RIPRESA?/ Fortis: tre riforme che servono a Renzi per non andare a casa

- int. Marco Fortis

Per MARCO FORTIS, a pagare finora in Italia è stato soprattutto il settore privato. E’ grazie a quest’ultimo se abbiamo un avanzo primario del 2,3% del Pil, pari a quasi 40 miliardi

renzi_auricolare_zoomR439 Matteo Renzi (Infophoto)

“Ci sono due Italie, quella degli ottimisti e quella dei pessimisti, quella di chi ci crede e di chi non ci crede. Insomma, di quelli che ci provano e dei gufi”. Lo ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, parlando a Gussago all’inaugurazione della nuova sede delle Rubinetterie bresciane del Gruppo Bonomi. E ha aggiunto il capo del governo: “Nella macchina della pubblica amministrazione alcuni tagli vanno fatti, perché c’è troppo grasso che cola. Chi è che non ha fatto sacrifici finora è la macchina pubblica, dove non si è intervenuto nei centri di costo”. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.

Professore, ritiene che i risultati del board della Bce abbiano aiutato Renzi?

Quanto è emerso dal board della Bce, e prima ancora la posizione presa da Draghi a Jackson Hole, è utile non solo a Renzi ma all’intera Eurozona. Si pone un accento particolare sulla crescita e sulle modalità di politica fiscale che potrebbero favorirla, tra l’altro con un esplicito riferimento al piano di Juncker per gli investimenti pubblici. Le recenti decisioni hanno dato maggiore tranquillità al mercato, nonché la certezza che comunque si vuole andare nella direzione di contrastare la deflazione e fare affluire più denaro all’economia reale. Dalla posizione innovativa della Bce vengono quindi vantaggi per tutti, e l’obiettivo non è più quello di tenere sotto controllo l’inflazione ma scongiurare la deflazione.

In Italia ora l’attenzione si sposta sulle riforme economiche. Quali ritiene che debbano essere le priorità di Renzi?

Ritengo chedebbano essere tre: un mercato del lavoro più flessibile sia in entrata sia in uscita; la giustizia, per garantire la certezza del diritto e un’accelerazione dei tempi dei processi; e la fiscalità, con la certezza di un quadro stabile per quanto riguarda la tassazione.

Che cosa ritiene che vada fatto per quanto riguarda la riforma del mercato del lavoro?

La riforma del mercato del lavoro ricorre costantemente nelle raccomandazioni della Commissione Europea, ed è ciò che si attendono i mercati anche come svolta simbolica. L’Italia ha bisogno di aggiungere anche un elemento simbolico alle riforme tracciate finora…

In che senso?

La riforma del mercato del lavoro è importante anche per dare un quadro di maggiori certezze agli investitori internazionali che negli ultimi tempi si sono riaffacciati con una certa fiducia e interesse sul nostro mercato. Gli imprenditori italiani sonno già allo stremo delle forze. Ieri Renzi si è recato a visitare le rubinetterie bresciane Bonomi, un’impresa che con un fatturato che veleggia intorno ai 70/80 milioni ha fatto un investimento di 50 milioni. In proporzione è come se una multinazionale investisse una cifra quasi uguale al suo fatturato.

 

Ieri le forze dell’ordine hanno annunciato una protesta contro il blocco del contratto, ma intanto Renzi intende assumere 150mila insegnanti precari. Lei che cosa ne pensa?

Al di là delle specifiche richieste di corpi “delicati” come le forze dell’ordine, nel suo complesso finora a pagare è stato soprattutto il settore privato. E’ grazie a quest’ultimo se abbiamo un avanzo primario del 2,3% del Pil, pari a quasi 40 miliardi, che fanno dell’Italia un Paese più virtuoso di tutta l’Ue, della stessa Germania, degli Stati Uniti e del Giappone. La spesa pubblica corrente, al netto delle pensioni e degli interessi, ha iniziato a diminuire per la prima volta nel 2011, con un calo che è stato la metà della Spagna e un terzo di Irlanda e Portogallo. Il rapporto debito/Pil dell’Italia è più alto di quello di Portogallo, Irlanda e Spagna, che pure negli ultimi anni sono cresciuti molto… La responsabilità del debito per quanto riguarda il nostro Paese non è certo del settore privato, bensì di quello pubblico.

 

(Pietro Vernizzi)





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