Insomma, l’Europa ci concede o meno un po’ di flessibilità e operatività per puntellare il nostro sistema bancario? Nonostante non fosse ufficialmente in agenda, la questione è stata al centro dell’Eurogruppo e dell’Ecofin di lunedì e martedì, appuntamenti dai quali sono uscite alcune rassicurazioni ma non certezze. O, tantomeno, mosse concrete. «Una soluzione al problema delle banche italiane sarà trovata entro il mese di ottobre, ben prima del referendum proposto dal governo Renzi», ha assicurato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem a margine della riunione dell’Ecofin. «Non vedo alcuno sviluppo verso una crisi», ha invece affermato in merito la cancelliera tedesca, Angela Merkel, a detta della quale «per quel che riguarda l’Italia, ci sono colloqui intensi fra il governo Renzi e la Commissione europea. Sono convinta che queste questioni, pur decisive, possano essere risolte bene».
Dello stesso avviso anche il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, stranamente in versione colomba. Decisamente schierato a favore del nostro Paese anche il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, a detta del quale «oggi per il governo italiano è una preoccupazione prendere le misure necessarie per ristabilire la fiducia nel sistema bancario. Credo sia nostro dovere essere solidali. Non sono favorevole a un ammorbidimento delle regole europee ma sono per l’intelligenza nell’applicazione di queste regole». Il presidente di turno dell’Ecofin, lo slovacco Peter Kazimir, ha aggiunto: «Non bisogna farsi prendere dal panico sul settore bancario, soprattutto in alcuni Paesi». Stando al ministro delle Finanze, nonostante nel comparto servano riforme calibrate, allo stesso tempo è necessario «non eccedere con gli aumenti di capitale, non andare troppo in là con i requisiti. Anche perché le ricapitalizzazioni possono essere anche pericolose se sui mercati si diffonde l’idea che non c’è par condicio in giro per il mondo». Infine, per Kazimir «non ci sono dati che dimostrino che le banche europee stiano sottovalutando i rischi».
Insomma, sembra tirare aria non proprio avversa. Anzi, per una volta i partner europei sembrano intenzionati a non inchiodarci al muro del rigore come in passato, ma si mostrano addirittura solidali, come Sapin. Sapete perché? Paura del contagio. E, magicamente, ecco che il bail-in non è più il mantra intoccabile che sembrava. La ratio europea, infatti, fino a una decina di giorni fa era chiara: le regole non si cambiano, non si può più permettere salvataggi di banche con soldi pubblici senza che anche gli obbligazionisti non siano chiamati a condividere parte del prezzo da pagare per salvare o ricapitalizzare un istituto. Poi, da qualche giorno, i toni sono cambiati. E addirittura la Reuters ha trovato una breccia nella legislazione del bail-in che consentirebbe al governo italiano di intervenire in Monte dei Paschi senza far scattare perdite su detentori di bond: «Le regole, che sono entrate in vigore dallo scorso gennaio, permettono a uno Stato di acquisire direttamente una partecipazione in una banca che fallisca gli stress test e che non possa operare aumenti di capitale sul mercato a causa di serie difficoltà nell’economia interna».
Ma c’è di più, perché l’Economist nel suo ultimo numero, quello dedicato proprio al rischio sistemico del sistema bancario italiano, faceva notare che circa 200 miliardi di euro di bond bancari sono detenuti da investitori retail, un qualcosa che aggiunge una dimensione politica al mix: «Se le regole del bail-in saranno applicate rigidamente in Italia, lo scontento dei risparmiatori danneggerà la fiducia e lascerà la porta verso il potere aperta al Movimento 5 Stelle, un gruppo che incolpa la moneta unica dei problemi economici dell’Italia». Tutto vero, ma la questione che spaventa banchieri e politici è altra: il contagio diretto, un problema particolarmente acuto dato il cosiddetto doom loop che esiste in Europa, ovvero la stretta connessione tra debito sovrano e sistema bancario. Grazie alla Bce, infatti, quel nesso è sempre più stretto, vista la doppia volontà di sostenere le banche più grandi con una fornitura infinita di moneta a costo zero e anche il mercato obbligazionario sovrano, reso di fatto risk-free proprio dagli acquisti di Francoforte che garantiscono un back-stop anti-speculativo.
