“Più cretini di così, si muore”. Ci vorrebbe la desolata battuta di Ettore Petrolini per descrivere, in sintesi, la situazione nella quale verranno presto (quasi certamente) a trovarsi i principali operatori telefonici del mercato italiano. È la situazione che si creerà se andrà in porto la complessa operazione (in attesa delle autorizzazioni europee) che dovrebbe portare alla fusione tra Wind e 3 Italia e alla contestuale nascita di un nuovo operatore, ovvero il “nuovo quarto operatore mobile” d’Italia, per iniziativa di Iliad, colosso francese della telefonia mobile low-cost che fa capo al miliardario Xavier Neil.
Che siano stati dei cretini, i padroni dei telefoni, la Borsa lo ha capito, “punendo” duramente ieri il titolo Telecom a Milano, che è sceso di circa il 10%, e un po’ meno, ma comunque con severità, anche il titolo Vodafone alla Borsa di Londra. Ma perché cretini? Cosa sta succedendo?
Diciamo innanzitutto una cosa: grazie all’inflessibile Margrethe Vestager, la Commissaria europea alla concorrenza, mai come stavolta il mercato ha fatto il suo lavoro e promette di premiare il consumatore stangando gli oligopolisti: per colpa di loro stessi, ma comunque stangandoli. Bene, quindi, dal punto di vista dei clienti. Però… ci sono rischi e incognite da non sottovalutare, per il Paese. Spieghiamoli, andando con ordine.
Come su queste pagine Zaccheo ha più volte spiegato nei mesi e negli anni passati, il mercato della telefonia italiana – all’origine il più ricco e interessante d’Europa, e non solo – è stato gravemente (e oggi si può dire: irrimediabilmente) sconvolto dalla gestione irresponsabile e miope fatta dal governo Prodi della privatizzazione di Telecom Italia. Ansiosi di obbedire all’autolesionistico accordo Andreatta-Van Miert, che prescrisse all’Italia la più grande campagna di privatizzazioni fatta da un Paese europeo come “obolo” per aderire (ahinoi) alla prima fase dell’euro, Prodi e Ciampi, presidente del Consiglio e ministro del Tesoro, con Mario Draghi allora direttore generale del Tesoro, si trovarono di fatto, e certo a fin di bene e in buona fede, a gestire una colossale svendita. Alcuni “pezzi” dell’argenteria di famiglia furono venduti meglio, altri peggio, Telecom malissimo: per appena 27 mila miliardi di lire (14 miliardi di euro!) e a mani sbagliate, quelle dei riluttanti Agnelli, che costituirono un inconsistente “nocciolino” di controllo.
Su questo peccato originale s’aggiunse l’effetto nefasto del peccato mortale del successivo premier, Massimo D’Alema, che autorizzò (anzi in realtà promosse) l’Opa Olivetti su Telecom, veicolo fatale e inarrestabile di un mega-indebitamento che tuttora zavorra l’azienda (sia pur meno di prima) e che ha anche falsato il mercato, suggerendo alle varie autorità che si sono susseguite in quasi vent’anni di adottare sempre un occhio di riguardo “pro-Telecom” e quindi anti-competitivo, perché era “interesse nazionale” aiutarla.
Altra clamorosa deformazione del mercato, l’asta del 2001 sui telefonini 3G Umts che, nata col governo D’Alema come un “beauty contest” (tradotto: dateci quel che volete e noi vi diamo le frequenze) divenne, per decreto di Giuliano Amato, un’asta vera e propria, con prezzi folli, che spellarono vivi tutti i gestori. Chi già gestiva il Gsm – cioè Tim, Vodafone e Wind – si svenò ma resse. Dei due nuovi entranti, cioè H3G con 3 Italia e Blu, il primo sopravvisse, grazie alla forza finanziaria dell’azionista cinese Hutchison Wampoa e alle buone idee di marketing che l’azienda iniziò a inventarsi, ma comunque perdendo denari; il secondo si dissolse. Tim continuò ad andar bene, soffrendo però dei debiti del gruppo Telecom; Vodafone a sua volta (e onore al merito) è andata sempre bene; Wind è stata poi mollata dall’Enel – che ci ha perso 5 miliardi, salvo poi adesso rilanciarsi nella telefonia! – a un primo, inaffidabile compratore, il magnate egiziano copto Naguib Sawiris che l’ha comprata “a leva” indebitandola vieppiù e, dopo essersela palleggiata un po’, l’ha girata ai russi di Vimpelcom. E 3 Italia si è messa a caccia di soluzioni strategiche, forte di una bella intraprendenza e, soprattutto, dei soldi e della determinazione di un azionista industriale serio.
