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Home » Economia e Finanza » GEO-POLITICA/ La guerra contro i popoli che serve ai poteri forti finanziari

  • Economia e Finanza

GEO-POLITICA/ La guerra contro i popoli che serve ai poteri forti finanziari

Giovanni Passali
Pubblicato 8 Agosto 2016
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Immagini di repertorio (LaPresse)

Siamo in guerra, ormai è evidente, dice GIOVANNI PASSALI. E si tratta di una guerra di religione: quella della grande finanza che adora la moneta. A essere aggrediti sono i popoli

Siamo in guerra, ormai è evidente. E si tratta di una guerra di religione. Non voglio mettermi in contraddizione con quanto ha detto papa Francesco, ma mi sembra che lui volesse dire una cosa diversa: non siamo in guerra con l’islam, non c’è una guerra tra stati islamici e stati cristiani, anche per mancanza oggettiva di stati cristiani. Al contrario, come già detto a suo tempo in altri articoli su queste pagine, c’è una vera e propria guerra, scatenata da tempo dai poteri finanziari. E l’obiettivo di questa guerra siamo noi, sono i popoli. Il bottino da conseguire sono le nostre ricchezze economiche e materiali, ma soprattutto i nostri valori. Quindi, si colpiscono i nostri valori per restringere i nostri diritti e conquistare a modico prezzo i nostri beni.


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La guerra è contro i popoli, ma in particolare contro i cristiani, perché possessori di un’identità e portatori di valori altissimi. Questo tutti lo sanno e per questo colpiscono i cristiani. Perché altrimenti colpire un modesto sacerdote di provincia, oltretutto molto anziano e senza alcun peso né religioso, né politico? Perché colpirlo, se non perché rappresenta un simbolo? Non si può dire che non c’è la guerra perché noi cristiani non vogliamo la guerra. Loro, gli islamici, ci hanno dichiarato guerra e questa è insita nella loro cultura religiosa, per cui lo straniero o l’infedele deve essere “sottomesso”. E quindi pagare con la vita la sua diversità religiosa. E in quella cultura religiosa ogni “tolleranza” è vista come un tradimento nei confronti della divinità.


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Ma molto di più c’è una guerra dei poteri finanziari contro i popoli, con tanto di dichiarazioni esplicite, come quella dello speculatore Warren Buffett; “C’è una guerra di classe, la stiamo facendo noi, la classe dei ricchi, e la stiamo vincendo…” in un’intervista del 2006.

E questa è una guerra di religione perché per loro è la religione della moneta, come ha chiarito il commentatore Mario Pirani in un editoriale del quotidiano Repubblica del 1 giugno 1994. Così commentava in quel pezzo allucinante dal titolo La religione di Bankitalia: “La religione della moneta, o, meglio, della sua difesa è rimasta integra nella sua ortodossia, anche se le vulgate – a volte più espansive, altre più restrittive – hanno conosciuto accentuazioni alterne. Una religione al servizio di una divinità altamente simbolica – quel biglietto di banca firmato dal Governatore, che personifica il potere d’ acquisto del cittadino – ma altresì una divinità che, se fedelmente servita, è dispensatrice di beni, mentre, quando viene tradita, si fa implacabilmente vendicativa… I governatori sono i sacerdoti addetti al suo culto. Se non fossero pienamente indipendenti e soggiacessero a poteri esterni la loro qualità liturgica verrebbe meno”.


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Per loro quindi è una religione, con propri riti, proprie leggi, proprie liturgie. E un potere immenso, consegnato a loro da legislatori che hanno abusato del loro potere, violando la nostra sovranità. E così, col potere di stampare moneta dal nulla, si appropriano di un valore collettivo e del potere di cambiare il loro denaro con i nostri beni e col nostro lavoro. E siccome “nulla si crea”, il nulla è quello che riceviamo in cambio del nostro lavoro e dei nostri beni. Il dissolvimento del nulla di questo sistema bancario e finanziario è solo una logica conseguenza.

