Poi si lamentano se uno con un minimo di senso critico pensa male. Abbiamo vissuto anni, quelli della cosiddetta “austerity”, ad ammazzarci su clausole e vincoli economici all’interno dell’Ue, personalmente ho raccontato decine di volte di falchi alla Schaeuble pronti a dire “nein” a ogni richiesta dei governi periferici rispetto a un ammorbidimento delle condizioni imposte dalla troika, eppure sembrava che il muro della “responsabilità” di bilancio fosse non scalfibile, né tantomeno abbattibile. Poi, con tempismo a dir poco sospetto, arriva l’attentato di Parigi a cambiare tutto. La frase chiave per capire quanto sta accadendo, a mio avviso, è questa: «Una cosa è chiara nelle circostanze attuali: in questo momento terribile la sicurezza dei cittadini in Francia e in Europa è la priorità assoluta e la Commissione Ue lo capisce pienamente». L’ha pronunciata lunedì il commissario Ue agli affari economici, Pierre Moscovici, in riferimento all’impatto sul bilancio francese delle spese per la sicurezza annunciate dalla Francia dopo gli attentati di Parigi. Già, pochi minuti prima il presidente, Francois Hollande, aveva comunicato al Parlamento che nei mesi a venire il comparto di polizia e intelligence avrebbe visto aumentare e non di poco i propri ranghi, con ovvio aumento anche dei costi a carico dello Stato. Ma chi si può mettere a parlare di austerità o disciplina di bilancio davanti all’orrore, in senso conradiano, di 130 morti e oltre 300 feriti? Solo un mostro senza cuore e nemmeno la durezza teutonica di Schaeuble arriverebbe a tanto.
Insomma, la guerra – perché questo il termine usato da Hollande, tanto da aver richiesto e ottenuto la collaborazione militare degli altri Paesi membri Ue, attraverso l’applicazione dell’articolo 42.7 del Trattato dell’Unione – al terrorismo sarà la versione 2.0 in salsa europea della lotta al terrore di George W. Bush, un meraviglioso moltiplicatore keynesiano del Pil attraverso la spesa per difesa, sicurezza e intelligence, il tutto in barba ai vincoli e totalmente a deficit “grazie” all’ondata di sdegno e paura scatenata dalla mattanza parigina. D’altronde, lo stesso Hollande era stato chiaro nel corso del suo discorso: «Il patto di sicurezza impatta sul patto di stabilità», che limita a un massimo del 3% il deficit in rapporto al Pil. Come dire: andremo sopra al 3% del Pil e basta. E Moscovici ha fatto un bell’applauso, la Merkel non ha battuto ciglio, così come i falchi dei Paesi del Nord tipo la Finlandia. E il grafico a fondo pagina sulla performance economica del governo Hollande ci mostra perché il governo francese – capace di 80 mesi consecutivi di aumento della disoccupazione, a fronte del Cac40 che macinava rally – abbia un disperato bisogno di spesa a deficit e assunzioni di massa.
Ma guarda caso, ieri – un giorno dopo il discorso in cui Hollande si travestiva da De Gaulle senza averne la credibilità – la solitamente inflessibile Commissione europea rendeva noto, dopo aver analizzato le bozze di legge di bilancio presentate da questi Stati, che Italia, Lituania, Austria e Spagna rischiano di non rispettare il prossimo anno il tetto di deficit previsto dal patto di stabilità. Di più, avvertiva che potrebbe comportare una significativa deviazione dai piani di aggiustamento verso gli obiettivi di medio termine. Due pesi e due misure? Dobbiamo farci attaccare anche noi per avere un minimo di flessibilità, ricordando che la Francia quel parametro del 3% lo sta sforando allegramente da 7 anni? No, tranquilli. Mamma Commissione avverte, punta il dito, ma poi fa una carezza e prende tempo. A oggi, infatti, a detta dell’organismo europeo, Roma ha fatto progressi nel percorso di aggiustamento dei conti pubblici, ma il rischio di non centrare l’obiettivo nel medio termine, sebbene sia lieve quest’anno, è significativo per il prossimo: «Le autorità sono dunque invitate a prendere i necessari provvedimenti nel rispetto degli obiettivi di medio termine nell’ambito della legge di stabilità».
Un tono che si presta, quindi, facilmente a interpretazioni, ma che rende esplicito il rischio potenziale di “non conformità” della legge di stabilità del governo italiano per il prossimo anno. Tuttavia, le dichiarazioni di Bruxelles danno implicitamente il via libera ai capitoli di flessibilità con l’esercizio della clausole legate alle riforme e agli investimenti, più volte evocate dal governo come motivo dello scostamento nel rientro del deficit. Da parte sua, la Commissione Ue ha ricordato che continuerà a esercitare un attento monitoraggio, specialmente sull’Italia, dove il percorso delle riforme è stato finora positivo, ma che necessita ancora di essere perfezionato. Inoltre, in favore dell’Italia giocano gli sgravi contributivi previsti dal Jobs Act, una manovra che accoglie in parte le raccomandazioni specifiche sul Paese. Tuttavia, da Bruxelles hanno voluto sottolineare che la flessibilità invocata sulle regole di bilancio non può essere utilizzata per finanziare il taglio delle tasse sulla casa, vera tegola sulle speranze elettorali di Matteo Renzi, ma vedrete che si troverà modo di mediare nel nuovo regime dell’emergenza che ha come unica stella polare la lotta all’Isis. Non a caso, viviamo in un mondo dove i terroristi sono sull’uscio di casa, ma le Borse salgono e lo spread resta fermo: meraviglioso!
