CRISI GRECIA/ I rischi (e i costi) per l’Italia
Ancora la situazione greca non si sblocca e nonostante i baci e gli abbracci tra Renzi e Tsipras, spiega GIUSEPPE PENNISI, l’Italia rischia di rimetterci

Dopo un “tormentone” (per usare il gergo giornalistico) di sei anni circa, la saga greca è arrivata al suo ultimo atto. Ove non all’epilogo. Lo ha mostrato a chiare note la riunione dell’Eurogruppo a Riga in cui il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e delle Finanze della Repubblica ellenica sono stati chiamati “dilettanti allo sbaraglio”. Quindi, incomunicabilità piena e totale con il resto del gruppo. Nonostante i canali Rai trasmettano immagini (credo di una precedente riunione) in cui il nostro Presidente del Consiglio Matteo Renzi ostenta – in barba non solo all’etichetta internazionale ma semplicemente al buon gusto – baci e abbracci con la sua controparte Alexis Tsipras.
Il problema non è se il Governo di Atene sia composto da “dilettanti” o meno, ma che le sue promesse non valgono quelle di un marinaio a una ragazza di facili costumi incontrata in un porto in cui la nave ha attraccato per qualche giorno. Inoltre, non valgono neanche per il partito politico greco che li ha eletti, Syriza, sempre più scontento di chi li rappresenta.
Ultima chicca: i pagamenti dei debiti all’erario sono stati dilazionati in 80 o 100 rate pure per gli oligarchi che devono, ciascuno, al fisco più di 4 milioni di tasse e imposte arretrate, per un totale di 60 miliardi – una misura non certo gradita alle istituzioni internazionali e ai ceti a basso reddito che hanno votato Tsipras. Ancor più, sul tavolo della riunione di Riga è stato letteralmente sbattuto uno studio in cui si dimostra, su dati dell’Agenzia delle entrate greca, che dopo l’aumento dei tributi previsto dal “salvataggio” 2010 il gettito fiscale è diminuito; è cresciuta l’evasione dato che piccole e medie imprese, quelle individuali e i grandi conglomerati hanno dichiarato un crollo dei redditi, in parte determinato dal cattivo andamento dell’economia, ma in parte causato dalla volontà di sfuggire il fisco, a fronte di un’amministrazione finanziaria notoriamente porosa. L’accordo raggiunto a Riga sugli “accordi fiscali” tra grandi imprese e grandi contribuenti, da un lato, e Governo, dall’altro, è come un’aspirina in una situazione in cui si dovrebbe fare ricorso al chirurgo.
In effetti, un sociologo nato e formato negli Usa, ma che ha avuto un’importante carriera politica nella Repubblica ellenica, George Papandreou, sostiene che nel Paese politica ed economia sono dominati da pochi “poteri forti” che controllano da tempo l’amministrazione finanziaria e ora incidono anche sulla leadership di Syriza, modificando a loro favore articoli e commi della legislazione, prima che i provvedimenti giungano a un Parlamento la cui maggioranza è poco esperta. La “base” di Syriza lo ha compreso e, già perplessa per i gusti poco sobri di Varoufakis, si chiede, nelle assemblee di sezione, se non sia venuto il momento di cambiare leadership.
Quindi, le “istituzioni” (Fondo monetario internazionale, Commissione Europea, Banca centrale europea) e i partner dell’Eurogruppo stanno negoziando con interlocutori che potrebbero presto uscire di scena e tornare a palcoscenici a loro più consoni. In questo contesto, vengono elaborati piani B, C e D in caso di defaultrispetto alle imminenti scadenze del rimborso di debiti greci al Fmi. Si parla di variazioni dell’assignat (la moneta fiduciaria emessa durante la Rivoluzione francese); in effetti, statali, pensionati e fornitori delle pubbliche amministrazioni verrebbero pagati con cambiali (in euro) che sconterebbero presso banche greche, mentre l’euro nudo e crudo resterebbe la valuta per le transazioni internazionali e per le riserve. Preoccupa il fatto che una di queste proposte sia stata formulata da un economista italiano che si dice contiguo a Palazzo Chigi (spiritualmente perché abita a Milano).
In questo bailamme, la speculazione gode. È un gioco comprare sul mercato secondario titoli pubblici greci in saldo (le agenzie di rating li considerano spazzatura) con rendimenti tra il 20% e il 30% l’anno. Mal che vada se la saga continua altri mesi si incassa qualche buona cedola. Nella migliore delle ipotesi, ossia se i contribuenti europei aprono le borse per un ulteriore salvataggio, c’è in prospettiva anche un forte guadagno in conto capitale.
Occorre riconoscere che non è questo il contesto migliore per un programma di riassetto come quello che deve affrontare il Governo italiano. Nell’incertezza dei mercati, chi ha un debito pubblico pari a oltre il 130% del Pil e banche colme di sofferenze (tanto da fare ipotizzare una bad bank) dovrebbe rapidamente sostituire i baci e gli abbracci con pedate nel sedere e insistere perché la commedia finisca. La Grecia ha dato prova che aveva ragione l’Eurostat quando documentò a Prodi (allora Presidente della Commissione europea) che il Paese non poteva fare parte dell’area dell’euro e, per tutta risposta, ebbe la dirigenza venne dimissionata (salvo poi a ricevere scuse e indennizzi monetari dalla Corte di giustizia europea). La farsa è solo apparente, il mondo (si legga la stampa americana e asiatica) sta assistendo a una tragicommedia che rischia di mettere a repentaglio l’intera costruzione europea.
L’Eurogruppo ponga a se stesso una scadenza: se entro dieci giorni non si trova una “insolvenza programmata” per fare uscire la Grecia dell’unione monetaria in modo poco doloroso, la Bce faccia il suo dovere, ossia stacchi la spina alle inguaiatissime banche greche (tanto finanziano gli oligarchi, non la povera gente) e faccia calare il sipario.
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