EURO KAOS/ Sapelli: licenziamo la Merkel e Hollande

- Giulio Sapelli

A Bruxelles, dice GIULIO SAPELLI, non esistono leader capaci di affrontare in modo corretto la crisi greca. Occorre una conferenza internazionale con Cina, Russia e Usa

merkel_e_hollande_phixr Angela Merkel e François Hollande (Infophoto)

L’ora della verità è l’ora della Grecia. Siamo chiamati all’assunzione di responsabilità politiche scientificamente fondate. La Grecia è un potente segno di contraddizione in un mondo che si illude di poter far politica senza cultura. L’Unione europea che si accinge ad affrontare la crisi greca non ha in sé la capacità di risolverla perché è la quintessenza di tale separazione tra politica e cultura. Se si supera tale separazione le scoperte sono dilaceranti.

Chi studia la Grecia, la sua storia, la sua economia, la sua antropologia, comprende chiaramente il costrutto socio-politico-economico dominante di quella società.

La Grecia, come bene ha scritto Kavafis nella sua opera poetica che dà un ritratto vivido del destino greco, ha avuto periodi di splendore quando ha insegnato al mondo la polis e ha rappresentato plasticamente nelle guerre contro la Persia e nelle guerre tra Atene e Sparta il senso profondo della politica come lotta per il potere sorretta da una mitologia cosmologica che ancora oggi scrive i destini dell’umanità grazie all’immensa profondità del suo pensiero filosofico. Terminata l’ora delle vittorie e delle sconfitte gloriose, di cui rimane monumento imperituro nelle pagine del Tucidide sulle guerre del Peloponneso, la Grecia inizia un lungo sonno da cui si risveglierà solo secoli e secoli dopo.

E il dato distintivo del suo risveglio sarà sempre il legame con l’Europa, nel bene o nel male. Tale legame ha le sue radici nel suo precocissimo e rarissimo modello di democratizzazione del suffragio elettorale che consolidò nella prima metà dell’Ottocento la base di massa della rivoluzione ellenica anti-ottomana cantata e vissuta tragicamente da Lord Byron. Ma aveva altresì aperto nel contempo la via a un sistema di partiti tanto diffuso clientelisticamente quanto debole istituzionalmente perché sottoposto a uno stravolgimento della politica in guisa statalistica formidabilmente pervasivo.

L’istituzionalizzazione politica non aveva modo di formarsi perché l’economia era ed è anch’essa debole pur essendo diffusa. Dominava e domina la piccola proprietà contadina e insieme l’elefantiaca presenza post-ottomana dello Stato nell’industria e nei servizi. Le grandi fortune private degli armatori nel contempo si separarono subito dalla storia dell’economia e della politica greca, facendo della City londinese e di Wall Street le centrali strategiche del capitalismo da rentier tipicamente greco. Non è un caso che la rivista scientifica più importante per capire la Grecia si chiami Hellenic diaspora e sia edita a New York.

Non è un caso che l’inesistente borghesia non seppe darsi neppure un re nazionale. Il primo monarca greco fu Ottone di Grecia, nato Ottone diWittelsbach a Salisburgo nel 1815 e principe di Baviera. Egli divenne primo re di Grecia nel 1832, in conseguenza della cosiddetta convenzione di Londra, che dichiarava la Grecia una “monarchia indipendente sotto la protezione delle grandi potenze”: Regno Unito, Francia e Russia. Ottone giunse ad Atene con 3.500 soldati bavaresi a bordo di una fregata britannica. L’ordito dell’accordo della Convenzione era il frutto del patto stipulato tra il Regno Unito e i Rothschild. Iniziò da allora un costante legame con la potenza inglese che considerava la Grecia un punto archetipale di quell’equilibrio sempre precario che governava l’accesso della Russia, tramite i Dardanelli, al Mar Mediterraneo. 