Ma per quale motivo si sono saldati i poteri finanziari con la violenza di certi terrorismi islamici? Occorre prima capire lo sviluppo storico di questi ultimi decenni. Le frange terroristiche, nei paesi islamici come altrove, sono sempre esistite. Ma erano tenute sotto controllo, al margine della società, durante il periodo di dominio di poteri totalmente laici come quelli di Saddam Hussein in Iraq, di Mubaraq in Egitto, di Gheddafi in Libia. E il tentativo di spodestare il legittimo regnante in Siria ha proprio l’obiettivo di dividere quel Paese, come tutti gli altri, secondo linee etniche e religiose. Quando non c’è più un regime laico, a volte molto duro, a dominare le pulsioni religiose e terroristiche, il risultato e che queste sfociano in tentativi di dominio sempre più violenti e sanguinosi. E il loro accreditarsi come forza autenticamente religiosa passa attraverso l’esecuzione di attentati sempre più sanguinosi e spettacolari, che facciano rumore e vengano esaltati sui media, sia in loro che in giro per il mondo, magari dove i media la fanno da padroni.

Ora questo piano di dissoluzione degli stati laici forti in favore di fratture interne secondo linee etniche (o razziali) e religiose non è altro che il Piano Kivunim, o il piano Yinon apparso sulla rivista Kivunim nel febbraio 1982. Il piano ha un grande valore non solo per il suo contenuto, ma anche per il suo autore. Il giornalista israeliano Oded Yinon era stato anche alto funzionario al ministero per gli Affari Esteri di Israele e giornalista del Jerusalem Post. Una fonte autorevolissima, quindi. In quel Piano Kivunim troviamo affermazioni di questa natura: “Questa epoca è caratterizzata da numerosi tratti che possiamo già diagnosticare, e che simboleggiano una vera e propria rivoluzione nel nostro stile di vita attuale. Il processo dominante è la rottura della prospettiva umanista razionalista considerata la pietra angolare di supporto alla vita e alle conquiste della civiltà occidentale a partire dal Rinascimento…

Il punto di vista che l’etica non abbia alcun ruolo nel determinare la direzione dell’Uomo, ma invece l’abbiano i suoi bisogni materiali sta diventando prevalente oggi, mentre viviamo in un mondo in cui quasi tutti i valori stanno scomparendo. Stiamo perdendo la capacità di valutare le cose più semplici, soprattutto se riguardano la semplice questione di ciò che è bene e ciò che è male…

La dissoluzione totale del Libano in cinque province, serve da precedente per tutto il mondo arabo, inclusi Egitto, Siria, Iraq e penisola arabica, e sta già seguendo quell’orientamento. La dissoluzione di Siria e Iraq in aree etnicamente o religiosamente uniche come in Libano, è l’obiettivo primario di Israele sul fronte orientale nel lungo periodo, mentre la dissoluzione del potere militare di questi stati costituisce l’obiettivo primario a breve termine. La Siria cadrà a pezzi, in conformità con la sua struttura etnica e religiosa…

Questo stato di cose sarà la garanzia per la pace e la sicurezza nella zona, nel lungo periodo, e questo obiettivo è già alla nostra portata oggi…

L’Iraq, ricco di petrolio da una parte e lacerato internamente dall’altra, è un candidato garantito per gli obiettivi di Israele. La sua dissoluzione è ancora più importante per noi di quella della Siria. L’Iraq è più forte della Siria. Nel breve periodo è il potere iracheno che costituisce la più grande minaccia per Israele. Una guerra Iraq-Iran ridurrà in pezzi l’Iraq e provocherà la sua caduta…”.

E infine, la frase più agghiacciante di tutte: “I rapidi cambiamenti del mondo porteranno un cambiamento anche nella condizione della comunità ebraica mondiale per cui Israele diventerà non solo l’ultima istanza, ma l’unica opzione esistenziale. Non possiamo supporre che gli ebrei degli Stati Uniti, e le comunità di Europa e America Latina continuino a esistere nella loro forma attuale in futuro”.

Questo piano, nei suoi contenuti, è precisamente quello che è divenuto come obbiettivo degli Usa dopo l’11 settembre. Lo ha testimoniato il generale Usa Wesley Clark raccontando che proprio il giorno dopo gli attentati alle Torri Gemelle un suo amico ufficiale gli disse “andiamo ad attaccare l’Iraq” e quando lui gli chiese “perché?” rispose “non lo sappiamo” e poi “…poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan e Iran”. Qui non voglio dettagliare i motivi per cui certi poteri americani hanno assunto una simile decisione: può essere una vicinanza religiosa (la lobby ebraica? Le origini ebraiche di tanti banchieri Usa?), può essere un’affiliazione massonica, oppure qualcos’altro. Ma in fondo cosa importa? Quello che importa è riconoscere che c’è una guerra, riconoscere gli aggressori e sapere che noi, il popoli, siamo gli aggrediti.

