Il 31 marzo a Palazzo Maffei Marescotti a Roma è stato presentato l’ultimo numero della rivista “Limes” dal titolo “Moneta e impero”. Tra gli altri è intervenuto il cardinale segretario di Stato Parolin, autore di un discorso di grandissimo spessore, ripubblicato su L’Osservatore Romano. Un discorso che spero possa essere ripreso e approfondito, perché può costituire a mio avviso davvero una pietra miliare del pensiero cristiano non solo su questa crisi economica, ma sull’intera questione dell’economia e della finanza in funzione del bene comune.
Così inizia il suo discorso, a commento del volume di “Limes” in presentazione: “Il riuscito sottotitolo ‘guerre valutarie e centri di potenza’ condensa bene il contenuto del volume e rimanda ad un giudizio etico sulle guerre e sulle pretese egemoniche. Come la Chiesa condanna il nazionalismo estremo e le guerre, così si deve concludere che implicitamente condanna le ‘guerre finanziarie’, nelle quali la manipolazione delle monete nazionali diventa uno strumento attraverso il quale gli Stati impongono la propria supremazia od offrono benefici ai propri cittadini a scapito di quelli di altri Stati”.
Quindi, a essere valutata negativamente non è solo una moneta, ma un’ intera architettura monetaria e finanziaria (e bancaria) che permette e favorisce queste guerre valutarie. Un’osservazione non di secondo piano, visto che proprio il primo articolo del volume di “Limes” presentato si intitola “La guerra delle valute”. Ma l’intervento di Parolin è ricco di spunti di interesse e di riflessioni che vale la pena approfondire. Ne vedremo alcuni tra i principali.
Il discorso di Parolin è una sorta di excursus storico del rapporto tra impero (inteso come potere dello Stato) e moneta; in questo excursus storico il cardinale ha ripercorso anche i diversi pronunciamenti della dottrina della Chiesa, evidenziando un percorso ideale di sempre maggiore profondità, ma che ha mantenuto comunque fissa la bussola sull’obiettivo della cura dei poveri e della fascia sociale dei più deboli. Sulla linea di questo percorso ideale non sono mancate le critiche, anche dure, al sistema economico e finanziario come negli anni si andava formando, fino all’assetto attuale.
Eppure, come rilevato da Parolin, fin dagli albori del suo sorgere in chiave moderna, la Chiesa non aveva una concezione negativa del libero mercato. Così si esprimeva papa Benedetto XV nel 1917: “Stabilito così l’impero del diritto, si tolga ogni ostacolo alle vie di comunicazione dei popoli con la vera libertà e comunanza dei mari: il che, mentre eliminerebbe molteplici cause di conflitto, aprirebbe a tutti nuove fonti di prosperità e di progresso”. Ma poi proseguiva: “Quanto ai danni e spese di guerra, non scorgiamo altro scampo che nella norma generale di una intera e reciproca condonazione”. E cosa accadeva invece in concreto? Accadeva che dalla Germania si pretesero danni di guerra esorbitanti che non era possibile pagare e che aprirono la porta prima all’iperinflazione (durante la repubblica di Weimar) e poi alla presa del potere dal parte del nazismo di Hitler.
Come osservato da Parolin, l’appello di Benedetto XV era soprattutto un forte richiamo etico alla responsabilità dei governanti, il cui primo e assoluto dovere è di procurare “la quiete e la gioia di innumerevoli famiglie, la vita di migliaia di giovani, la felicità stessa dei popoli”. Dopo la Seconda guerra mondiale un nuovo clima si respirava nei rapporti internazionali. Questo portò ai celebri accordi di Bretton Woods che, nonostante tutti i limiti, facevano riferimento a una comune volontà di non utilizzare più lo strumento della guerra nelle situazioni di crisi tra le nazioni. Una volontà di pace che veniva in qualche modo consegnata agli accordi commerciali e monetari.
I tempi cambiano e gli accordi possono (e devono) essere modificati o cancellati. Il problema è che mantengano quello spirito e quella volontà di pace. Ma agli accordi di Bretton Woods non conseguì nulla, poiché come noto furono semplicemente dichiarati non più validi e annullati dalla parte più importante, gli Usa. Ma il vuoto in natura non esiste e quindi quello spazio veniva di fatto consegnato alla legge del più forte e alle successive guerre finanziarie e monetarie, esplose poi nel nuovo millennio.
