Mentre gli occhi dell’Italia erano fissati sulla piazza di Ostia e sulle manifestazioni pro-legalità nate unicamente da un fatto di cronaca e debitamente prima del ballottaggio, in Europa si muoveva molto. Moltissimo. Con atto destinato a creare tensioni telluriche, la premier britannica, Theresa May, ha infatti fissato per il 29 marzo 2019 alle 23 ora di Londra, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Ovvero, il formale compimento del Brexit. Il tutto, trasformando questa scadenza in qualcosa di ufficiale, poiché diventerà emendamento al Repeal Bill, la legge che sancisce l’addio a Bruxelles e il suo voto palese è calendarizzato per la prossima settimana alla Camera dei Comuni. Come dire, sfido i franchi tiratori, è inutile continuare a vivacchiare fra guerre interne e dimissioni di ministri: se volete farmi fuori, fatelo, ma io lego la mia sopravvivenza politica al Brexit. Se sotterrate la prima, accade anche con il secondo e allora toccherà a voi darne conto ai cittadini britannici.
Mossa disperata di chi sa che il tempo sta scadendo. E che sempre più deputati Tories cominciano a cedere alle lusinghe di un ripensamento è realtà, visto che l’emissario Ue, Michel Barnier, l’altro giorno ha detto chiaramente che il tempo sta passando senza alcun avanzamento delle trattative. Come dire, la clessidra scorre sia per la mediazione che per il governo britannico. Il tutto, con il ministro degli Esteri, Boris Johnson, che scalpita per giocarsi finalmente la sua chance. Ma a netto del Brexit, ieri è stata l’Italia la protagonista di un’azione diplomatica tanto di primo livello quanto informale nei tratti. E non con il premier o il ministro delle Finanze, ma con Antonio Tajani, presidente dell’Europarlamento, ma ultimamente sempre più ambasciatore del nostro Paese e delle sue istanze. Sta lanciando la sua candidatura alle politiche del 2018? Poco mi importa, si sta muovendo da politico. E nel deserto di cialtroni e dilettanti allo sbaraglio che ha messo in evidenza il voto siciliano, c’è da tenerselo stretto.
E, ovviamente, in cima a tutto c’è la questione dei non-performing loans, ovvero la battaglia campale posta in essere da Tajani in sede europea per bloccare l’entrata in vigore del cosiddetto addendum dall’anno prossimo, una mossa che in prospettiva è già costata al Credito Valtellinese l’ammissione di un aumento di capitale onerosissimo per coprire le nuove sofferenze e un bel -30% in Borsa. «Non è una questione di vittoria o sconfitta e non è una questione personale. Lo ripeto, le norme le scrivono i legislatori. Io ho messo il dito sulla relazione fra legislatore e burocrazia. Ho grande rispetto per la Bce, ma non può scrivere le leggi. E in questo sono stato confortato, nel caso specifico, anche dal servizio giuridico del Parlamento», così Antonio Tajani, in un’intervista al Corriere della Sera ha ribadito la sua linea, un muro contro muro con l’Eurotower che finora lo ha visto vincitore. D’altronde, nelle ultime settimane ha investito molteplici uffici e indubbiamente la possibilità che le nuove regole sugli Npl possano slittare è un punto a favore del Parlamento europeo: «Una norma erga omnes è un’attività legislativa. Il controllo uno per uno, sugli istituti bancari, è un’altra cosa. In democrazia c’è la separazione dei poteri: Consiglio e Parlamento fanno le leggi. Ho posto il problema al presidente alla Bce, che mi ha risposto in modo molto gentile», ha sottolineato il presidente dell’Europarlamento.
