Di tutto si può accusarmi, tranne che di simpatie grilline. Però, noto uno strano e strisciante moto di strumentalizzazione di quanto accaduto a Torino nel fine settimana, quando la “bravata” di alcuni ragazzi – i quali avrebbero lanciato un allarme bomba, scatenando il panico in una piazza gremita da 30mila persone – poteva dar vita a una vera e propria strage. I numeri sono impressionanti: oltre 1400 persone curate e medicate negli ospedali, la gran parte per ferite da taglio dovute al tappeto di vetri in cui si era trasformata la pavimentazione, cosparsa senza soluzione di continuità da cocci di bottiglie di birra rotte. Quelle bottiglie, è vero, non dovevano esserci, perché la delibera comunale parlava chiaro in tal senso: vetro e alcol vietati all’interno dell’area recintata. Doveva forse andare il sindaco, Chiara Appendino, di persona a fermare gli ambulanti? La polizia municipale cosa faceva? E le forze dell’ordine? Prefettura e Questura hanno fatto tutto ciò che potevano per evitare non tanto il panico, due deficienti purtroppo vanno messi in conto di questi tempi, quanto il fatto che tre quarti dei feriti potevano essere evitati, se davvero il divieto fosse stato fatto rispettare? Non dico questo per partigianeria, ripeto che l’M5S il mio voto non lo avrà mai, ma perché il fatto che un eventuale ricasco negativo dell’accaduto sarà certamente utilizzato come arma impropria in vista del voto amministrativo di domenica, dove i grillini puntano a un risultato importante, mentre il Pd vuole solo limitare i danni.
Ma, paradossalmente, non è nemmeno il voto di domenica prossima a interessare troppo, l’unica cosa che conta in Italia, ormai, è il bersaglio grosso delle politiche. E al centro di tutto, da qui alla fine di questa settimana, c’è il nodo della legge elettorale e dell’accordo inusuale su questo tema fra Pd, Forza Italia, M5S e Lega Nord: la missione è unica, voto in autunno. Ma se, contestualmente, si riescono a creare un po’ di danni collaterali al movimento di Grillo e spargere un po’ di propaganda buonista, è tutto grasso che cola. Vi pare infatti un caso che, all’interno di quanto accaduto sabato in piazza, solo due dati contino? Ovvero, il numero impressionante di feriti e la storia del bambino di 7 anni in prognosi riservata, dopo essere stato schiacciato dalla folla? Responsabilità delle autorità preposte alla sicurezza? Zero. In compenso, sulla vicenda di quel povero bambino, ci si sta inzuppando il pane senza vergogna alcuna. E non per la tragicità della vicenda umana, ma per il fatto che sia stato un muscoloso ragazzo di colore a salvarlo. Che bisogno c’è di sottolineare che sia di colore? Lo dico perché sono la grande stampa, quella autorevole, e gli stessi organi di vigilanza a indirizzo della categoria a stigmatizzare ogni volta che, parlando di un caso di cronaca nera, si indulge su dettagli di tipo etnico. Ad esempio, prendete il caso delle tre rom bruciate vive nel loro camper a Roma: tutti i giornali, nei titoli, facevano notare come si trattasse di un ventenne pregiudicato, la dizione rom compariva solo nel corpo dell’articolo. Qui, invece, occorre che il mondo sappia che a salvare quel bambino sia stato un uomo di colore, esattamente come quelli che sbarcano a migliaia sulle nostre coste: c’entrerà forse qualcosa il fatto che la legge sullo ius soli sbarchi in aula al Senato il 15 giugno e che, a oggi, il suo passaggio sia a forte rischio? C’entreraà qualcosa il fatto che Mario Calabresi su Repubblica abbia inserito questa normativa tra le sei da portare a casa prima del voto anticipato, insieme a biotestamento e liberalizzazione della cannabis? Non vi viene il dubbio che si stia sfruttando quanto accaduto a Torino per tenere sotto scacco i grillini riguardo la legge elettorale – del tipo, non tirate la corda nelle trattative o facciamo partire la polemica politico-mediatica in grande stile – e per portare fieno in cascina alla legge sulla cittadinanza?