E a confermare che di spiragli in futuro ce ne saranno, ci ha pensato il vicepresidente della Commissione europea, Valdis Dombrovskis: «Essendo già stato concesso lo 0,4% la scorsa primavera, la richiesta riguarda ora uno 0,1% aggiuntivo ma anche un altro 0,3% per gli investimenti e lo 0,2% per le spese eccezionali per l’emergenza profughi». Vuoi che per mettere mano all’emergenza profughi e contestualmente aumentare la sicurezza in vista del Giubileo della misericordia non si vada un po’ più in deficit? Sicuramente e visto che alla Francia si è detto sì, vogliamo questionare sulla sicurezza del Santo Padre e di qualche milione di pellegrini? Non sia mai. E infatti lo stesso Pierre Moscovici ha dichiarato che »lo scambio è costante con il governo italiano, siamo d’accordo che servono riforme importanti e di qualità per far tornare la crescita in Italia. L’obiettivo è verificare entro la primavera quali misure saranno state realizzate». Latte e miele in quantità quasi da crisi glicemica: «In questa fase non è possibile dire che il bilancio italiano per il prossimo anno rispetti i criteri del patto di stabilità e crescita, né se le riforme fatte e le spese sostenute per i migranti rendano possibile concedere la flessibilità richiesta».
Ma non basta, perché per quanto riguarda gli altri Paesi, la Spagna potrebbe essere la principale beneficiaria di questo momento di estrema manica larga in ossequio al pericolo di Daesh, una manna politica per Mariano Rajoy. Stando alle stime della Commissione Ue, infatti, il Paese iberico non riuscirà a rispettare né il tetto di deficit, né gli obiettivi di consolidamento fiscale. E in quest’ottica la Spagna potrebbe tornare in acque agitate, qualora fosse necessaria una nuova tornata di tagli per rientrare nei parametri, anche in vista delle elezioni di dicembre, nelle quali il primo ministro, Mariano Rajoy, dovrà affrontare il verdetto degli elettori tentati da partiti anti-austerità come Podemos. E se la dottrina del “prima di tutto, la sicurezza” permettesse a Rajoy di mettersela per un po’ in saccoccia quell’austerity, depotenziando Podemos senza nemmeno fare troppa fatica? E se lo stesso accadesse in Italia con la minaccia dei Cinque Stelle?
Pensateci, perché casualmente proprio ieri la Grecia ha definito un accordo con Ue e Fmi su una serie di misure per il risanamento dei conti pubblici che consente di sbloccare già venerdì una tranche da 12 miliardi di euro nell’ambito del pacchetto di aiuti ad Atene. L’annuncio è arrivato dal ministro delle finanze greco, Euclide Tsakalotos, al termine della maratona negoziale: «Abbiamo trovato un accordo su tutto, comprese anche le 48 misure preliminari». Cioè, una storia che va avanti da almeno quattro anni e che quest’estate stava per far sprofondare Atene nel baratro per questioni di virgole, ora viene risolta in 48 ore e con tutti felici? Non ditemi che credete anche voi alla balla in base alla quale l’accordo sarebbe stato possibile grazie ai dati sul Pil di Atene che hanno mostrato come l’economia abbia resistito meglio delle attese nel terzo trimestre, grazie anche al contributo della buona stagione turistica?
Anche perché il Prodotto interno lordo è calato dello 0,5% trimestre su trimestre rispetto a una contrazione attesa dell’1,0% e il Pil dovrebbe scendere dell’1,4% anno su anno nel 2015 e dell’1,3% nel 2016! Cosa c’è da festeggiare con un accordo che non si sia già visto nelle dinamiche passate? Tanto più che quei 12 miliardi che verranno sborsati venerdì non saranno sufficienti nemmeno a coprire i costi della ricapitalizzazione delle banche, fissati a 14 miliardi! E attenti, perché quanto accaduto a Parigi potrebbe non impattare solo sulla disciplina economica dell’Unione, ma essere il prodromo a un altro reload della strategia Usa di lotta al terrore, ovvero la nascita di un Patriot Act europeo. Parlando a Versailles, Hollande ha infatti detto che bisogna «fare evolvere la nostra Costituzione per fare in modo che il nostro stato di diritto possa far fronte alle minacce terroristiche».