Ma non basta, perché così ha risposto, riferendosi alla convinzione della Bce riguardo le proprie competenze sulla materia: «Il Parlamento europeo, che ho l’onore di guidare, è convinto del contrario. In questo caso, l’attività di sorveglianza e vigilanza tende a trasformarsi in attività di legislazione occulta, e non è possibile farlo. A me non interessano i contenuti, semmai ci possono entrare la Commissione e il Parlamento. Io difendo il mio ruolo e le prerogative del Parlamento. E sbaglia chi pensa che la mia presa di posizione sia legata al contenuto o all’Italia. Se il tema fosse stato sull’agricoltura o sulla pesca avrei fatto la stessa cosa». Come finisce? «Vediamo. Sono intervenuto preventivamente proprio per evitare un conflitto istituzionale. Una metafora aiuta a capire: se hai una Ferrari, anche la migliore sul mercato, occorre comunque un pilota. Il pilota è la politica, che viene eletta e giudicata: è una questione di grammatica istituzionale e di democrazia. Viceversa, si dà una mano al populismo».
Ma il fatto che Tajani stia lavorando a qualcosa di più ampio, a una convergenza in sede Ue che sta utilizzando le forzature di Draghi unicamente come grimaldello per rompere e sbloccare antichi dissidi, lo dicono le parole che il presidente utilizza per il suo rapporto con Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble, neo-presidente del Bundestag con cui proprio ieri ha avuto un colloquio definito «lungo e cordiale» durante la sua visita a Berlino. Ecco le sue parole, raccolte dall’Ansa: «Non ci si lamenti del fatto che Merkel sia così forte in Europa, se l’Italia non c’è. E l’Italia potrebbe e dovrebbe esserci. Non lo dico in polemica con Gentiloni o con Renzi. Quello che intendo è che il sistema Paese dovrebbe essere più presente. Serve più Italia in Europa… Dicono che sono filo-tedesco… in Germania hanno una visione, perseguono degli obiettivi. Sanno difendere i loro interessi. Noi non contiamo a Bruxelles, perché non ci siamo. Quando gli italiani si muovono, invece, i risultati ci sono».
E infine, l’attacco più sottile e politico, tutto incentrato sullo scenario delle alleanze italiane, a mio avviso: «Merkel sa tutto di tutto. Conosce la legge elettorale italiana meglio di noi. Conosce la sentenza della Corte. Schaeuble è informato nei dettagli dei risultati delle elezioni siciliane. Se parli con un politico italiano, non è così informato sulle regionali in Germania. Sono concentrati sulle questioni locali: su Vigevano, su chi fa il presidente della provincia di Caserta. Per carità, anche queste sono cose importanti, ma nell’ambito di una visione più ampia. Altrimenti non conti sul palcoscenico internazionale». Non ci leggete una vaghissima critica al provincialismo anti-Merkel di Matteo Salvini? E, soprattutto, al suo euroscetticismo, giocando Tajani la sua battaglia sulla pietra angolare di un populismo istituzionale e dei fatti, ovvero sulla pragmatica e decisa battaglia ingaggiata all’Europarlamento, ma anche rivendicando non solo l’europeismo convinto ma anche il rapporto privilegiato con la tanto vituperata Germania? Forza Italia usa la sua punta di diamante per lanciare la campagna acquisti tra i moderati della Lega?
Una cosa è certa, la visita di ieri a Berlino di Antonio Tajani non è stata per rimirare gli scranni o la presidenza del Bundestag, ma per creare un ponte politico, mentre ancora sono in atto le trattative per la costituzione del nuovo esecutivo tedesco nato dal voto di fine settembre. Tajani sa che al posto di Schaeuble alle Finanze quasi certamente arriverà un falco dei Liberali, quindi occorre lisciare il pelo ai piani alti: leggi l’ancora ascoltatissimo Schaueble, affinché interceda con il grande capo, quella Angela Merkel che Salvini e la Meloni vedono come il fumo negli occhi ma con cui Berlusconi ha ricucito in parte i rapporti, grazie anche alla mediazione del Ppe. Irrituale? Sì. Rischiosa? In parte. Destinata a creare contraccolpi interni. Sicuramente. Ma nessuno metta in discussione od ostacoli l’iniziativa diplomatica di Tajani, il primis un Pd irresponsabile e ignorante che gioca il nome di Draghi solo per mettere il cappello elettoralmente sulla questione banche. Se avremo ancora margine, sarà grazie a Tajani.