SPY FINANZA/ Scozia indipendente? L’eurozona rischia di saltare

- Mauro Bottarelli

In questo periodo di sommovimenti geopolitici in atto, l'Europa sta sottovalutando alcune criticità che pongono seri rischi per la tenuta stessa dell'eurozona. MAURO BOTTARELLI

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In questi giorni vedo crescere un grosso rischio: ovvero, il fatto che a fronte degli enormi sommovimenti geopolitici in atto in aree calde del mondo, l’Europa ceda a un istinto di sottovalutazione di alcune criticità che sottotraccia stanno aumentando di intensità, ponendo seri rischi per la tenuta stessa dell’eurozona. 

A mio avviso, le più importanti e serie sono quattro. 

1. La prima apparentemente potrebbe apparire un qualcosa di innocuo, ovvero il sempre maggiore consenso che sta guadagando il fronte del “Sì” all’indipendenza della Scozia dal Regno Unito in vista del referendum del prossimo 18 settembre. Al netto del sacrosanto e intoccabile principio di autodeterminazione dei popoli, ci sono infatti alcune domande che pendono senza risposta: se Edimburgo deciderà per l’addio a Londra, manterrà la sterlina come valuta oppure opterà per una nuova moneta o per l’euro? E poi, il calcolo del debito pubblico e del Pil del Regno Unito verrà scorporato, ovvero la Scozia dovrà cominciare la propria avventura indipendente già con un notevole carico di debito? 

Non sono domande da poco, né tantomeno faccenda che si possa derubricare a questione meramente politica, visto che Goldman Sachs si è sentita in dovere di dedicarvi un report abbastanza allarmato, dal quale si evince che il Regno Unito potrebbe precipitare in una crisi in stile eurozona se i Sì dovessero trionfare. Per la banca d’affari, che ritiene comunque questa ipotesi abbastanza improbabile, “una vittoria indipendentista potrebbe avere serie conseguenze sia per l’economia scozzese che per quella britannica in generale”, sottolineando come “Edimburgo potrebbe essere costretta a un drastico tagli dei servizi pubblici e dovrebbe affrontare un notevole aggravio dei costi per il suo finanziamento sui mercati”. 

Ma come anticipato è la questione monetaria a porre i dubbi più seri, poiché potrebbe scatenare una corsa sulla sterlina e una fuga di capitali che riecheggerebbe appunto la crisi dell’eurozona: “Il più importante e specifico dei rischi, a nostro modo di vedere, risiede nell’incertezza di come una Scozia indipendente possa essere in grado di mantenere la sterlina, un’instabilità che potrebbe innescare una crisi valutaria nel Regno Unito simile a quella recentemente vissuta dall’area euro”.

Nonostante gli scozzesi favorevoli all’addio ritengano che Londra sarà obbligata a dar vita a un’unione monetaria con loro, la minaccia di Westminster di lasciare Edimburgo da sola è ritenuta “credibile” da Goldman Sachs: “Una delle principali lezioni offerte dalla crisi dell’eurozona è che un livello abbastanza alto di integrazione fiscale e finanziaria è necessario, questo come mezzo per un’effettiva condivisione del rischio che appare fondamentale affinché un’unione monetaria funzioni”. Inoltre, se anche si arrivasse a un accordo sulla valuta da condividere, i mesi che questo dibattito richiederà potrebbero innescare una run sugli assets basati in Scozia: “Se anche non si arrivasse alla rottura e la vittoria dei Sì non pregiudicasse l’unità monetaria tra le due entità, l’incertezza che regnerà nei mesi seguenti al voto potrebbe essere un incentivo per gli investitori a vendere assets con base in Scozia e per i cittadini scozzesi a prelevare i loro risparmi detenuti in banche con sede nel Paese”. 

