Il pendolo della storia sembra allontanarsi delle privatizzazioni, annota pensoso l’ultimo Economist. L’articolo riguarda solo la Gran Bretagna, ma la riflessione su pubblico/privato nella proprietà delle imprese è di lungo periodo. Rammenta ad esempio che l’economista James Meade di Cambridge, vinse il Nobel per l’Economia appena due anni prima che Margareth Thatcher diventasse premier, con un curriculum scientifico iniziato con l’appoggio convinto alla nazionalizzazione spinta dell’economia nella Gran Bretagna nell’immediato dopoguerra. Allora – ricorda l’Economist – non erano sotto il controllo statale solo energia, telefoni, poste, trasporti ferroviari e aerei ma anche Pickfords, un’azienda di traslochi nata privatissima nel diciassettesimo secolo e tornata poi privata negli anni 90 sotto la spinta thatcheriana.
Quarant’anni dopo, in ogni caso, James Corbyn ha buone chance di riconquistare Downing Street per il Labour con una piattaforma ri-orientata in modo deciso verso le nazionalizzazioni. E questo certamente preoccupa il giornale-bible del liberismo anglosassone, ormai globalizzato. Ma non al punto da iniziare un fuoco polemico di controbatteria, anzi: la conclusione dell’articolo lamenta solo che “il pendolo non si fermi mai nel mezzo”. Cioé: non si fermi in un punto di reale equilibrio. Ma questo sembra il punto: non solo nella Londra della Brexit, in fondo spaesata da tutte le sue forze politiche.
In Italia il pendolo delle privatizzazioni è fermo ma in una posizione chiaramente in contrasto con le leggi della fisica. Cinque anni di governo a guida Pd hanno semplicemente fermato l’oscillazione in direzione del “privato/mercato”. Sono stati cancellati sia il collocamento di una seconda tranche delle Poste (con il ritiro del Ceo Francesco Caio) sia l’Ipo delle Ferrovie. A proposito: FT s’interroga sia sugli effetti della privatizzazione di Royal Mail – non accompagnata da una effettiva liberalizzazione del mercato postale – sia sulla privatizzazione/liberalizzazione del mercato dei trasporti ferroviari, che non ha portato a reali miglioramenti del rapporto qualità/prezzo “per chi si sposta da Oxford a Londra”. E conclude (provvisoriamente): il “grande espermento privatizzatorio” degli anni 80 nel Regno Unito ha funzionato dove la concorrenza è stata realmente sbrigliata, assai meno laddove a un monopolio statale è stato sostituito un monopolio privato. Con alcune situazioni esemplari: se un monopolio giudicato granitico come quello di British Telecom è stato sbriciolato dall’evoluzione tecnologica, non è ancora chiaro se l’acqua possa diventare un bene di mercato o è bene che resti un bene pubblico.
Nel frattempo in Italia l’esercizio del golden power sulla rete Tim configura una forma parziale di ripubblicizzazione virtuale dopo una privatizzazione spinta (quattro proprietà private nazionali prima di una proprietà private non italiana). La pressione del governo su Tim a guida Vivendi sta intanto realizzandosi anche attraverso l’affido del piano nazionale sulla banda larga ad Enel (privatizzata ma tuttora a controllo statale). Le Autostrade (monopolio pubblico trasferito al privato) sta tentando una fusione europa con la spagnola Abertis. Gli enti pubblici italiani continuano a marciare verso il disimpegno dalle partecipazioni ex municipali, anche per sanare posizioni debitorie fuori controllo: ma ancora più negli annunci che nei fatti.
Come in Gran Bretagna, il pendolo delle privatizzazioni sta cambiando dinamica, ma non è ancora chiaro come.