Un bel parlare. Da politico giovane. E, si direbbe, onesto.
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