E anche se la Bank of England potrebbe intervenire in un primo momento per prevenire le conseguenze di breve termine peggiori, alla fine la decisione sull’unione valutaria sarà meramente politica e dovrà tenere conto di molte variabili. Così come prima di votare Sì occorrerà che i cittadini sappiano che una Scozia indipendente sarà obbligata a tagliare col machete i servizi pubblici, essendo la spesa pubblica pro-capite in Scozia molto più alta che nel resto del Regno Unito e il gap non potrà che divaricarsi, visto il tasso di invecchiamento della popolazione scozzese: “Colmare quel gap in caso di indipendenza potrebbe essere doloroso e comporterà sicuramente una significativa riduzione dei servizi pubblici erogati. Sul lungo periodo, la Scozia indipendente potrebbe essere obbligata a vivere con un settore pubblico molto più piccolo di quanto non avrebbe restando all’interno del Regno Unito”.

E non solo Goldman la pensa così, anche gli analisti di Berenberg Bank, a detta dei quali l’indipendenza potrebbe colpire e in modo significativo gli investimenti corporate nel Paese: “Il grande argomento iniziale sarà un picco dell’incertezza, le aziende potrebbero rimandare gli investimenti e consumatori potrebbero abbassare di molto il volume delle loro spese in attese che le questioni sul tavolo, valuta in testa, si chiariscano. Questo potrebbe concretizzarsi in un serio colpo per l’economia scozzese. È impossibile stimare con precisione quale sarà l’impatto ma le recenti esperienze di elevata incertezza durante la crisi dell’area euro ci hanno suggerito effetti materiali davvero seri”. Non a caso martedì, quando è emerso come il fronte del Sì stesse guadagnando consensi, la sterlina è calata sensibilmente e i titoli di Royal Bank of Scotland e Lloyds Banking Group sono andati al tappeto. 

2. E veniamo alla seconda criticità europea, ovvero il fatto che le aziende degli Stati cosiddetti “periferici” si stiano indebitando a livelli non sostenibili ancora una volta, tanto che stando a dati di Dealogic il cosiddetto “leverage loan borrowing” da inizio anno ad oggi è al livello più alto dal 2007. Nonostante, infatti, quanto preso in prestito da inizio anno − 43,7 miliardi di dollari − sia sostanzialmente minore a quanto ottenuto nel periodo equivalente del 2007, ben 76,2 miliardi di dollari, ci troviamo comunque di fronte a una cifra che è il 64% più alta dei prestiti ottenuti dalle aziende dei Paesi periferici nello stesso periodo dello scorso anno, un dato che in molti analisti sta facendo nascere preoccupazione riguardo la sostenibilità di un livello di leverage simile e destinato a salire ancora. 

In testa ai nuovi debitori ci sono le aziende con base in Irlanda, il Paese che per primo ha visto il boom&bust e l’arrivo della troika, segnale per qualcuno di rinnovato ottimismo nell’economia del Paese e per altri di ritorno alla propensione al rischio e al moral hazard: non a caso, infatti, la Grecia registra quota praticamente zero nella categoria dei “leverage loan”, per la prima volta dopo vent’anni. Certo, è possibile che si tratti di una corsa al rifinanziamento prima che termini il periodo di tassi estremamente bassi e della propensione degli investitori a collocare in maniera diversificata le ampie somme di denaro a costo zero pompate dalle banche centrali, ma qualcosa scricchiola e, oltretutto, in uno dei settori più delicati e a rischio: quello bancario. 

Sono infatti molti gli istituti dei Paesi periferici ad essersi lanciati in sempre nuove emissioni obbligazionarie, come ad esempio la principale banca spagnola, Santander, che martedì ha annunciato un piano per emettere fino a 2,5 miliardi di euro in bond convertibili “CoCo”, ovvero un tipo di obbligazione che garantisce un rendimento relativamente alto ma che può subire un write-off totale se i livelli di capitale della banca scendono sotto un certo livello: insomma, un investimento di quelli decisamente a rischio. Il problema è che sempre più analisti si dicono certi che molte altre banche della periferia dell’Ue ricorreranno all’emissione di questi tipi di bond nei prossimi mesi per andare incontro alle loro necessità di finanziamento in vista anche degli stress test e per tamponare il deleverage dei bilanci, e questo è interpretato come un qualcosa di molto pericoloso: “È arrivato il tempo di preoccuparsi riguardo il capitale bancario, quando gli istituti più deboli provano a inondare i mercati”, ha messo in guardia l’analista di Mint Partners, Bill Blain.

(1 – continua)








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