Una generazione di giovani arabi è cresciuta sotto le bombe americane e pure europee. Ma non erano militari, erano giovani che stavano in città e vedevano le bombe esplodere al mercato, negli uffici statali oppure durante una festa religiosa o un matrimonio. Cioè sono cresciuti nel terrore puro. E una generazione di giovani americani ed europei ha compiuto questi orrori.

Queste generazioni sono “abituate al terrore”, tanto che oggi l’Isis non ha più bisogno di affannarsi a cercare reclutatori, ma li trova come volontari. Sto parlando del triste fenomeno dei foreign fighters, giovani occidentali che vanno in Siria a combattere con l’Isis. Oppure per suo conto compiono attentati qui. E quello che accade qui è davvero incredibile nei suoi dettagli. Mi riferisco al fatto che gli attentatori al giornale francese Charlie Hebdo, così professionali nelle loro movenze nei video ripresi, sono stati così goffi nel lasciare un proprio documento nell’auto abbandonata. Ma la stessa stupidità ha colto i terroristi che hanno colpito al Bataclan, dove uno dei cantanti ha testimoniato che misteriosamente quella sera gli agenti della sicurezza erano assenti e forse i terroristi erano già dentro. E poi le indagini, seguendo il percorso delle armi, hanno raggiunto dei contatti con i servizi segreti francesi. E poi Hollande ha secretato quelle indagini, pur proseguendo lo stato di emergenza indetto pochissimi minuti dopo gli attentati. Uno stato di emergenza indetto con un decreto già pronto. Un tempismo eccezionale.

Ma niente in confronto al tempismo del giornalista (dal nome ebreo) Richard Gutjar. Annota sul suo blog Marcello Foa: “È evidente che chi ha filmato sapeva quel che stava per accadere. Era lì apposta. Un complice. E dai nervi d’acciaio”. Chissà, magari era appunto il giornalista Richard Gutjar. Forse così si può spiegare in parte “I nervi d’acciaio”. E forse si può spiegare la sua presenza sul posto come una coincidenza straordinaria, del tutto eccezionale. Pensate un po’, uno riprende l’entrata di un Mc Donald’s (chissà perché?) dall’altra parte della strada e per coincidenza riprende un terrorista. Ma come si spiega il fatto che lo stesso giornalista si trovasse, proprio una settimana prima, a Nizza, in prima fila a osservare e commentare la strage che avveniva sotto i suoi occhi? Coincidenze a parte, possibile che nessun organo di polizia senta il bisogno di interrogare il fortunato giornalista, tanto per sapere dove si sposterà la prossima settimana? Oppure si potrebbe chiederlo alla moglie, Einat Wilf, ex deputata israeliana del partito di Netanyahu ed ex militare. Ma questo non accade e le domande su da che parte stiano certi servizi segreti sono più che legittime. Soprattutto in un Paese nel quale oltre alla polizia, anche la magistratura dipende dal governo regnante. Un Paese dove i terroristi, professionali o no, muoiono sempre e non potranno mai raccontare la loro versione o spiegarci tanti dettagli (chi li arma, come sono passati, come e da chi sono stati aiutati, ecc.).

Ora questa guerra ha avuto un’evidente accelerazione. Devono imporci sempre maggiori restrizioni, con la scusa di doverci proteggere meglio, al solo fine di depredarci meglio dei nostri risparmi e dei nostri beni. Pure la riforma costituzionale ha questo obiettivo. Hanno fretta perché il mondo della finanza sta crollando senza via di scampo. Le montagne di carta con cui hanno costruito imperi finanziari stanno crollando del tutto. I recenti dati hanno mostrato l’arretramento dell’economia giapponese e un pesante stop di quella americana, nonostante tutta la droga monetaria utilizzata. Un fallimento clamoroso, che lascia presagire il disastro imminente anche per le debolissime politiche economiche e finanziarie europee. Per questo stanno accelerando gli attentati. Prepariamoci a un periodo storico come quello descritto da George Orwell nel suo celebre libro 1984: “C’erano attentati continui ed ingiustificati. Fatti a caso. Servivano allo stato per limitare le libertà dei cittadini. Ad ogni attentato si facevano leggi restrittive delle libertà”.

Contro ogni terrorismo e ogni tentativo di diffondere l’insicurezza e la disperazione, ci vogliono comunità di uomini, comunità di persone che in nome di ideali difendano la moralità e la civiltà nel tempo di barbarie che ci attende. Dovremo pure ricostruire le istituzioni, dal basso. Perché suppongo che quelle attuali, ben presto, saranno spazzate via.


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