Così ha commentato Parolin questo delicato momento storico: “Negli orientamenti concreti, la Dottrina sociale della Chiesa deve svilupparsi in rapporto alle proprie circostanze storiche. Lo scenario internazionale, per lo meno dal 1945 fino alla fine degli anni ‘70, era sostanzialmente influenzato dalle condizioni che determinarono il progetto di Bretton Woods. Entro determinati limiti, esso significò un certo disarmo finanziario, anche se di fatto sbilanciato in favore dei paesi più sviluppati […]. I mercati finanziari, cioè il credito, la creazione di moneta, il commercio, ecc. si trovavano relativamente controllati e governati dagli Stati”. Quindi. una situazione ancora non ideale, ma non del tutto negativa: rimaneva uno sbilanciamento a favore dei paesi più sviluppati, ma c’era un sostanziale controllo da parte degli Stati. Si poteva pensare a un progressivo miglioramento.
Parolin ha osservato che in questo contesto storico Paolo VI nell’enciclica Popolorum Progressio avanzò una proposta: “La creazione di un Fondo Mondiale in favore dei diseredati, alimentato da una parte delle spese militari. Il suggerimento relativo alle finanze, a cui la Populorum Progressio dedica 5 paragrafi (nn. 51-55), cerca quindi soltanto di aiutare a colmare le lacune del progetto della Banca Mondiale”. Quindi, ancora una proposta a favore degli ultimi in una situazione economica internazionale in continua evoluzione ma non ancora deteriorata.
Ma con la caduta del muro di Berlino (e gli accordi di Bretton Woods già cancellati negli anni ‘70) “la finanza finì per costituirsi quale coordinamento supremo delle attività economiche attraverso le frontiere. Ciò significò la scomparsa del mondo di Bretton Woods, durato circa 30 anni, all’interno del quale si collocavano gli insegnamenti dellaPopulorum Progressio, e con esso la fine della pace – o piuttosto della tregua – finanziaria cha tale sistema aveva prodotto”.
A questo punto Parolin pone la domanda centrale del suo intervento: “A questo punto, la domanda, sempre nell’ottica della riflessione sull’economia internazionale al servizio della pace, diviene questa: come e quanto le finanze internazionali, privatizzate, globalizzate e, persino, indipendenti dalla produzione e dallo scambio di beni e servizi, possono servire alla pace?”.
E fornisce senza mezzi termini la sua risposta: “I primordi dell’attività bancaria e degli strumenti di credito commerciali, all’epoca del Rinascimento in Italia prima e poi nei Paesi Bassi, indicano, infatti, che il credito si indirizza, in genere, verso chi ha il potere politico o la capacità di sviluppare grandi imprese economiche: ai sovrani e alle grandi compagnie di navigazione. In definitiva, solo a coloro che sembrano capaci di garantire lauti guadagni”. Come dire: se questi sono gli esordi del sistema bancario, cosa potevamo attenderci dal fatto di aver sottratto agli stati tanto potere e averlo consegnato ai poteri della finanza e della moneta?
Qui l’analisi di Parolin si approfondisce con un paragone storico: “Non solo la matrice o il modello tardo-medievale e rinascimentale si ripete e ingigantisce, perpetuando il legame della moneta con il potere, ma ad esso si uniscono due altri fenomeni, sviluppatisi nell’età moderna e in quella contemporanea”. Salto per ora l’enunciazione (interessante) dei due fenomeni e arrivo alla conclusione: “Lo stesso fenomeno della crescita esponenziale del credito tra la fine del secolo scorso e l’inizio del presente, che provocò la crisi del 2008, non è altro che una conseguenza della scorretta associazione della moneta con il potere, che erroneamente favorì l’espansione creditizia”.
L’eccessiva espansione creditizia, attuata in maniera criminale dal sistema bancario e permessa, senza un solo fiato di lamento, dai poteri politici e istituzionali ci ha condotto alla crisi attuale. E così oggi: “La domanda che ci si pone è se il credito governa i Governi o se i Governi governano il credito, e la risposta è che, come nell’epoca rinascimentale, c’è una associazione di fatto tra i due soggetti: Governo e settore finanziario, dove il primo utilizza il credito come strumento della sua attività nazionale ed internazionale e il secondo approfitta della situazione privilegiata che lo Stato, in un modo o l’altro, gli garantisce. Il settore finanziario non si è dunque reso indipendente della politica”.
