FINANZA/ Sapelli: i nuovi “indizi” sulla fine dell’Europa
Il discorso che Jean-Claude Juncker ha tenuto al Parlamento europeo rimarrà drammaticamente esemplare nella storia della disgregazione dell’Unione europea, dice GIULIO SAPELLI

Il discorso che ieri, 14 settembre, Jean-Claude Juncker ha tenuto al Parlamento europeo rimarrà drammaticamente esemplare nella storia della disgregazione dell’Unione europea, iniziata con la distruzione economica della Grecia e culminata con la Brexit e l’erezione di fili spinati e muri contro gli immigrati.
Juncker ha dato la plastica dimostrazione dell’inadeguatezza della tecnocrazia mista europea. Mista perché affonda le radici nelle culture politiche nazionali e nel clientelismo che governa la loro ascesa ai vertici dell’eurotecnostruttura, e nel contempo cerca una legittimazione algoritmica neutrale neo-ordoliberirista.
Questo spiega perché Juncker sia l’epifenomeno più preclaro del gioco di specchi che questa tecnostruttura mista continuamente crea. Mi spiego: cosa vuol dire che la stabilità non è flessibile? Non vuol dire nulla oppure tutto e il contrario di tutto. È la consolidata tecnica di mediazione di un mondo che purtroppo si sta disgregando: la cultura dei grandi partiti di centro europei. Ma il centro politico europeo sta franando perché questi non sono più tempi di mediazione. I migranti non attendono, ma premono sulle frontiere e protestano nei centri delle città, spaventando le classi medie e a basso reddito, i bianchi poveri.
I cosiddetti populismi che Juncker evoca per minacciare i riottosi insofferenti alle politiche di austerità si possono combattere solo eliminando politicamente gli Juncker innumerevoli che hanno conquistato la cuspide eurotecnocratica e che continuano a distruggere le economie e le società europee del Sud e non socialmente omologabili al dominante modello tedesco.
Juncker promette di aumentare gli investimenti straordinari attesi da anni ed è in questo encomiabile, ma non si fida più nessuno delle sue promesse. Un cambiamento delle politiche pubbliche europee è essenziale, ma per implementare questo cambiamento occorre cambiare radicalmente la politica economica europea. E tale radicale cambiamento non è all’orizzonte.
La Bce si è fermata nel suo Quantitative easing e non agisce più sui tassi. Attende in definitiva che la Federal Reserve nordamericana decida quale politica monetaria intende perseguire in futuro. E questo aumenta le responsabilità dei governi nazionali, della Commissione europea e del Consiglio europeo. Il Parlamento europeo, invece, continua a essere un’immensa struttura di fatto inutile: non decide nulla. Eppure Juncker parla con clangor di buccine dai suoi scranni.
Un altro gioco di specchi, un’altra ipocrisia non più sostenibile. E così si aprono immense praterie per i cavalieri neri e grigi della politica europea.
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