SENTENZA PENSIONI/ Il giurista: ecco perché il Governo non può procedere coi rimborsi parziali
La sentenza n. 70 della Corte costituzionale ha censurato il blocco della rivalutazione dei trattamenti pensionistici disposto nel dicembre 2011 dal Governo Monti. GIULIO M. SALERNO

La sentenza n. 70 della Corte costituzionale che ha censurato il blocco della rivalutazione dei trattamenti pensionistici disposto nel dicembre 2011 dal Governo Monti, ha suscitato commenti contrastanti tra i giuristi. In particolare, c’è chi critica il diverso atteggiamento che la Corte avrebbe mostrato nella sua giurisprudenza: se talora avrebbe dato maggior peso alle esigenze di bilancio, stavolta, si osserva, la Corte non ha preso testualmente in considerazione l’art. 81 della Costituzione nella sua rinnovata — e rinforzata — versione risultante dalle modifiche apportate nel 2012, sempre su proposta del Governo Monti.
Va detto, invece, che in realtà la Corte non si è affatto dimenticata delle conseguenze finanziarie, dato che ha annullato la legge proprio perché da quest’ultima non è emersa “la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritto oggetto di bilanciamento”. In sostanza, se il legislatore vuole comprimere un diritto costituzionale può farlo, ma, innanzi tutto, deve spiegare a chiare lettere le motivazioni che impongono siffatta scelta. E di tali motivazioni la Corte costituzionale può essere chiamata a valutare coerenza e fondatezza rispetto alla compressione dei diritti in gioco, in breve la ragionevolezza. In questa sede non si può ovviamente analizzare la sentenza nei suoi specifici aspetti giuridici, ma si può senz’altro dire che ogni questione di costituzionalità in cui si confrontano diritti e risorse è diversa dalle altre, e nulla impedisce alla Corte di utilizzare, in relazione al singolo caso da affrontare, le argomentazioni che si ritengono più adatte per valutare la ragionevolezza del bilanciamento effettuato dal legislatore.
Soprattutto, va respinta la tesi secondo cui, soprattutto dopo la modifica dell’art. 81 Cost., la Corte sia tenuta ad applicare il principio di equilibrio di bilancio come una sorta di super-valore costituzionale, capace cioè di prevalere sempre e ad ogni costo sui diritti costituzionalmente garantiti. Ci troveremmo davanti ad una strana concezione della Costituzione: ogni disposizione avrebbe una sorta di clausola implicita di “degradazione”, rappresentata dall’impossibilità di annullare le leggi approvate in violazione della stessa disposizione qualora da ciò derivi un onere finanziario cui il decisore politico sarebbe poi chiamato a porre rimedio. Anzi, l’esito paradossale di tale tesi è che quanto più la lesione costituzionale risulta grave, e dunque l’onere finanziario consistente, tanto più la Corte dovrebbe dimostrare prudenza, astenendosi dall’annullare le norme illegittime.
Tra l’altro, anche le prime reazioni di alcuni esponenti dell’esecutivo appaiono improntate a sin troppo realismo: si legge che, proprio in ossequio ai principi di equità indicati dalla Corte nella sentenza, il Governo si appresterebbe a stabilire modalità di rimborso limitate o parametrate per fasce di reddito, quasi che la lesione di un diritto costituzionale, sanzionata ufficialmente ed irrevocabilmente dalla Corte costituzionale a favore di tutti i soggetti che hanno subito gli effetti della prescrizione incostituzionale, possa essere ripristinata in modo “graduato” o parziale.
Ma è evidente che non si può rimediare ad un’ingiustizia mediante un’ulteriore compressione dei diritti costituzionalmente ingiustificata. Dalla lettura della sentenza emerge, a questo proposito, un aspetto di evidenza lapalissiana: le esigenze finanziarie che nel 2011 sono state poste a giustificazione del blocco in questione, sono apparse del tutto generiche. Adesso, a quattro anni di distanza, e dopo che l’attuale esecutivo ha proceduto nel frattempo a distribuire vantaggi economici ad un’amplissima parte dei cittadini (con i famosi 80 euro), come si potrebbe mai giustificare la perdurante presenza di una presunta necessità di ordine finanziario che imporrebbe di disporre un rimborso soltanto parziale del danno subito da un’altra amplissima fascia di cittadini?
In breve, occorre comprendere che non si possono distribuire vantaggi — posti a carico dell’intera collettività — prima di avere ripristinato il pari godimento dei diritti che sono stati già compressi per ragioni di interesse generale. Se non si restituisce ragionevolezza all’intero sistema delle decisioni politiche che incidono sui diritti individuali a prestazioni pubbliche, anche i prossimi passi del Governo rischiano di essere nuovamente portati al sindacato della Corte. Ma prima ancora, sarà il giudizio della collettività a pronunciarsi con nettezza sulla scorrettezza dei comportamenti dei poteri costituiti. E senza ravvedimento non ci sarà l’assoluzione.
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