Fari puntati su Monte dei Paschi ieri, un po’ come accade da parecchi giorni. Non tanto e non solo per il rimbalzo del titolo, arrivato in mattinata a +11%, nonostante il profondo rosso del Ftse Mib nel suo insieme (-2% all’ora di pranzo) e dovuto soprattutto al divieto di vendite allo scoperto imposto dalla Consob, bensì per le voci di “aiuti” politici sempre più insistenti. Per l’istituto senese, infatti, «il punto di partenza è tutelare il risparmio; la soluzione tecnica si deciderà nelle prossime ore», ha affermato nella mattinata di ieri il sottosegretario al ministero dell’Economia, Pier Paolo Baretta, nel corso di un’intervista, salvo poi correggere il tiro: «Nessun intervento è previsto nelle prossime ore. In ogni caso, qualsiasi decisione la prenderemo d’intesa con la Commissione europea, con l’Europa. Ci muoviamo in un quadro condiviso». Come al solito, dal governo una posizione chiara, competente e coerente sul tema.
Ma quasi in contemporanea alle parole di Baretta, il neo-commissario ai servizi finanziari, Valdis Dombrovskis, parlando alla Commissione economica del Parlamento europeo, faceva capire quale fosse la reale urgenza della situazione, nonostante la durezza di facciata della Merkel sul tema: «Con le autorità italiane c’è un contatto costante: siamo pronti a intervenire sul settore bancario se sarà necessario. Sul modo dipenderà dalle richieste italiane. Quando applichiamo le regole, lo facciamo tenendo conto delle circostanze: nel caso del bail-in, è possibile la ricapitalizzazione precauzionale (con l’intervento pubblico, ndr) soggetta a certe condizioni, per esempio le banca in questione deve essere solvente, soddisfare i requisiti di capitale nello scenario economico di base». In pratica, se gli stress test su un istituto sono negativi e la banca è solvente, si può intervenire. E con qualche magheggio non-GAAP, la solvibilità si trova. O si inventa. E per Mps bisogna fare in fretta, perché il risultato dello stress test è atteso per fine luglio.
Ma quanto è davvero grave la situazione? Come sapete sono mesi e mesi che vi dico che il sistema bancario italiano non è affatto solido come vanno ripetendo politici e banchieri, ma è schiacciato da due criticità che peggiorano sempre di più: esposizione al nostro debito sovrano con detenzioni vicine ai 350 miliardi e sofferenze lorde per 200 miliardi. Mps è solo il caso più eclatante, ma sono in tanti a non stare affatto bene, altro che Brexit che affonda le Borse. Da quando si è conosciuto il risultato sul referendum britannico, infatti, e al netto del rimbalzo da gatto morto di ieri, il titolo dell’istituto senese ha perso il 45% e il suo credit-default swap implica oggi il 40% di rischio di andare a zampe all’aria. Tanto che per Peter Garnry della Saxo Bank, «un’implosione del sistema bancario italiano si tramuterebbe in una cascata capace di generare una nuova crisi per gli istituti europei e per l’accessibilità al finanziamento di mercato, creando disordine e deterioramento del sentiment, con ovvie implicazioni su crescita e prezzi». E se scatta anche solo un accenno di price discovery seria, addio: o si vietano del tutto le vendite allo scoperto, altrimenti qualcuno ci lascia la ghirba.
Volete davvero sapere quale sia la situazione generale del nostro sistema? Ce lo dice questa tabella, relativa proprio alla base delle criticità: quei 200 miliardi di crediti in sofferenza, già svalutati del 56% ai fini dei bilanci, ma che il mercato valuterebbe intorno al 20-25%, implicando ulteriori perdite per una quarantina di miliardi. Quindi, aumenti di capitale in condizioni di mercato pessime, se non proibitive. Questa tabella ci mostra una misura del grado di rischio di una banca, la cosiddetta “Texas ratio”, ovvero il rapporto tra le sofferenze lorde e il patrimonio netto tangibile, aumentato del valore delle svalutazioni già effettuate delle sofferenze stesse. Quando il rapporto supera il 100%, scatta il segnale d’allarme sull’adeguatezza patrimoniale dell’istituto. Come vedete sono sette le banche quotate sull’Euro STOXX 600 Banks che superano quella ratio e tre sono italiane, con Mps in testa. Ma se vedete bene, subito sotto la linea di allarme, a un passo dal pericolo reale, ci sono Unicredit e Intesa Sanpaolo, i principali istituti del Paese, quelli davvero too big to fail senza l’aiuto della Bce.
Queste due banche insieme a Monte dei Paschi, Banco Popolare e Ubi alla fine del primo trimestre di quest’anno detenevano 119 miliardi di non performing loans, quando la common equity aggregata delle banche italiane quotate era a 125 miliardi di euro (sempre alla fine del primo trimestre). Di più, oggi Monte dei Paschi capitalizza in Borsa meno del miliardo che deve ancora rimborsare allo Stato per i Monti bond, esclusi gli interessi: di fatto, lo Stato è padrone già oggi dell’istituto.
Cosa succederà? La vulgata più comune è quella che vuole la Bce pronta, in caso di deterioramento della situazione, a iniettare direttamente liquidità nelle banche italiane in cambio di collaterale in ossequio al mandato di stabilità dei prezzi dell’Eurotower. Anche perché parliamo di una situazione che in Italia vede il 17% dei prestiti delle banche andati a male, persi o incagliati. Ciò equivale a quasi 10 volte il livello degli Stati Uniti, dove, anche nei momenti peggiori della crisi finanziaria 2008-09, è stato solo del 5%.