Di fronte a questa mutata situazione, Parolin ha ricordato le parole di Giovanni Paolo II nel 1987: “È necessario denunciare l’esistenza di meccanismi economici, finanziari e sociali, i quali, benché manovrati dalla volontà degli uomini, funzionano spesso in maniera quasi automatica, rendendo più rigide le situazioni di ricchezza degli uni e di povertà degli altri. Tali meccanismi, azionati in modo diretto o indiretto dai paesi più sviluppati, favoriscono per il loro stesso funzionamento gli interessi di chi li manovra, ma finiscono per soffocare o condizionare le economie dei paesi meno sviluppati” (Sollecitudo Rei Socialis n. 16).
Quindi, con lo stesso tipo di giudizio ha proseguito Ratzinger: “Lo sviluppo dei popoli degenera se l’umanità ritiene di potersi ri-creare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia […] come lo sviluppo economico si rivela fittizio e dannoso se si affida ai ‘prodigi’ della finanza per sostenere crescite innaturali e consumistiche” (Caritas in Veritate n. 68).
Parolin non manca di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, visto che nel numero di “Limes” è presente anche un articolo dedicato allo Ior. Evidenziando le minuscole dimensioni dell’istituto (anche secondo i dati di Bankitalia) il cardinale afferma che “scherzando un po’, si potrebbe dire che stabilire un rapporto tra la riforma della Curia Romana e degli altri organismi di collaborazione della Santa Sede, tra cui lo Ior, e i rapporti geopolitici tra moneta ed impero è come cercare di paragonare la Guardia svizzera pontificia con le Forze armate di un grande Paese”.
E poi, relativamente all’azione del Papa: “La risposta del Papa all’intreccio finanza-politica internazionale è ben altra. È innanzitutto la condanna della guerra, sempre presente negli insegnamenti papali, durante tutto il secolo XX e XXI. È poi la condanna del nazionalismo e di ogni pretesa di supremazia nazionale. È, infine, il richiamo, particolarmente presente negli ultimi pontificati, a non permettere che la finanza diventi un elemento autonomo, sregolato e slegato dall’economia reale, ma invece si metta al servizio della produzione, della creazione dei posti di lavoro e, in ultima analisi, delle famiglie e degli individui”.
E quindi siamo alla conclusione, che mi pare ci interessi specificamente nella seconda parte: “La risposta di papa Francesco alla guerra della finanza è una chiamata alla responsabilità. Alla responsabilità dei politici e dei grandi operatori economici, ma anche alla responsabilità dei piccoli e dei poveri, che devono imparare ad essere padroni dei propri destini e a difendere la propria dignità, quella delle loro famiglie e delle loro comunità”.
Questo è il richiamo di cui io sento la grandissima urgenza, perché mi pare che veniamo da un’epoca ideale nella quale si è demandato all’ambito politico la soluzione di problematiche generali (attinenti al bene comune) abbandonando però un impegno specifico che invece deve riguardare sempre tutti. La pena di contrappasso è una politica sempre più distante dai cittadini: ma forse questo dipende anche da una precedente lontananza dei cittadini dalla politica.
E così Parolin riprende questo concetto: “Allo stesso tempo, il Santo Padre auspica una riforma dal basso, che liberi i poveri dalla prigione di un assistenzialismo indirizzato al dominio politico delle masse, e faccia sbocciare le forze degli individui, delle famiglie e dei gruppi intermedi. È ben noto come, nell’alto Medioevo e agli inizi del Rinascimento, il popolo cristiano, incoraggiato e guidato soprattutto dai predicatori francescani, rispose alla finanza collegata all’impero con la finanza popolare, strutturata a partire dei monti di pietà”.
Quindi, non si tratta soltanto, visti i tempi mutati, di riprenderci la politica rischiando di rimanere vittime della finanza, ma di riprenderci politica e finanza. Questi mi pare che sono tempi nei quali ancora manca la coscienza di questo passaggio necessario. E proprio in funzione di questo passaggio da comprendere che ritorno sempre a proporre l’utilità e la necessità di costituire ed espandere sistemi di Moneta complementare locali. E la maggiore utilità di questi sistemi è proprio quella presa di responsabilità richiesta da papa Francesco: la responsabilità anche di decidere per quale ragione ideale e per quale motivo concreto creare moneta.
Per questo da quasi cinque anni scrivo articoli su queste pagine. E anche per questo che partecipo a incontri e convegni, dovunque e chiunque mi inviti a parlare di euro e di crisi economica, di fiducia e di sussidiarietà. Come a Messina il prossimo 18 aprile, presso il Salone delle Bandiere del locale Municipio, invitato dal locale Movimento 5 Stelle.