Il 29 dicembre, Enrico Letta, scriveva su Twitter: «Tasse sulle famiglie nel 2013 son scese e la tendenza continuerà anche nel 2014». Poche righe che, se corrispondessero letteralmente alla realtà, ci fornirebbero due notizie clamorose. Naturalmente, cioè, che quest’anno abbiamo pagato meno tasse di quello precedente. E che, l’anno prossimo, ne pagheremo ancora meno. Di ciò, ne sono convinti in pochi. Di sicuro, non lo sono le imprese. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Guido Gentili, editorialista de Il Sole 24 Ore.
Abbiamo pagato e pagheremo meno tasse?
Effettivamente, nel 2013 non siamo stati gravati dall’Imu sulla prima casa. È possibile, quindi, che la pressione fiscale sia stata leggermente ritoccata al ribasso. Tuttavia, 250 euro – il risparmio complessivo calcolato per ogni famiglia -, rappresenta la cifra massima. Significa che, ogni mese, ci sono stati aggiustamenti di poco conto rispetto alle esigenze reali delle famiglie. E, in ogni caso, stiamo parlando del 2013.
Parliamo del 2014.
La partita è ancora aperta e le prospettive sono tutt’altro che buone.
Perché?
Anzitutto, nella legge di stabilità, le nuove entrate derivanti dal fisco ammonteranno a 2,1 miliardi di euro. L’aggravio tributario, quindi, è nettamente superiore allo sgravio. Peraltro, nel corso dell’iter di formulazione della manovra, nei vari passaggi parlamentari, si è via via gonfiato, fino a raddoppiare. Inizialmente, infatti, si aggirava sul miliardo di euro. La situazione, inoltre, potrebbe ben presto peggiorare.
Ci spieghi
Il governo dovrà tagliare le detrazioni fiscali del 19%, per una cifra complessiva di 500 milioni di euro nel 2014. Se non ci riuscirà, scatterà la clausola di salvaguardia che prevede tagli lineari alle detrazioni Irpef, che passerebbero dal 19% al 18%.
Tagliare le agevolazioni per le imprese che effetto sortirebbe?
Quando si aprì il dibattito sulla riduzione delle detrazioni alle imprese e Giavazzi realizzò un piano rimasto lettera morta, sia la Marcegaglia che, successivamente, Squinzi, sostennero con forza di esser pronti a rinunciare a tutte le agevolazioni, in cambio di una riduzione del prelievo fiscale che fosse reale e sostanziale. Le imprese, quindi, sanno che è l’unica strada percorribile per ottenere la ripresa. D’altra parte, il total tax rate (che misura la tassazione complessiva sul totale dei profitti commerciali) supera ormai il 68%, mentre il governo ha stimato una crescita del Pil (+1,1%) nel 2014 a cui non crede nessuno: a cominciare dalla Commissione europea che parla di +0,7% e dall’Ocse che parla di 0,6%. Solamente il taglio delle imposte (dell’Irap, in particolare), può riattivare gli investimenti, e non i piccoli aggiustamenti a pioggia (e vincolati a iniziative spesso inutili) come sono le detrazioni.
Perché il governo, in tal senso, non riesce ad agire?
In una prima fase, Letta ha giustificato la difficoltà a operare addebitandole alle incertezze derivanti dall’eterogeneità della coalizione che lo sosteneva e, in particolare, alle polemiche che, sull’Imu, si sono trascinate per mesi. In un secondo momento, quando ha ricevuto il 2 ottobre la fiducia, ha intravisto la possibilità di poter godere di una maggioranza numericamente inferiore ma politicamente più coesa. Così non è stato.
Cos’è successo, quindi?
La composizione della politica economica si è limitata alla sommatoria di moltissime misure di scarsa rilevanza. Evidentemente, Letta, pensando di poter mantenere il quadro unito, ha preferito accontentare tutti: lobby, partiti e correnti varie. Insomma, fatta salva la sua buona volontà e l’intento riformista dichiarato, le scelte non hanno fatto seguito alle dichiarazioni d’intenti e la manovra è stata parcellizzata in mille rivoli micro-settoriali e localistici. In sostanza, l’esecutivo non è riuscito a puntare tutte le energie sulla riduzione del cuneo fiscale, né a contenere “l’assalto alla diligenza” della sua nuova maggioranza.
(Paolo Nessi)