Ricordo in forma esemplificativa questo nesso tra la storia di lunga durata e gli avvenimenti odierni perché consente di leggere questi ultimi in guisa significativa. L’entrata della Grecia in Europa negli anni recenti del Novecento, per questa ragione, non aveva e non ha nulla di consustanziale alla storia greco-ellenica: essa era ed è estranea a una razionalità nazionale capitalistica (come accade invece negli stati dell’Europa Continentale) tanto del mercato regolato, quanto dell’impresa pubblica comunemente intesa.

L’entrata della Grecia in Europa obbediva e obbedisce  a una ragione extra-economica: era ed è di natura geo-strategica. Era ed è la continuazione forzosa dell’inserzione nella tecnocrazia europea di una Grecia che non poteva che smarrirsi nel mondo occidentale, ossia non ortodosso e non post-ottomano.

Una prima inserzione forzosa era già avvenuta anni fa, ben prima del decennio ottanta del Novecento, per schiacciare nel sangue la guerra civile comunista titina dal 1944 al 1949, inserendo la Grecia nella Nato. L’inserzione nell’euro e nell’Ue era la continuazione di un’operazione artificiale di assimilazione della Grecia nell’Europa continentale e del sud, a cui essa apparteneva solo mitologicamente.

E Dio sa di quante mitologie abbiamo bisogno. Ma l’economia e la società greca erano e sono profondamente diverse dalle economie e dalle società degli stati continentali e del Sud del continente europeo. L’entrata nell’Ue e nell’euro non ha eliminato questa faglia di diversità. Anzi, l’ha vieppiù ampliata e l’ha resa tanto più profonda. Ed è questo il vero problema, diciamolo una volta per tutte.

È inutile e ipocrita piangere ora sul latte versato. L’arrivo della recessione da ordoliberalismus teutonico prima e da stagnazione secolare oggi allargherà la faglia sempre più e questo sarà il destino anche degli stati post-ottomani e di quelli baltici inseriti nell’Ue, anch’essi solo per motivi geo-strategici, ossia anti-russi.

Per questo occorre mantenere il sangue freddo e non precipitare le decisioni. Guai se si innesca il ciclo del default da debito con collaterali fondati su derivati che sono armi di distruzione di massa: il pericolo di contagio esiste ed è elevatissimo. E guai se si pensasse di risolvere la questione greca solo contando sul confronto tra la Grecia e l’Europa a trazione tedesca e a dominazione teutonico-nordica. Tutto potrebbe precipitare. E le condizioni del dramma già ci sono tutte perché, lo ripeto, non sono solo economiche. 

La tragedia è anticipata dalle trattative segrete che oggi stanno interessando greci e turchi ciprioti, da un lato, e russi e cinesi, dall’altro, per costruire una base di appoggio russa sull’isola. La Grecia, se questo rivolgimento geo-strategico avvenisse, vedrebbe compiersi il suo destino seguendo il solco di una tradizione fortissima della politica estera zarista: diverrebbe l’avamposto della penetrazione russa nel Mediterraneo saldando le radici euroasiatiche della Russia con quelle  attive da sempre nell’immaginario collettivo russo: la necessaria presenza nel Mediterraneo.

Per questo ribadisco ciò che già si è affermato su questo giornale: strappiamo la trattativa a Bruxelles, dove non esistono leader capaci di confrontarsi su questi temi e creiamo le condizioni per una conferenza internazionale sulla Grecia e insieme sul debito europeo. Una conferenza europea con partecipazione russa e cinese e con una forte presenza Usa. Questi ultimi devono ancora una volta assumersi, infatti, le loro responsabilità mondiali e non invece ripiegare su se stessi. Passi innanzi gli Usa li hanno compiuti in questo senso, soprattutto con la mediazione francese. Ma non sono ancora sufficienti. L’Italia deve agire anch’essa a fianco degli Usa e non della Germania.

La questione greca è la questione di chi controllerà la soglia che conduce alla terra di mezzo tra Europa e Asia. Chi controllerà la Grecia, controllerà i destini dell’Eurasia: destini che non possiamo lasciare agli gnomi dei sublimi deliri di Wagner e neppure alle controfigure delle antiche saghe nordico-finniche.







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