Piano piano, cominciano tutti ad accorgersi di quanto sta accadendo. L’ultimo attacco contro la politica di tutte le banche centrali mondiali è arrivato ieri dalla Banca per i regolamenti internazionali, la quale ha detto chiaro e tondo che «la politica di tassi ultra bassi e il fallimento nell’aggressione degli sbilanciamenti finanziari sta rendendo l’economia globale permanentemente instabile». Nel suo report annuale, la “banca delle banche centrali” ha posto l’accento sull’eccessiva dipendenza dalle politiche monetarie come stimolo per l’economia, sottolineando come – stando la situazione attuale – gli istituti centrali come la Fed e la Bank of England potrebbero dover mantenere politiche monetarie ultra-accomodanti per periodi di tempo troppo lunghi, con conseguenze potenzialmente pericolose.
Per la Bri, il rischio è quello di un errato timing nel ritorno a situazioni più normali, ovvero un’uscita troppo veloce e congestionata oppure troppo lenta una volta che ci sia resi conto di ritrovarsi dietro la curva. Inoltre, sempre per l’istituto svizzero, la “scusa” dell’allentamento monetario e fiscale ha trasportato i governi all’interno di un falso senso di sicurezza che ha rallentato, se non post-posto, il necessario consolidamento, arrivando a creare il rischio dell’accettazione dell’instabilità come elemento interno al sistema. Per la Bri, «le politiche monetarie non possono poggiarsi e legarsi ai periodi di boom ma possono solo allentare aggressivamente e persistentemente i periodi di crisi. Questo induce a una sorta di scusante al ribasso per i tassi di interesse e al rialzo per quanto riguarda i livelli di debito, situazione che di contrasto rende molto difficile un rialzo dei tasso senza un danno all’economia, la cosiddetta trappola del debito».
Di più, «così agendo le crisi finanziarie sistemiche non diventano meno frequenti o intense, i debiti pubblici e privati continuano a crescere, l’economia fallisce nella sua missione di crescere a un ritmo forte ma sostenibile e le politiche monetarie e fiscali giungono a un punto in cui terminano le munizioni a loro disposizione. Con l’andare del tempo, le politiche perdono il loro effetto e potrebbero addirittura favorire le condizioni economiche che in realtà volevano prevenire».
Per Claudio Borio, capo del dipartimento economico e monetario della Bri, il potenziale di una nuova crisi finanziaria potrebbe innescare un ritorno al protezionismo, tale da far sparire il concetto attuale di economia aperta di mercato come la conosciamo: «Focalizzare troppo l’attenzione sulle fluttuazioni a breve termine degli output è come stare a guardare la bellezza dell’oceano senza prendersi più cura delle onde che si avvicinano a noi sempre più minacciose». E la Bri fa esempi concreti, preoccupata ad esempio dal mercato immobiliare britannico definito «inusualmente favorevole» e dai recenti tassi di crescita sia di Regno Unito che di Usa, un qualcosa che normalmente si osserva prima dei crash finanziari.
Riguardo ai tassi di interesse, la Bri è molto chiara e chiede altrettanta chiarezza alle banche centrali in fatto di comunicazione quando si entrerà in un periodo di politiche monetarie restrittive: un messaggio abbastanza esplicito verso la Bank of England, visto che il governatore Mark Carney ha parlato di un aumento dei tassi graduale e limitato fino al livello del 2,5%. Il problema, almeno per la Bri, è che per la “regola di Taylor”, i tassi impliciti nel Regno Unito ci dicono che bisognerebbe già ora essere a un livello dell’1,5% in più rispetto ai tassi attuali dello 0,5%. E lo stesso John Taylor, economista a Stanford e appunto inventore della regola che è una vera e propria guida per le banche centrali in fatto di utilizzo dei tassi in risposta all’inflazione, intervistato dal Daily Telegraph ha notato come «un distaccamento da politiche basate si regole chiare all’inizio del XXI secolo ha reso il ruolo dei decisori più opaco».
Le banche centrali, a suo dire, devono tornare al più presto a un’impostazione più ortodossa del loro ruolo: «Se le politiche legate ai tassi fossero state differenti, penso che oggi le economie sarebbero più forti e l’unico pensiero nella testa dei banchieri centrali sarebbe aumentare i tassi. Non dico che questo debba avvenire oggi o la settimana o il mese prossimo, ma se ci si muovesse gradualmente verso un aumento dei tassi di interesse, i mercati lavorerebbero meglio. Anzi, lavorerebbero finalmente come mercati, visto che questi tassi eccessivamente bassi – pressoché a zero – stanno causando unicamente ricerca del rendimento e accettazione di rischi eccessivi che potrebbero tramutarsi in squilibri e creare problemi lungo la strada verso la ripresa».
Come la penso al riguardo, lo sapete da tempo: a mio avviso Taylor è eccessivamente ottimista nel vedere potenziali rischi sulla strada della ripresa, visto che la stessa è stata già compromessa sul nascere proprio dalle politiche delle banche centrali, le quali non contente di aver inondato il globo di denaro per mantenere alti gli indici azionari, ora non sanno più come riuscire ad alzare anche minimamente i tassi senza causare disastri. Anzi, addirittura la Fed sta implicitamente facendo fuggire gli investitori dal mercato obbligazionario – i tassi dei Treasuries non sono mai stati così bassi, ormai al di sotto del tasso di inflazione – per indurre una rotazione nelle equities per mantenere in rally Wall Street.
Siamo alla follia, il problema è che il conto lo pagheremo noi, non certo i cosiddetti regolatori o decisori. Se anche la Bri è arrivata a una denuncia così netta, vuol proprio dire che siamo nei guai.