Sarà necessario un “minimo” di tre anni (e non più due) per produrre “risultati visibili” attraverso le riforme strutturali. Lo ha dichiarato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, il quale ha respinto l’affermazione in base a cui la Spagna avrebbe fatto di più del nostro Paese, come affermato dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. “Se si guarda con attenzione e senza nessun pregiudizio, si noterà che non c’è tanta differenza – ha ribattuto Padoan –. Gli sforzi fatti dall’Italia non sono da meno di quelli della Spagna, ma i risultati sono diversi”. Ne abbiamo parlato con Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari nell’Università Cattolica di Milano.
Come giudica l’avvertimento di Visco e la risposta di Padoan?
E’ un dialogo tra due mondi, quello della politica e quello della Bce, che giocano la stessa funzione del poliziotto buono e del poliziotto cattivo. In realtà sono tutti molto chiaramente dalla stessa parte, tanto che le finte argomentazioni della Germania contro la Bce in realtà sono soltanto una sceneggiata. Mi rifiuto di pensare che persone in posizioni chiave non capiscano la vera natura dei problemi dell’Eurozona.
Quanto occorrerà aspettare prima che arrivi la ripresa?
Chi afferma che la crisi durerà ancora un anno e poi ci sarà la ripresa sta prendendo in giro chi lo ascolta. Da sei anni ci continuano a dire che la ripresa è dietro l’angolo, e poi di tanto in tanto si cerca di rilanciare. Ora Renzi si è inventato i mille giorni, ed è quindi naturale che Padoan dica che la ripresa ci sarà tra tre anni. Anziché ammettere che gli ultimi governi hanno sbagliato tutto, anzi che hanno fatto apposta a farlo, adesso si cerca di allungare l’orizzonte temporale del fallimento.
Ma non è nella logica delle cose che Padoan dica che affinché le riforme strutturali producano effetto ci vorrà del tempo?
L’espressione “riforme strutturali” non significa nulla. Lo stesso Padoan, quando era al Fmi e all’Ocse, cioè due degli organismi che sono stati coautori della crisi, diceva che bisogna tagliare gli stipendi. In un mondo in cui ci si ostina a non voler considerare un riallineamento dei cambi, l’unica riforma strutturale che si riesce a immaginare è il taglio degli stipendi. Nessuno ha il coraggio di dirlo apertamente, ma è questa l’idea sottintesa quando si parla di riforme nei Paesi della periferia dell’Europa.
Per quanto draconiana, questa misura produrrebbe effetti positivi?
No, la riduzione delle retribuzioni si scontra con uno degli intenti della Bce, che è quello di creare inflazione. Se io voglio creare inflazione devo mettere più soldi in tasca al cittadino, in modo da fare aumentare la domanda e fare salire i prezzi. Se al contrario taglio gli stipendi produco deflazione. Il ministro tedesco Schaeuble ha detto che “Matteo Renzi sta seguendo l’approccio assolutamente giusto per quel che riguarda le riforme strutturali profonde del suo Paese”.
Perché l’entourage della Merkel vede Renzi con favore?
Perché Renzi sta facendo quel che interessa ai tedeschi. Il premier è tanto spregiudicato da capire chi comanda realmente, e quindi allinearsi ai suoi desiderata. Palazzo Chigi non sta rilanciando l’economia italiana, e ciò fa piacere alla Germania le cui imprese sono in concorrenza con le nostre. In compenso Renzi sta aggredendo il patrimonio con le tasse sulla casa, le rivalutazioni catastali e tutti i mezzi suggeriti direttamente dalla Bundesbank, per fare i desiderata dei tedeschi.
Che cosa vuole la Germania dal nostro Paese?
L’obiettivo di fondo è la continua e costante contribuzione dell’Italia ai trasferimenti interni dell’Europa. Strumenti come il Fondo salva stati, il Fiscal Compact e in futuro la garanzia reale al nostro debito producono effetti solo distruttivi. Renzi sta perseguendo questa strada, insieme alla svendita degli asset italiani quali Eni ed Enel.
(Pietro Vernizzi)