Dunque, le banche si finanziano a tassi nulli e comprano debito sovrano che rende nulla ma è a rischio zero, formalmente. Ma questo crea un altro circolo vizioso, questa volta tra banche e governi. Comprando debito con il badile, infatti, gli istituti di credito diventano dipendenti dalle performance politiche ed economiche dei vari esecutivi: capite da soli che una dipendenza simile nell’eurozona dello zero virgola di crescita è un suicidio conclamato, ma ormai il nesso non si può più rompere, perché dal canto loro i governi hanno bisogno che le banche comprino debito pubblico, un qualcosa che grazie alla Bce è dato per scontato ormai da mesi e mesi. Il problema, come in tutti i rapporti simbiotici, è che se uno dei soggetti finisce nei guai, lo stesso vale anche per l’altro.
Ed eccoci al perché i nostri partner europei si stanno mostrando, per ora solo a parole, così comprensivi verso le richieste del nostro governo. Nonostante le pressioni dei falchi del Nord come Germania, Olanda e Finlandia, i quali da tempo chiedono di porre fine al doom loop rimuovendo lo status risk-free ad alcuni debiti sovrani, infatti, la questione con il tempo è solo peggiorata e recenti dati di Standard&Poor’s lo confermano. Stando alle cifre raccolte dall’agenzia di rating, le banche europee non hanno mai investito così tanto dell’obbligazionario sovrano come in questo ultimo periodo, facendo aumentare le loro esposizioni fino a 791 miliardi di euro: soltanto verso il debito italiano, le banche internazionali sono esposte per 550 miliardi.
Capito perché sono così carini e simpatici, dopo l’iniziale rigidità di Merkel e soci? E, a parte ovviamente noi, chi è più esposto verso il debito sovrano italiano? La Francia e di tantissimo rispetto agli altri! Capito perché Sapin chiede solidarietà verso i nostri guai? Stando a quanto riportato dal quotidiano tedesco Die Welt, infatti, l’esposizione totale delle banche francesi al nostro debito è superiore ai 250 miliardi di euro, il triplo delle detenzioni del secondo Paese più esposto, quella Germania che nel 2011 ha scaricato tutti i nostri Btp e che oggi invece vede le sue banche esposte per 83,2 miliardi di euro, con la sola Deutsche Bank che ha nei suoi books qualcosa come 11,76 miliardi di controvalore di carta italiana.
Gli altri settori bancari a maggior rischio di contagio sono quello spagnolo (44,6 miliardi), quello statunitense (42,3 miliardi), quello britannico (29,77 miliardi) e quello giapponese (27,6 miliardi). Insomma, un tonfo del nostro sistema bancario e la conseguente attivazione del doom loop sul debito sovrano, l’Europa non se lo può proprio permettere e non per solidarietà ma per interesse. Se infatti le nostre banche cominciano a cadere come mosche sotto il peso di sofferenze e sotto-capitalizzazione, gli investitori cominceranno a vendere o andare short in massa sul nostro debito sovrano, mandando il doom loop in modalità estrema e rischiando di innescare perdite a bilancio sanguinose per le banche di mezza Europa: la traballante Deutsche Bank in testa. Capito perché la Merkel sembra diventata una nonna affettuosa e comprensiva?
Con il suo operato, di fatto, Draghi ha sì cancellato ogni concetto di price discovery e fair value dal mercato obbligazionario, ma ha anche creato un circolo vizioso tale da tramutarsi in un’assicurazione sulla vita per il nostro Paese: gli altri possono fare la voce grossa quanto voglia, ma essendosi fatti ingolosire dal nostro debito in ossequio al whatever it takes, ora sono legati a doppio filo al nostro destino. Per l’ex membro del board della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, «l’intero mercato bancario è sotto pressione. Noi abbiamo adottato regole sul denaro pubblico, ma queste regole devono essere settate su un mercato che oggi vive una potenziale crisi e che quindi può necessitare alcune sospensioni delle stesse». Della serie, al diavolo il bail-in, bentornati salvataggi pubblici. E Lorenzo Bini-Smaghi sa quello che dice, essendo presidente di Société Générale, una delle più grandi banche francesi. Nonché, una delle più esposte verso il nostro debito sovrano. Et voilà.