In sostanza, si tratta di modificare due articoli della Carta costituzionale: l’articolo 16, relativo ai poteri straordinari del presidente della Repubblica francese in caso di minacce a istituzioni, indipendenza ed esecuzione degli impegni internazionali e l’articolo 36, relativo appunto allo stato di guerra. La proposta di Hollande – che si basa su un’idea di Edouard Balladur – consiste nell’integrare lo stato d’emergenza nell’articolo 36, senza che per questo sia previsto un trasferimento di poteri all’autorità militare come avverrebbe potenzialmente oggi mantenendo la Costituzione invariata. Insomma, Francois Hollande chiede al Parlamento di garantirgli l’avocazione di poteri assoluti in uno stato di emergenza ma evitando lo sviluppo naturale che quest’ultimo avrebbe nel regime costituzionale francese odierno, ovvero una di fatto giunta militare a guida del Paese. È normale, Hollande sa che non c’è quella necessità, sa che è fuori dal mondo arrivare a un regime di salute pubblica al limite del dittatoriale e allora gioca la carta della riforma costituzionale, per vedersi garantiti poteri assoluti sul Parlamento e sulle forze armate.
Lui, l’uomo che non è riuscito nemmeno a mantenere segreta una relazione extraconiugale, vuole porsi a vertice unico della difesa del Paese, soprattutto dopo le figuracce collezionate dai suoi servizi segreti non solo negli attacchi contro Charlie Hebdo e contro il Bataclan, ma anche nei mesi intercorsi, con errori su vigilanza e identificazione degni davvero dell’ispettore Clouseau: non una sola testa è saltata ai vertici, a dimostrazione del valore del politico Hollande. Vedrete che invece ce la farà e anche in questo caso, come nella fattispecie della maggiore flessibilità sui bilanci, sarà Mariano Rajoy a beneficiarne, visto che ci vorrà poco a far passare come minaccia alla stabilità e alla sicurezza del Paese la scelta dei catalani di secedere, in un momento in cui bisogna invece stare uniti contro Daesh. Stessa questione varrà per i baschi.
Ma non è tutto, perché Hollande chiede anche espulsioni più facili per i sospettati e la possibilità di revocare la cittadinanza ai condannati per terrorismo, nonché nuovi mezzi per polizia e magistratura, oltre al prolungamento dello stato d’emergenza per altri 3 mesi. Insomma, uno Stato di polizia rigidissimo e quasi orwelliano a fronte di politiche economiche che diventano più lassiste in nome dell’emergenza. Quale? Questo grafico dell’Economist ci mostra come negli ultimi 14 anni gli attacchi terroristici in Europa abbiano aumentato la loro intensità, ma ci mostra anche come ai tre picchi di vittime legate al fondamentalismo islamico a Madrid, Londra e Parigi, si vada ad associare la strage norvegese a Oslo e sull’isola di Utoya del 2011, perpetrata da un cittadino norvegese che univa il cristianesimo alla massoneria al suprematismo bianco, cioè uno psicolabile.
Inoltre, ci siamo mai chiesti come mai negli ultimi 14 anni, dopo l’attacco alle Torri, continue guerre e legislazioni di emergenza non abbiamo ottenuto altro risultato se non quello di far diffondere e radicalizzare ancora di più il terrorismo? Forse perché questo fa comodo, come ha fatto comodo Bin Laden in chiave anti-russa e l’Isis per ribaltare il governo di Assad inviso ai sauditi, primi finanziatori al mondo del fondamentalismo violento e assassino, come ha fatto notare in maniera chiara Vladimir Putin nel suo intervento al G20 di Antalya?
Una nuova guerra permanente al terrore non si sostanzierà solamente in uno stato di polizia basato sul sospetto, sulla violazione dei diritti fondamentali e sul moltiplicatore keynesiano del Pil grazie alle spese militari e per la sicurezza, il cosiddetto warfare? L’Unione europea sta andando in pezzi, schiacciata dai suoi disequilibri, dalle sue contraddizioni, dalla sua folle politica economica e la paura è l’unico collante rimasto per tenere insieme i cocci? Daesh, lasciato indisturbato a mietere vittime innocenti per oltre un anno, solo ora diventa priorità? Solo ora si smette di finanziarlo, addestrarlo, rifornirlo (visto che fu lo stesso Hollande a vantarsi di aver armato i gruppi di ribelli anti-Assad non più tardi dello scorso luglio) e si decide di fargli la guerra? Non sarebbe stato meglio evitare di utilizzare degli estremisti come agenti provocatori e destabilizzatori, invece che arrivare a questo punto? Punto che però fa comodo, terribilmente comodo a troppi.
Pensateci, perché se così fosse staremmo per uccidere una seconda volta le vittime innocenti di Parigi, cristiane o islamiche che fossero. La libertà che li ha condotti paradossalmente alla morte in un ristorante, in una sala per concerti o allo stadio resta comunque il bene supremo: altrimenti Daesh e i suoi pupari avranno vinto.