MANOVRA/ Il grande inganno della flessibilità europea
Il Governo Renzi si prepara a chiedere nuova flessibilità all’Europa. Per GUSTAVO PIGA ciò non eliminerebbe però il vero problema che affligge l’economia italiana

Gli ultimi dati Istat sul Pil hanno allarmato il Governo, che si prepara a chiedere nuova flessibilità all’Europa. Secondo alcune fonti, Matteo Renzi vorrebbe negoziare per il 2017 un deficit/Pil al 2,4%, mantenendolo quindi allo stesso livello di quest’anno, anziché all’1,8% concordato con Bruxelles (anche se inizialmente si sarebbe dovuti scendere all’1,4%). In buona sostanza si cercherebbe di ottenere un margine di 10 miliardi di euro per poter dar vita a un taglio delle tasse, a interventi sul sistema previdenziale e aumentare gli investimenti pubblici. Per Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «i numeri ci stanno chiaramente sfuggendo di mano, continuiamo a far promesse all’Europa che manteniamo sempre meno».
Perché secondo lei?
Il problema è la scarsa crescita. Certamente tra le sue cause ci sono dei problemi strutturali che l’Italia deve sistemare, anche se non vedo segnali forti sul fatto che lo si stia facendo, perché il vero ritardo sulla produttività delle nostre imprese è dovuto a una carenza di qualità nell’azione della Pubblica amministrazione e non mi sembra che il Governo stia combattendo gli sprechi con la dovuta energia. Al di là di questo, c’è un problema ciclico che sta incartando l’economia italiana. E se andiamo a vedere i numeri, esso dipende dalla mancanza di voglia di investire da parte delle imprese.
E da che cosa dipende questo deficit?
Di certo non ha nulla a che vedere con la qualità dell’azione della Pubblica amministrazione. Il punto è che dal 2011 ci siamo dati una costituzione fiscale europea, il Fiscal compact, che obbliga ogni governo italiano, in qualsiasi momento, quindi anche quando c’è una difficoltà ciclica come quella attuale, a dover dire a tutti gli investitori, senza se e senza ma, che nei successivi 3-4 anni ci si impegnerà ad abbassare il deficit verso il famoso 0%. E questo 0% in 3-4 anni vuol dire manovre complessive da circa 50 miliardi di euro, fatte di maggiori tasse e tagli di appalti pubblici. Questo indipendentemente da quello che Renzi riesce a negoziare oggi.
Cosa intende dire esattamente Professore?
Che se anche il Governo otterrà di poter lasciare il deficit al 2,4%, nella nota di aggiornamento del Def che verrà fatta in autunno vedremo che nel 2018, 2019, 2020, 2021 ci sarà un progressivo abbattimento del deficit per portarlo a zero. Questa è la costruzione fiscale che resta intatta e dunque non serve negoziare ogni volta un rinvio, perché ci sarà la conferma di una politica restrittiva per i successivi 3-4 anni. Che corrispondono all’orizzonte temporale usato dalle imprese per decidere se fare o meno degli investimenti.
Quindi le imprese vedranno che ci sarà un percorso di riduzione del deficit per raggiungere il pareggio di bilancio…
Esatto, un imprenditore noterà le manovre da 50 miliardi promesse per i successivi anni. Ora, è vero che probabilmente non ci sarà una stretta del genere, perché è molto difficile da realizzare, lo si è visto anche in questi ultimi anni, però l’imprenditore rimane con un dubbio. E non c’è nulla di peggio per deprimere gli investimenti di un’incertezza sull’ambiente in cui l’impresa vivrà nei prossimi anni. Il vero problema non è quindi rinegoziare il deficit per un anno, ma rivedere questa struttura idiota che ci siamo dati, chiamata Fiscal compact, che non permette assolutamente alle imprese di scommettere sul futuro.
In che modo si potrebbe rivedere il Fiscal compact?
Partiamo dal presupposto che occorre sedersi seriamente intorno a un tavolo per decidere in quale Europa vogliamo stare. Una possibilità potrebbe essere quella di consentire un deficit/Pil al 3% fino a quando la nostra economia non si sarà ripresa. Questo sarebbe un segnale importante per gli imprenditori. Farebbe capire che perlomeno nei prossimi 4-5 anni non ci saranno aumenti di tasse e riduzioni di appalti.
Vorrebbe dire però fare un passo indietro a livello europeo…
Credo che siamo in una situazione in cui l’Europa è talmente debole, talmente ferita dalla Brexit, sconvolta dalla sua incapacità di generare consenso, che è necessario darsi una mossa. Il modello su cui si è basata la Germania per rendere forte l’Europa non funziona. E questo ogni giorno che passa diventa sempre più evidente, anche agli occhi della stessa Merkel. Che probabilmente dirà sì alla richiesta di Renzi sul deficit al 2,4% del Pil, perché non può perdere un alleato così importante. Ma se Renzi conta così tanto, deve spingersi più in là chiedendo la modifica di un trattato firmato nel 2011. Aggiungo una cosa sul nostro Premier.
Quale?
Renzi sta facendo una campagna su un referendum per cambiare la Costituzione italiana, ma è nettamente più importante cambiare la costituzione fiscale europea. Aspettiamo con ansia questa sua mossa, poiché finora la politica del Premier è stata fallimentare.
Tornando alla proposta di revisione del Fiscal compact, lei ha parlato di poter arrivare a un deficit del 3% del Pil fino a quando l’economia non si sarà ripresa. A quale tasso di crescita potremmo dire di poter essere in ripresa?
Non basta un +1%. Lo abbiamo visto: è sempre soggetto a diventare rapidamente uno zero in caso di shock esterni. Bisogna quindi puntare a dire che si potrà tenere il deficit al 3% del Pil fino a quando l’economia italiana non tornerà a crescere almeno del 2%. Questo significa che se già crescessimo dell’1% e le entrate aumentassero un po’ e il deficit diminuisse, si creerebbe uno spazio (dovuta alla possibilità di riportare il deficit al 3%) per delle politiche espansive vere, non quelle finte che vengono annunciate.
In che senso finte?
Tenere il deficit al 2,4% del Pil non è politica espansiva, al massimo è neutrale. Ma è poi restrittiva , come abbiamo detto, nell’arco dei successivi quattro anni.
(Lorenzo Torrisi)
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