«È una tornata elettorale basata su chi proteggerà la nostra economia in un periodo di crescente instabilità globale». Così Stephen Harper, il primo ministro canadese, ha ufficialmente dato il via alla campagna elettorale per le politiche del prossimo 19 ottobre, atto cui è seguita la richiesta ufficiale di scioglimento del Parlamento al Governatore generale, David Jonhston. E ancora: «Questi non sono tempi per schemi economici rischiosi che stanno facendo molti danni in altre parti nel mondo, è tempo di stare in carreggiata e ben ancorati ai nostri piani». Il problema è a quale corso si riferisca Harper, visto che il Canada è già oggi in recessione tecnica. E, come potrete immaginare, è stato il prezzo del petrolio a dare il colpo di grazia a un’economia già abbastanza fragile e con un’esposizione molto alta al mercato immobiliare, strettamente correlato a quello energetico, tanto che a Calgary, nello stato dell’Alberta, epicentro della crisi del greggio, le vendite di immobili sono scese del 14% a luglio su base annua, stando a dati del Calgary Real Estate Board, mentre da inizio anno il calo è stato addirittura del 25%. E se per mesi il governo ha detto che il ciclo ribassista di petrolio e altre commodities non avrebbe contagiato l’economia nel suo insieme, ora quel contagio è sotto gli occhi di tutti.
Il Business Barometer Index sulla fiducia delle piccole imprese è sceso a luglio a 58,2, la peggior lettura da metà 2009 e un livello che corrisponde a un’economia in contrazione: «Normalmente il barometro oscilla tra 65 e 70 quando l’economia cresce in base ai suoi potenziali», si legge nel report. E all’inizio di questa settimana Statistics Canada ha confermato che il Pil a maggio è sceso per il quinto mese di fila, «un dato molto peggio del consensus piatto che attendevano gli analisti», ha dichiarato Matthieu Arseneau, senori economist alla National Bank Financia.
Le cifre parlano da sole: le industrie produttrici di beni hanno visto un calo della produzione dello 0,6%, visto che i cali dei settori minerario e gas/oil (-0,7%), manifatturiero (-1,7%) e utilities (-1,4%) hanno annullati i progressi registrati in costruzioni (+1%) e agricoltura (+0,2%). Come conseguenza, la produzione industriale è calata dell’1,2%. La produzione del settore dei servizi è calata dello 0,1%, visto che i cali nei settori vendite (-1,0%), trasporti (-0,3%), finanza/assicurazioni (-0,3%) e cultura/informazione (-0,3%) hanno operato più che un offsetting sugli aumenti di real estate (+0,4%) e servizi legati a hotel e ristoranti (+0,9%).
Nel periodo marzo-maggio, l’economia canadese si è contratta a un tasso annualizzato dell’1,8%! Il primo grafico a fondo pagina parla da solo e ci dice che la crescita economica è stata in contrazione per sei degli ultimi sette mesi. Il report prosegue, sottolineando come «se i cali nei comparti manifatturiero, energetico e delle vendite erano attesi, sono stati sorprendenti quelli giunti da altri settori. Ora ci vorrà una lettura di oltre l’1% in giugno per evitare un dato negativo per il Pil del secondo trimestre». Altrimenti, avremo due trimestri negativi di fila, quindi la recessione tecnica in base alla definizione della World Bank.
E ancora, «le industrie produttrici di beni hanno ricevuto il colpo peggiore, con la produzione giù dello 0,6% in maggio, quinto mese di calo di fila. E ora anche la speranza dell’economia canadese, i servizi, sono in stallo, con il dato di maggio a -0,1%». Il secondo grafico, è esplicativo della situazione. In positivo, come abbiamo visto, il comparto costruzioni e real estate, ma c’è poco da rallegrarsi, perché queste componenti sono legate direttamente alla bolla immobiliare, ancora ai massimi sia a Toronto che a Vancouver e che deve essere mantenuta tale a tutti i costi per mantenere i benefici di cui godono i settori correlati, dalle costruzioni, appunto, fino ai brokers.
