Non potendo credere ai resoconti letti dell’audizione di Draghi alla Camera dei Deputati di settimana scorsa, ho voluto ascoltare con le mie orecchie le sue parole dal video di quell’incontro. Ebbene, quanto da lui detto è anche peggio di quanto riportato. Si è apertamente vantato di quanto fatto dal 2011 a oggi per contenere la crisi e aver in qualche modo sospinto la crescita. Evidentemente la menzogna è così abituale, nonostante i dati disastrosi provenienti dall’economia reale, che anche chi professa da una vita una certa ideologia liberista non si rende più conto del labile confine tra la mezza verità e la menzogna tutta intera. E così lo stesso concetto, detto in un modo è una mezza verità (perché l’altra mezza è troppo scomoda o verrebbe a inficiare l’idea di un libero mercato e di un’unione monetaria funzionante per il bene comune), ma detta in un altro modo è una menzogna senza se e senza ma.
Parlando del 2011 e del momento di grave crisi di fiducia, ha affermato che “a ciò si aggiungevano i timori ingiustificati sulla reversibilità dell’euro che sospingevano in alto i premi a rischio nazionali. In Italia il rendimento del Btp decennale eccedeva il 7% alla fine del 2011 a fronte del 2% corrisposto sullo stesso titolo in Germania”. Qui Draghi ha smesso di leggere il discorso preparato e ha commentato a braccio: “Per inciso, questo spread di 5 punti è esattamente lo spread che gli italiani hanno pagato per 15 anni in media prima di entrare nell’euro. Quindi chi vuol fare paragoni tra le due situazioni ora ha un primo parametro di paragone”.
Siccome la lingua italiana non è un’opinione, nella prima frase Draghi ha detto un balla colossale. Non è vero che “sullo stesso titolo” (cioè il Btp decennale italiano) in Germania veniva corrisposto il 2%, ma casomai sullo stesso tipo di titolo, cioè il Btp decennale tedesco. Ora qui non è in questione una svista (seppur colossale, comunque sul discorso scritto), ma una menzogna detta dall’inizio alla fine. Infatti, nelle parole dette a braccio c’è evidentemente il riferimento e il fastidio a quanti sostengono l’uscita dall’euro (io pure!). E il fastidio per lui dev’essere particolarmente sentito, visto che a più riprese ha dichiarato che “dall’euro non si esce” e che “l’euro è irreversibile”. Basterebbe uno studentello di storia per ricordarci (o ricordargli) che non c’è nessuna costruzione umana che possa definirsi irreversibile e tali saccenti affermazioni possono venir fuori solo dall’affermazione dittatoriale e sclerotica di un’ideologia, quella del libero mercato a tutti i costi.
Ed è proprio per questo fastidio, in un momento storico nel quale anche in Germania alcuni politici e commentatori economici hanno iniziato a dire che la Grecia dovrebbe uscire dall’euro, in clamorosa contraddizione con il dogma del sommo sacerdote Draghi, che lo stesso ha affermato a braccio di fare il paragone tra il momento peggiore dello spread nel 2011 e la media dello spread prima che l’Italia entrasse nell’euro.
Ma a questo punto, per amore di verità, dobbiamo domandarci: perché in tale periodo, prima dell’entrata nell’euro, uno spread così alto non è mai stato un problema di salvezza nazionale, non ha mai generato il dubbio sulla capacità dello Stato di ripagare il debito? Perché mai nel 2011 il problema dello spread è stato così grave da sospingere (o costringere) il premier Berlusconi alle dimissioni?
La risposta è semplice: lo spread non è mai stato un problema prima dell’euro grazie all’inflazione, cioè grazie al fatto che la perdita di valore della moneta (attuale e) nel futuro avrebbe diminuito il peso del debito. Quindi il piano criminale della Bce di tenere sotto controllo l’inflazione non poteva sortire altro effetto che far crescere (com’è cresciuto) il debito a livelli incontrollabili. Ma quello che è peggio (come ho mostrato nel mio libro “Eurocidio”) è che tutti gli stati hanno perso il controllo della crescita del debito, non perché non possano controllare le spese, ma perché non possono controllare le entrate future (dipendono dalla crescita dell’economia) e non possono più controllare l’inflazione (cioè stampare moneta in momenti di crisi, come ha fatto la Svizzera, per esempio).
In questo contesto, la crescita è impossibile. L’unica possibilità è una crescita solo temporanea e solo sui numeri, però sempre sforando qualche altro parametro. Come sta accadendo in Spagna, dove il Pil nel 2014 è cresciuto del 1,4% (dato riportato da tutti i media con grande enfasi), ma il rapporto tra deficit e Pil è al -5,7%, superiore cioè al 3% dei parametri di Maastricht e a quanto imposto all’Italia.
Oltre a ciò Draghi è arrivato a dire che “la nostra unione rimane fragile perché le riforme restano affidate agli ambiti nazionali. Su questo bisogna pensare a un cambiamento”. Non bastano i danni fatti, vogliono più potere per portare avanti il piano di cui si lamentava il ministro Padoan, cioè la lentezza delle privatizzazioni. Vogliono toglierci più rapidamente i nostri beni e pretenderanno i nostri ringraziamenti per averci tolto dalla crisi che loro hanno creato.
Per il resto, Draghi ha ripetuto lo slogan del Centro Studi di Confindustria e che io ho già criticato su queste pagine: secondo lui, questo è un momento particolarmente favorevole per la crescita a causa del fattore combinato della svalutazione dell’euro e del basso prezzo del petrolio. Come già detto, per smontare questa bugia basta un bambino delle elementari che sappia fare le divisioni con la calcolatrice: dato che il prezzo del petrolio è in dollari, l’effetto combinato di svalutazione dell’euro (cioè rafforzamento del dollaro) e calo del prezzo del petrolio in dollari si risolve con un nulla di fatto.
E qui si innesta la fase più delicata. Perché Draghi ha previsto una ripresa dell’inflazione (insieme alla ripresa economica) anche grazie alla risalita del prezzo del petrolio. Ora, non capisco come si possa pensare a una ripresa senza che le banche tornino a prestare denaro. E non capisco come le banche possano pensare di prestare denaro sapendo di una prossima crescita del costo del petrolio. Ma la cosa è ancora peggiore di queste riflessioni, perché autorevoli commentatori prevedono nei prossimi mesi un brusco calo del petrolio fino a 35 dollari al barile. Con queste previsioni, chi ha denaro aspetterà di investirlo (o di prestarlo) aggravando così la recessione economica.
I sapientoni e i potenti di questo mondo hanno previsto tutto, tranne la realtà. E allora, viva la realtà. Usciremo dalla crisi. Magari uscendo dall’euro.