In Giappone la Banca centrale ha chiamato ufficialmente Makoto Sakurai, un sostenitore dei tassi di interesse negativi, come nuovo membro del consiglio. Una mossa che giunge per far pendere la bilancia a favore del governatore Haruhiko Kuroda, positivo nei confronti di questa linea di politica monetaria, visto che il board della BoJ si è diviso per 5 a 4 nel decidere l’introduzione dei tassi di interesse negativi nella riunione di gennaio. Sakurai, a capo di un istituto di ricerca finanziaria che porta il suo nome, sostituirà Sayuri Shirai, il cui mandato scadrà il 31 marzo: nemmeno a dirlo, Shirai aveva votato contro la decisione del Boj di spingere i tassi di interesse in territorio negativo. A differenza del suo predecessore, Sakurai, 70 anni, vede invece questo strumento come un’arma potente per stimolare i prestiti, stando a un recente rapporto che l’economista giapponese ha scritto. Insomma, se la canta e se la suona. Contenti loro, contenti tutti.
Veniamo a noi, adesso, ovvero all’Europa. Lunedì scorso, nel silenzio generale, il quotidiano greco Kathimerini ha reso noto che la Banca centrale greca – di fatto una succursale di Bruxelles e della Bce – ha ordinato alle banche commerciali di annotare i dati personali e il record storico delle transazioni di tutti i clienti che si presentino allo sportello per cambiare banconote da 500 con pezzi più piccoli. Non solo, l’obbligo si estende anche a un’opera di controllo incrociato di altre transazioni compiute in precedenza. Il motivo? Ufficialmente combattere il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale, ma di fatto una forma di controllo totalmente incostituzionale e una violazione delle libertà civili fondamentali: in nome di cosa? Del fatto che la Grecia è la nazione con il più alto tasso di banconote circolanti, un ammontare pari al 25% del Pil quando la media Ue è al di sotto del 10%.
Ovviamente, i greci hanno tanto contante perché hanno ritirato i soldi dalle banche per evitare di perderli in stile Cipro, ma state certi che ora la scusa del contante come mezzo di finanziamento dei terroristi diverrà una priorità. Tanto che prevedo un’accelerazione da parte della Bce del ritiro delle banconote da 500 euro dalla circolazione, visto che i grafici a fondo pagina ci mostrano l’ammontare monstre di cui parliamo. Casualmente, abbassare il circolante di quell’ammontare consentirà proprio di andare molto più in negativo con i tassi di interesse, visto che il cross euro/dollaro è lì a dimostrarci come finora il Qe di Draghi sia un fallimento totale. E rischia di peggiorare.
Intendiamoci, un risultato lo ha ottenuto e ne abbiamo avuto la riprova martedì, quando gli attentati di Bruxelles avrebbe potuto innescare una fuga verso i beni rifugio: ha calmierato lo spread sui titoli di Stato italiani. Artificialmente, si intende, visto che i dati macro fanno ancora piangere. I sostegni della Bce ai Btp sono molteplici, diretti e indiretti: gli acquisti mensili da parte dell’Eurotower sono stimati in rialzo da circa 6 a 7,7 miliardi e l’impatto si vedrà già dal prossimo mese, quando verrà toccato un livello senza precedenti di emissioni di titoli di Stato in euro (al netto dei rimborsi dei titoli in scadenza) abbinate agli acquisti di Draghi. Stando a stime di Bnp Paribas si arriverà in aprile a quota 120 miliardi, mentre per Intesa Sanpaolo la cifra potrebbe aggirarsi attorno ai 100 miliardi: un fattore tecnico che eserciterà una pressione forte, spingendo i prezzi al rialzo e i rendimenti al ribasso, a prescindere dagli eventi esterni e della volatilità.
Questo anche se, stando a valutazioni di Peter Chatwell, responsabile della strategia sul fixed income a Mizuho, il rischio terrorismo fa comunque emergere le debolezze dell’eurozona, le quali agli occhi degli investitori non europei sono strutturali: la mancanza di una vera unione politica e fiscale, l’ascesa del populismo e del sentimento anti-euro. «Se i problemi europei resteranno irrisolti, il terrorismo contribuirà a ridurre la propensione al rischio degli investitori. Per la prima volta dal primo semestre del 2012, l’analisi del rischio/rendimento a favore di uno spread più stretto tra Btp e Bund non è più così attraente per noi», ha chiosato.
