MEDIASET/ I vantaggi (veri e falsi) di un’alleanza con Telecom Italia
Si riparla di un’alleanza strategica tra Mediaset e Telecom, cementata da uno scambio azionario, anche per risolvere la querelle con Vivendi. Il commento di ZACCHEO

In principio fu Aol, America on line, che acquistò “carta contro carta” Time Warner. Era il lontano 1999, Internet c’era già ma viaggiava ancora prevalentemente sul “dial-up”, a 56k, i modem gracchiavano e i filmati procedevano a scatti nel neonato formato Mp4, eppure qualche visionario in America l’aveva capita giusta: il futuro era nel matrimonio tra contenuti (Time Warner) e Internet (Aol). Macché: non aveva capito un fico secco, quel visionario. L’alleanza tra Aol e Time Warner naufragò. La gente che voleva navigare sui siti di Aol non avvertiva alcun bisogno di vedersi i film di Time Warner; e chi voleva godersi i film di Time Warner riusciva a farlo su tanti altri canali oltre che sui siti di Aol. E da allora, questo connubio virtuoso tra la creatività della fiction e la capillarità pervasiva delle reti dati su cui viaggia il leviatano Internet, ha riprovato mille volte a risorgere senza riuscirci mai.
Spostiamo le lancette avanti di diciotto anni e arriviamo ai giorni nostri: si riparla di un’alleanza strategica tra Mediaset e Telecom, cementata da uno scambio azionario capace di sciogliere la rissa da combattimento di sumo in cui sono allacciati l’un contro l’altro Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré. Quest’alleanza strategica si salderebbe disimpegnando Vivendi dal ruolo di socio di co-controllo di Mediaset, nel quale Fininvest proprio non ce la vuole, ma lasciandole comunque una buona partecipazione e dandole il controllo della pay-tv Premium; e d’altra parte arricchendo il patrimonio industriale di Fininvest col 9,9% di Telecom Italia (pardon: adesso si chiama Tim, ma sempre Telecom è) che Vivendi cederebbe, in cambio.
Vantaggi? Le famose sinergie tra i contenuti di Mediaset e le reti di Tim, che poi sarebbe la vagheggiata e inesistente Cubovisione e poc’altro. Sinergia significa che chi è spettatore Mediaset si sente proporre, e si lascia convincere, a comprare una qualche forma di abbonamento a pacchetti di contenuti esclusivi sulle reti Telecom, e chi è cliente Telecom ma apprezza, di solito, i programmi Rai o magari ha l’abbonamento a Sky viene convinto a passare a Premium o a sintonizzarsi su Canale 5 dal suo gestore Internet! Tutte colossali fantasticherie.
Poi è ovvio che qualcuno sia lì pronto, già domattina, a presentarle come foglie di fico per giustificare la necessità di un onorevole disarmo bilaterale, utile a disimpegnare i due contendenti senza fargli fare brutte figure: i consulenti strategici son lì per quello, o per asseverare scelte già fatte o per legittimare a posteriori, e con argomenti spesso pretestuosi come questo, scelte fatte per ragioni cogenti ma inconfessabili. Quali scelte, in questo caso? Eccole: per Vivendi, quella di aver tentato una scalata ostile a Mediaset per la quale non aveva né i presupposti giuridico-istituzionali, né la forza finanziaria; per Fininvest-Mediaset, quella di aver creato con Premium una “ciofeca” che perde quattrini a bocca di barile, e non aver a tutt’oggi avviato né una strategia di exit sulla medesima Premium, né una strategia di stabilizzazione di una proprietà che si avvicina a grandi passi (lunga vita al Cavaliere!) a un passaggio generazionale a oggi destinato a svolgersi al buio.
Intendiamoci: anche Marco Tronchetti Provera aveva immaginato per Telecom Italia, quand’era sua, un’alleanza strategica con Sky, sempre per coniugare reti e contenuti. Ma erano dieci anni fa, e la speranza di un valore aggiunto autentico da quel genere di asse, era ancora verde. I fatti si sono poi incaricati di smentire questa chimera. Se n’è incaricata Netflix, in particolare: la tv alternativa più vista del mondo che non ha avuto alcun bisogno di un’alleanza strutturata con una compagnia telefonica per imporre ovunque i suoi format, le sue fiction. La creatività fa premio sulle reti, Internet è un unico grande oceano, al quale si accede da mille darsene, se un contenuto fa gola viene cercato ovunque esso si trovi, basterebbe Youtube. E d’altra parte se qualche sinergia può essere costruita tra una compagnia telefonica e una casa editrice è di carattere commerciale, e perché si dispieghi non è affatto necessaria un’alleanza di natura societaria tra i partner.
Un esempio? Fastweb e Sky da anni propongono ai rispettivi clienti dei pacchetti “bundled” dove a chi ha una connessione in banda larga viene proposto un pacchetto di contenuti Sky a prezzo agevolato e viceversa. E peraltro non si può dire che questi accordi abbiano cambiato la vita ai due partner.
La chimera continua a illudere, e anche ieri Flavio Cattaneo – capo nerboruto di Telecom Italia, come si chiama in realtà Tim – ha ripetuto che “i nostri clienti avranno contenuti televisivi premium, per lo sport dipenderà dai costi dei diritti per la banda larga, musica, gaming. Nella prima era delle tlc le società di telecomunicazioni hanno effettuato investimenti miliardari per realizzare infrastrutture dati di cui poi hanno beneficiato gli over the top (Facebook, Google, ndr) che oggi capitalizzano più delle telco stesse. Questa seconda era vedrà i contenuti al centro dell’attenzione e non possiamo commettere gli errori del passato, quindi noi saremo presenti nei contenuti”. Tradotto: non riusciamo più a far soldi vendendo connessioni, dobbiamo provare a spenderne altri per poi recuperarli rivendendo contenuti non nostri… Bah! “Avere Tim Music con oltre 25 milioni di brani a catalogo non significa che diventiamo produttori musicali, ma che offriamo più servizi”, ha aggiunto Cattaneo, come se Tim Music fosse più vista di Youtube o più ascoltata di iTunes perché viaggia con gli abbonamenti Tim. Ri-bah!
E dunque? Dunque la situazione è ferma. In un consiglio d’amministrazione di Mediaset di qualche giorno fa non si è proprio parlato di cose del genere. Né di contromosse. Vivendi e Bollorè sono in molteplici guai giudiziari e regolatori, in Italia. Il Bel Paese non ha all’attivo alcun orgoglio istituzionale, ma ha dalla sua la risorsa che salvò Mosca da Napoleone: la paralizzante burocrazia pubblica, più congelante del gelido inverno russo.
Prima che la Consob, l’Antitrust, l’Agcom, con l’aggiunta sfusa di qualche Tar e qualche Pm abbiano alzato la bandiera verde sulla scalata di Vivendi, Bolloré avrà avuto tutto il tempo di passare a miglior vita per vecchiaia.
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