Ma siamo in Italia. Gli stessi padroni di 3 hanno anche cercato di comprare il porto di Taranto (la logistica marittima è un altro loro mestiere): e l’hanno presa nei denti, perché nonostante tutti gli accordi di programma di questo mondo gli hanno negato il diritto di scavare i fondali per far attraccare le superportacontainer finché, stufi, sono andati a fare lo stesso lavoro al Pireo. Abbastanza schifati della burocrazia italiana, hanno deciso che era meglio investire in Gran Bretagna anche nei telefoni, comprando O2, piuttosto che insistere a essere compratori in Italia (peraltro, poi, anche a Londra hanno preso il due di picche dalla Commissione europea, ma questa è un’altra storia).
Dunque, in Italia, i cinesi di CkHutchison hanno capito che Telecom era intoccabile: attenzione, non in assoluto – perché, al contrario, Mediobanca l’ha lasciata comprare per due fichi e un peperone da monsieur Vincent Bollorè, ma questo è uno che giocava a carte segnate, era già il padrone della medesima Mediobanca, quindi ha avuto vita facile. Fatto sta che per i cinesi Telecom era off-limits. E si sono rassegnati a trattare con Vimpelcom per Wind. Rassegnati nel senso che mettere d’accordo un russo e un cinese è come far fare un bagno al diavolo nell’acqua santa, eppure l’hanno fatto e hanno deciso non di comprare Wind (basta investire soldi freschi in Italia, dopo le dita nell’occhio presa a Taranto e con Telecom) ma di fondere le due società.
Perché fonderle? State bene attenti. La fusione tra il terzo (partito nel 1995) e il quarto (partito nel 2003) operatore di telefonia mobile italiana è stata progettata per fare le ovvie sinergie tecnologiche (antenne in comune, apparati in comune, server farm in comune) e commerciali (negozi in sinergia), ma anche e soprattutto per far risalire gradatamente i prezzi (naturalmente senza dirlo prima a nessuno!). Wind e 3 Italia, soprattutto quest’ultima, sono stati infatti negli ultimi dieci anni i due operatori che hanno guidato e quindi determinato il ribasso dei prezzi che c’è stato sul mercato. Incredibilmente seguiti da Tim e Vodafone che pur di non perdere ulteriori clienti hanno a loro volta ribassato.
È chiaro, quindi, che se in un mercato operano due operatori dominanti e due sfidanti “ribassisti”, quando questi ultimi due si fondono e concordano di fare dei prezzi in sintonia, che siano competitivi rispetto a quelli di Tim e Vodafone ma non più “stracciati”, la corsa del mercato al ribasso frena e tutti guadagnano di più. Non solo Wind e H3G: tutti. Ciò spiega il favore espresso da Telecom e Vodafone all’operazione. Se non fosse risultata conveniente anche per loro, perché mai avrebbero dovuto dirsi a favore, essere contenti? Per il miglior vantaggio del mercato? Come no, e l’asino vola.