Tra le banche quotate nella zona euro, gli istituti di credito italiani rappresentano quasi la metà del totale dei crediti inesigibili. Anni di standard lassisti riguardo la concessione dei prestiti e, soprattutto, elargizioni a pioggia per finalità meramente politiche o familistiche, visto che il grosso delle sofferenze riguarda prestiti sopra il milione di euro, non quelli di poche centinaia di migliaia delle Pmi, hanno lasciato le banche italiane impreparate, quando il crollo economico di pochi anni fa ha fatto salire il tasso dei fallimenti. Addirittura, per Banca Monte dei Paschi di Siena, le sofferenze erano così ingombranti che è stato creato un team di 700 persone per affrontare tale problema e trovare una soluzione e alcune settimane fa ha messo in vendita il pacchetto di crediti inesigibili nella speranza che un partner straniero avrebbe accelerato il processo di liquidazione. Risultato? Nulla.
Quando poi nel 2014 la Bce ha iniziato la supervisione delle più grandi banche della zona Euro, le cose sono diventate più difficili da gestire, visto che il nuovo supervisore ha applicato criteri più severi per la dichiarazione dei crediti deteriorati rispetto a quelli adottati dalla Banca d’Italia. Ad aprile, ad esempio, ha costretto una banca a subire maggiori svalutazioni sui crediti deteriorati, prima che ricevesse la sua benedizione a fondersi con un’altra banca: il risultato è che i crediti deteriorati delle banche italiane ora superano i 360 miliardi di euro, quadruplicati rispetto al livello del 2008 e continuano ad aumentare. Avete letto bene, quadruplicati.
Fin qui la realtà, molto grave ma non ancora drammatica delle banche italiane, il cui stato di salute precario (grazie anche all’operato di Bankitalia, Consob e Abi negli anni, senza parlare della politica e delle sue prebende tramite le Fondazioni) denuncio da sempre e certamente non nego ora. Però c’è qualcos’altro da dire, se si vuole dare un quadro reale della situazione e della sua gravità e ce lo mostra questo grafico: con l’ennesimo tonfo di lunedì a Francoforte, non solo il prezzo del titolo Deutsche Bank ha aggiornato un nuovo minimo, ma oggi è per analogia allo stesso punto in cui si trovava Lehman Brothers nell’agosto del 2008, ovvero a un mese dal fallimento e quando tutti pensarono che quell’epilogo si sarebbe evitato sulla scorta di rumors riguardo un salvataggio della Korean Development Bank che portò sul breve a un aumento del prezzo del 16%. Poi, il crollo.
Cosa voglio dire? Che sentiremo meno prese di posizione tedesche sulle regole e che, non potendo la Germania permettersi voci e rumors su possibili salvataggi o fusioni di Deutsche Bank in stile Lehman, poiché si tradurrebbero nel mitologico accelerante in un incendio doloso, temo che qualcuno stia usando Monte dei Paschi e i suoi conti a pezzi come proxy per ottenere un nuovo salvataggio bancario di massa nell’eurozona.
Pensateci un attimo. Pochi giorni fa, la Bce manda una lettera di fuoco a Monte dei Paschi, il cui messaggio è sostanzialmente chiaro: Mps presenti al più presto un piano triennale per riportare a livello fisiologico la percentuale dei crediti in sofferenza della banca. La questione, però, non riguarda proprio spiccioli, visto che ora i banchieri toscani sono chiamati a smaltire almeno una decina di miliardi di euro di sofferenze lorde, cioè almeno un terzo dei 27 miliardi che da tempo hanno zavorrato la ripresa della banca. Detto fatto, il titolo è cominciato a crollare e i timori per la sostenibilità stessa dell’istituto aumentati vistosamente. La politica ha cominciato a fibrillare e ieri ci ha pensato Dombrovskis, ovvero l’Ue, a dire chiaro e tondo che in caso di necessità, le regole sul bail-in, intoccabili per la Merkel a parole, posso invece essere ammorbidite e gradualizzate. Non vi pare l’atteggiamento di uno che vi tira un pugno in faccia e subito dopo vi porge il fazzoletto per tergere il sangue?
Ora, è noto che da Ue e Bce sono arrivate negli anni decisioni e proposte degne della ridiscussione dell’intero pensiero di Basaglia, ma qui la puzza di bruciato si sente davvero lontano un miglio. Non è che si è innescato l’incendio doloso su Mps per accelerare – e non poco – nuove misure di sostegno per l’intero comparto, compresa quella Deutsche Bank tanto sistemica quanto in caduta libera che potrebbe innescare una serie di default su collaterale e controparte per triliardi di dollari? Ancora una volta i tedeschi hanno voluto fare i furbi, usando in tal senso Mps come proxy, come vi dicevo, per un mega bail-out generale, visto che in Spagna e Portogallo ci sono già due banche pronte a saltare? Un atteggiamento che vedrebbe Mario Draghi di fatto soddisfatto, visto che a fronte del salvataggio di Deutsche Bank – anche per via indiretta – e del suo nozionale di esposizione ai derivati, potrebbe tacitare per un po’ i rimbrotti continui di Bundesbank e Schaeuble e garantire nel contempo alle banche del suo Paese, Mps in testa, di poter essere salvate, magari da un Fondo Atlante 2 rinforzato dal sostegno europeo e dal via libera all’operatività di Cassa depositi e prestiti non come aiuto di Stato.
La situazione, cari lettori, è questa. Eppure vi avevano detto che il nostro sistema bancario era sano e solido. Non è così e lo stesso discorso vale per tre quarti abbondanti dell’eurozona. Converrà agire. E in fretta.