Ma a quale prezzo, visto che in luglio la Bank of Canada ha tagliato i tassi allo 0,5%, secondo taglio da inizio anno? Anche perché l’ultimo report della Toronto-Dominion Bank parla chiaro: «Preso il dato nell’insieme, gli indicatori chiave per il bilancio del settore immobiliare continuano a sottolineare la vulnerabilità del mercato real estate di Vancouver e Toronto a significative correzioni nei prezzi e nell’attività. Alla luce delle performance di prezzi degli ultimi 3-5 anni e del grande rischio legato all’offerta, questa vulnerabilità appare sempre crescente». Per anni, i prezzi delle case sono cresciuti più velocemente dei redditi, ma anche con tassi ultra-bassi e prestito aggressivo, il pool di potenziali compratori si sta restringendo, visto che una crescente proporzione della popolazione locale sta per essere messa ai margini del mercato dalla crisi del petrolio e il mercato non potrà basarsi per sempre sui compratori stranieri, soprattutto i ricchi cinesi, i quali con ogni probabilità venderanno più che comprare, essendo incorsi in perdite legate al mercato azionario interno.
Ed ecco una correlazione che in pochi si aspettano, ovvero quella tra Canada e Cina proprio legata al comparto immobiliare. Mentre infatti il mondo (alla buon’ora) è tutto concentrato sull’andamento del mercato azionario da reparto psichiatrico di Shanghai e Shenzhen, si sta colpevolmente sottovalutando il settore real estate del Dragone, vera e propria bomba a tempo che comincia a ticchettare. Negli anni, infatti, sono stati gli investimenti a guidare maggiormente la crescita del Pil stellare cinese, arrivando addirittura al 48%, molto ad di sopra dei livelli raggiunti da altri mercati emergenti, come ci mostra il primo grafico a fondo pagina. Quello che si conosce meno è il fatto che all’interno di quella voce è proprio il real estate ad aver fatto la parte del leone: se gli investimenti sono saliti da circa il 34% del 2000 all’attuale 48% del Pil, nello stesso periodo l’immobiliare è passato da meno del 4% a circa il 15% del Pil!
E con gli analisti che hanno già anticipato un sostenuto rallentamento del comparto negli anni a venire, il secondo grafico deve davvero far spaventare, visto che mostra la correlazione tra real estate e altre parti dell’economia come vendita di automobili o produzione di acciaio (basti ricordare che il ramo immobiliare conta direttamente e indirettamente per il 50% di tutto il metallo utilizzato, stando a dati di Barclays). E l’ultimo grafico è ancora peggiore, visto che su stime di McKinsey, scopriamo che circa metà del debito cinese è legato al real estate!
Insomma, l’outllok per il settore real estate cinese rimane il più importante, anche delle equities e il path di medio termine pare chiaro, ovvero un continuo e pluriennale rallentamento di ogni significativa proporzione, anche se non un imminente collasso. Il problema è che a questa dinamica e alle sue proporzioni vanno unite la bolla azionaria, il sistema bancario ombra, le sofferenze bancarie ormai a livello insostenibile nei bilanci degli istituti e la riforma della governance della aziende a controllo statale. Tutte variabili che potrebbero andare fuori controllo, sia per fattori esogeni che endogeni e che potrebbero innescare reazioni a catena su un’economia e un debito che non è certo quello canadese, visto che il debito totale della Cina – governativo, privato e corporate – ha raggiunto a luglio i 28 triliardi di dollari!
I cali dello Shanghai Composite e di Shenzhen, in effetti, sono poca cosa in confronto. Unica la dinamica che unisce queste due realtà, Canada e Cina: il mal-investment da tassi troppo bassi, come denuncia da sempre la Scuola Austriaca di Economia. Ma voi continuate pure a dare retta a Krugman e ai profeti keynesiani.