Quando però Wind e H3G hanno chiesto a Bruxelles, cioè alla Vestager, l’ok alla fusione, si sono visti sbattere la porta in faccia. La signora è una socialista danese col vizietto di voler fare l’interesse del popolo e non quello di lorsignori. Ha capito subito che, a dispetto delle smentite, la fusione aveva tra i suoi obiettivi quello di rialzare i prezzi, eliminando il quarto gestore e con esso il vizietto degli italiani di farsi concorrenza sul serio abbassandoli, i prezzi. E ha detto: se volete fondervi, fatelo, ma dovete vendere asset (tralicci di trasmissione, frequenze eccetera) in misura sufficiente a far nascere un altro quarto gestore. Che anzi, dovete procurarvi voi, mettendo sul mercato antenne eccetera.
È chiaro adesso? Forse ancora no. In sintesi brutale: Wind e H3G decidono di fondersi (anche) per far salire i prezzi, ma Bruxelles condiziona la fusione alla nascita di un quarto gestore che provveda a farli, invece, rimanere bassi. Ciò svuota del grosso degli effetti sperati la fusione in sé, e cancella i sogni di rianimazione di Tim e Vodafone, che infatti vengono puniti dalla Borsa. Più chiaro, adesso?
Ma allora – ci si potrebbe chiedere – perché mai Vimpelcom e CkHutchison insistono nel voler fondere le loro controllate italiane? Mistero. O hanno trovato il petrolio nel sottosuolo delle loro sedi e contano di poterlo pompare fuori facendo i soldi, ma è improbabile. Oppure pensano che nonostante il “nuovo-quarto-gestore” riusciranno a fare altre sinergie per guadagnare di più. O ancora, e più probabilmente, sono pro-tempore guidati da managerini che hanno messo la faccia sulla riuscita della fusione “a ogni costo” e adesso non vogliono ripresentarsi dai padroni con la coda tra le gambe e dire: “Buana, abbiamo fallito”. Preferiscono fingere di avercela fatta comunque e rinviare le grane all’anno prossimo.
Ed è qui che, non alla Vestager – soddisfatta del risultato raggiunto -, ma alle autorità italiane dovrebbe suonare un campanello d’allarme. Visto che la fusione la faranno lo stesso, come potranno cercare di farla fruttare, visto che nel frattempo il quarto operatore “Free” di Iliad abbasserà quei prezzi che loro avrebbero voluto rialzare? Da dove trarranno le famose sinergie, se non potranno più alzare i prezzi (perché ci sarà il nuovo quarto gestore a tenerli bassi)? La risposta allarmante è una sola: Wind e H3G potranno fare sinergie tagliando costi. Alias, tagliando posti di lavoro.
Ora: considerato che l’80% dei ricavi delle compagnie telefoniche dipende (sottolineato: dipende) dall’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, e dalle tariffe che detta, e considerato che quindi il governo, più o meno direttamente, ha potere di vita o di morte sulle medesime compagnie, l’ha capito – il governo medesimo – questo trigo? In particolare, lo sa Matteo Renzi che con questo teatrino rischia di veder saltare in aria qualche migliaio di posti di lavoro? È questo che vuole, magari a ridosso del referendum?
Chicca nel caos: chi è veramente questo Niel che farà il “quarto operatore” in Italia? È il più aggressivo di tutti, con la sua compagnia Iliad ha drammaticamente calmierato i prezzi in Francia. Iliad sta a Tim o a Vodafone come Ryanair sta ad Alitalia. Non c’è gara. Poi, si capisce: questo genere di servizi low-cost qualitativamente fa acqua. Però, di questi tempi, chi non farebbe qualche rinuncia sul piano della qualità per pagare la metà?
Ecco spiegato il paradosso dell’inizio, quel “più cretini di così si muore”: gli operatori telefonici, non solo Wind e H3G, ma “in spirito” tutti e quattro, sono andati a Bruxelles per suonare e sono stati suonati. Speravano di ridurre la concorrenza e aumentare i prezzi, e invece se la ritroveranno in casa, aggressiva, capace e incattivita. E l’Azienda Italia avrà sei o sette milioni di utenti telefonici che pagheranno qualche euro in meno al mese di oggi per “condividere” gattini su Whatsapp a gogò; e avrà molte ma molte centinaia (o migliaia) di disoccupati in più. Evviva.