Bene, ora veniamo alla criticità: perché ritengo che il Qe della Bce possa peggiorare in quanto a negatività d’impatto? Vediamo un po’. Nella riunione del board del 10 marzo scorso, Mario Draghi ha annunciato il piano di aumento degli acquisti, includendo anche bond corporate non finanziari e con investment grade, questo per aumentare il volume mensile da 60 a 80 miliardi di euro. Quale potrebbe essere lo sviluppo ulteriore? La strada giapponese dell’acquisto onnivoro come scelta obbligata. Il perché è presto detto: la Bce, infatti, per una volta non sarà soggetto quasi monopolista del mercato per quanto riguarda gli acquisti perché le aziende europee stanno dando vita, ormai da tempo, a intensi buybacks del proprio debito, più che dei propri titoli azionari. Queste operazioni di riacquisto obbligazionario da parte di aziende non finanziarie sono in continua crescita dal quarto trimestre del 2012 e solo nel secondo trimestre dello scorso anno, qualcosa come 9 miliardi di euro di debito corporate è stato offerto sul mercato, sia direttamente che prima dell’annuncio di una nuova emissione più a lungo termine.
Perché le aziende europee danno vita a buybacks obbligazionari piuttosto che propendere verso attività più reflazionarie, come ad esempio gli investimenti in capitale fisso, il cosiddetto CapEx? Una combinazione di alti livelli di contante, visto che a livello europeo quel volume salirà entro fine anno a quasi 450 miliardi di euro e proprio i tassi di deposito a zero o negativi che stanno ormai emergendo ovunque. Piuttosto che soffrire della cosiddetta double taxation, ovvero il pagamento di interessi sulle obbligazioni di debito più quello sull’interesse delle detenzioni cash, per molte aziende è diventato più efficiente ricomprare i propri bond, soprattutto dopo che le agenzie di rating hanno posto ulteriore pressione affinché le ditte rifinanziassero prima del tempo le scadenze sul debito, soprattutto quando specifiche maturites sono particolarmente ampie.
Tutto questo, a livello logistico e operativo, non è di secondo piano per gli acquisti della Bce, la quale, infatti, se vuole evitare di finire potenzialmente nella condizione di prendere le decisioni riguardo le proposte obbligazionarie delle aziende, dettando di fatto i tempi, dovrebbe focalizzarsi sull’acquisto di bond con durata dai 5 anni in su. Ma se escludiamo dalla platea delle obbligazioni eligibili all’acquisto i bond con maturity tra 1 e 4 anni, come ci mostra il grafico qui sotto, allora vediamo che la disponibilità scende da un controvalore di 550 miliardi di euro ad appena 361 miliardi di euro, ovvero solo il 22% del volume reale del mercato del credito investment grade europeo.
Se invece la Bce non esclude il suo front-end del mercato del credito dai suoi acquisti, allora cosa farà se le aziende continueranno ricomprare i loro bonds? Se la Bce accetterà di concorrere, allora gli acquisti del ramo corporate si tramuteranno in bersagli mobili per la Banca centrale (e gli acquisti cumulativi totali potrebbero divenire soggetti a frequenti cali), mentre se l’Eurotower non partecipa alle offerte ostacola e riduce la capacità delle aziende europee di gestire efficientemente i loro bilanci in un mondo di tassi a zero. E cosa significa tutto questo in parole povere? Che se la Bce compra bond nel range di scadenza 1-4 anni, ma rifiuta di partecipare alle offerte, a quel punto le aziende non sarebbero in grado di rifinanziarsi per ottenere un vantaggio attraverso i bassi costi del denaro. L’unico modo per evitare di dover prendere una decisione operativa è quello di stare alla larga dal front-end, ma questo riduce appunto l’universo di bond corporate eligibili all’acquisto e, per evitare che l’intero meccanismo grippi, la Bce non potrà fare altro che abbassare le sue pretese e considerare l’acquisto anche di bond non investment grade, ovvero sotto la linea di rating BB. A quel punto, però, non sarà più una Banca centrale ma un hedge fund a tutti gli effetti. E con tutti i rischi che questo comporta.
Insomma, c’è poco da fidarsi di gente così. Per una ragione ulteriore: stranamente, proprio la Banca centrale europea è tornata a spaventare (o, forse, minacciare) l’Italia. Il bollettino economico della Bce lascia poco spazio alle interpretazioni mettendo nero su bianco che «i Paesi con alti livelli di indebitamento sono particolarmente vulnerabili a un rialzo dell’instabilità nei mercati finanziari e la loro capacità di adattamento a possibili shock avversi è piuttosto limitata». Di più, gli economisti di Francoforte ricordano che la Commissione Ue ha rilevato che otto paesi dell’Eurozona, fra cui l’Italia «sono esposti a rischi elevati per la sostenibilità del bilancio pubblico nel medio periodo» e per questo la Bce sollecita «ulteriori sforzi di risanamento dei conti». A maggior ragione perché la «ripresa economica nell’area dell’euro sta proseguendo, anche se a ritmi inferiori a quelli attesi agli inizi dell’anno sulla scia dell’indebolimento del contesto esterno».
Prepariamoci, mentre loro fanno gli esperimenti e comprano immondizia per comprimere gli spread, prima dell’estate a noi verrà chiesto nuovo sangue fiscale. Lo chiede l’Europa, la stessa che gioca a fare il fondo speculativo, ma che poi bacchetta i vizi altrui.