FINANZA E POLITICA/ L’austerity e la City secondo Cameron
La vittoria di David Cameron alle elezioni, spiega ANTONIO QUAGLIO, ha dimostrato che l’austerity può essere vincente al voto. Se fatta diversamente dall’Italia

Cameron ha dimostrato che l’austerity può essere vincente al voto. Cameron ora fa tremare la City. Con Cameron – hanno notato con accenti diversi Antonio Polito su Il Corriere della Sera e lo scrittore pakistano Hanif Kureishi su Repubblica – si è imposta la destra capitalista contro la sinistra identitaria: allargando nel contempo la frattura fra “Europa” e “anti-Europa” che non corre certo solo lungo i bassi fondali della Manica, ma molto più in profondità attraverso l’intero Vecchio Continente. Sono tre affermazioni di commento all’esito del voto britannico che si possono in egual misura accogliere o contestare.
È vero che il governo Cameron ha imposto al Regno Unito una dura politica di bilancio: ma principalmente a base di spending review, diremmo in buon italiano. Un’austerità “thatcheriana”, che certamente non è piaciuta agli studenti (immigrati) delle scuole pubbliche inglesi, che infatti qualche sabato di fuoco a Londra l’hanno puntualmente messo in scena. Ma quell’austerity ha evitato ai loro genitori una pressione fiscale aggregata del 44% (Italia 2013, record nell’Ue): Cameron ha tenuto al 34% non solo quella media, ma soprattutto quella sulle imprese (metà di quella italiana e dieci punti percentuali al di sotto della media Ue). Una politica di bilancio che ha azzerato le imposte sull’acquisto di case fino a 125mila sterline e non ha mai dovuto fare i conti con i giudizi costituzionali tedeschi o italiani.
È vero anche che una Goldman Sachs ha paventato il ritiro dalla City se il referendum del 2017 dovesse accelerare l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Ma è anche vero anche che proprio Londra ha fatto rientrare ai Comuni il vulcanico Lord Mayor, Boris Johnson, dalla porta destra rispetto a Cameron: di cui è già pre-candidato successore, naturalmente sullo stesso trampolino sostanzialmente anti-Ue della City. E perché mai – a Milano (Mediobanca) o nella vicina Lugano – avremmo assistito – durante la premiership Cameron – a un esodo di banchieri verso la City? Sarà pur vero che la stretta sui bonus dei top banker è ancora sul tavolo, ma sembra soprattutto un’arma negoziale di un premier rafforzato: che tra l’altro deve ancora ri-privatizzare le grandi banche nazionali crollate dopo il 2008.
Ci sono pochi dubbi, comunque, che la Gran Bretagna di Cameron tornerà isolazionista, gelosa della propria sovranità monetaria e finanziaria: naturalmente con il favore delle banche stesse, che evidentemente sono ora preoccupate di gestire a dovere “l’arbitraggio” – soprattutto regolamentare – fra la Bruxelles degli eurocrati e una Londra rinata come piazza offshore. Perché non ci sono dubbi – nel globo – su chi è davvero “pro-business” fra Cameron e l’Antitrust Ue che attacca Google sulle tasse. Non ci sono dubbi sul perché la ripresa è andata in onda nel Regno Unito di Cameron e non in un’Europa dilaniata fra Merkel, Draghi, Tsipras, Hollande, Renzi.
È vero – infine – che Cameron è un oxfordiano liberal-conservatore: ma poche settimane fa il colosso ex pubblico dell’energia British Gas è stato acquisito da Shell (storica bandiera petrolifera anglo-olandese) in una limpida operazione dirigistica di consolidamento dell’Azienda-Britannia sullo scacchiere energetico globale.
E che dire del no sbrigativo di Downing Street all’offerta di Pfizer su Astrazeneca? È la “sinistra identitaria” italiana che vibra colpi tafazziani contro le banche popolari per compiacere la City e la Bce mentre teme (si vergogna) di nazionalizzare il Montepaschi di Siena ridotto a una cloaca. È Renzi – che purtroppo non è Cameron, ma neppure Blair – che ha piazzato alle Poste un amico che parla inglese come Francesco Caio, ma non riesce a privatizzare le Poste come ha fatto il governo di Sua Maestà: incassando due miliardi di sterline con un’operazione di sei settimane, tenendo a bordo 100mila dipendenti e soprattutto la proprietà inglese dal 1516.
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