Sicuramente il sindaco Appendino e la sua giunta hanno delle colpe, ma chi sovrintende l’ordine pubblico? Chi deve garantire la sicurezza e il rispetto delle leggi, ivi compresa la delibera comunale sul divieto di vendita di alcolici e di introduzione di bottiglie di vetro? Strumentalizzazione e propaganda, ormai questo Paese è vittima di una sindrome da voto anticipato che non risparmia nessuno: le urne, la governabilità, il potere, la spartizione. In una parola, la sopravvivenza. E c’è da capirlo, perché quanto accaduto a livello internazionale nelle ultime 72 ore ci dice che il tempo del traccheggiamento è finito: un sommovimento politico senza precedenti è alle porte. Piaccia o meno. Quando domenica il primo ministro, Theresa May, ha pronunciato il suo enough is enough nei confronti del terrorismo islamico e dell’eccesso di tolleranza verso gli estremismi nel Regno Unito ha di fatto rotto un tabù e scoperchiato il vaso di Pandora: mai un premier britannico aveva associato così direttamente islam e terrorismo, soprattutto parlando in chiave interna. E a quattro giorni da un voto politico che appare di fondamentale importanza e di enorme incertezza. Esattamente come in Italia.
Quanto annunciato dalla May è un netto cambio di paradigma: «Il pozzo della tolleranza si è prosciugato», ha detto Boris Johnson, commentando le parole della premier. La quale, da ministro dell’Interno, non solo non aveva mai reso posizioni simili, ma, anzi, aveva compiuto un duplice errore di valutazione. Primo, tagli devastanti al comparto sicurezza, come lamentano gli stessi poliziotti britannici,, costretti a turni massacranti a fronte di una minaccia sempre crescente. Secondo, difendere le vendite di armi ad Arabia Saudita e Qatar, dicendo che quel commercio «garantiva maggiore sicurezza nelle strade del Regno Unito». Una totale incompetente, non a caso in grado di resuscitare un morto politico come Jeremy Corbyn e il suo Labour.
Sta tutto accelerando maledettamente e in base a un copione preciso: come mai, con decisione senza precedenti, ieri i Paesi del Golfo, l’Egitto e anche la Libia hanno troncato tutte le relazioni diplomatiche con il Qatar, chiudendo le frontiere? Perché questi finanzierebbe i gruppi terroristici. Sai che scoperta, perché gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita non lo fanno? Ryad sta finanziando l’islamizzazzione dei Balcani fin dalla guerra di Bosnia e paga per la costruzione di moschee in mezza Europa, eppure la colpa è tutta del Qatar: forse perché è il più diplomaticamente debole? O, forse, perché è il più legato ad Hamas, quindi consente di portare sul palcoscenico della lotta al terrore la questione palestinese, cosa che fa molto piacere a Israele? E poi, guarda caso, tra le colpe del Qatar c’è anche quella di finanziare gruppi terroristi sciiti, quindi riconducibili in qualche modo all’Iran, bersaglio prioritario di Arabia, Usa e naturalmente Tel Aviv.
Ora capite perché vi ripeto fino allo sfinimento che tout se tient, c’è un filo rosso che unisce le beghe di politica interna agli scenari geopolitici mondiali. C’è un’agenda da rispettare. E c’è qualcuno che tira i fili. Come può essere credibile l’enough is enough della May? Da quanto tempo la Gran Bretagna permette, senza battere ciglio, la formazione di vere e proprie enclave all’intero della sua comunità? E con quale leggerezza i servizi inglesi hanno usato estremisti da infiltrare o spedire a combattere nelle varie primavere arabe, salvo poi ritrovarsi in casa i lupi solitari? L’Inghilterra ha convissuto per 30 anni con la guerriglia dell’Ira, con attentati quotidiani e non ha mai mollato: ora, nelle parole della May, c’è il senso di una pazienza finita e di un cambio di paradigma. Alla buon’ora, ma perché concentrarsi tanto sulla regolamentazione del web? Non servono più uomini in strada e più collaborazione d’intelligence? Davvero pensiamo che il reclutamento sulla Rete sia il principale nemico? O, forse, con la scusa della “lotta al terrore” si può dar vita – con il consenso della popolazione spaventata – a un bel giro di vite censorio non tanto di chat sospette e video di propaganda, ma dei pareri e delle tesi non ortodosse sul tema? Non sarà passibile di ban dalla Rete, ad esempio, chi denuncia il commercio di armi con i sauditi o le strane abitudini dei servizi segreti nell’utilizzo di agenti ibridi?
È un quadro enorme e in continua evoluzione: ma state certi, per quanto possa sembrarvi folle, c’è qualcosa che unisce l’uomo nero che salva il bimbo a Torino con la volontà repressiva del web annunciata da Theresa May nel pieno dell’emergenza. Il controllo dell’informazione: è questa la guerra che si deve vincere, se si vuole dare il via alla grande campagna finale. Quella che vede nel mirino delle potenze egemoni la Russia e l’Iran. Cosa vi dicevo ieri riguardo l’atteggiamento spavaldo dell’Arabia Saudita rispetto alla ratio riserve monetarie/investimenti? Casualmente, ieri la notizia dell’embargo al Qatar ha portato a un balzo del petrolio dell’1,6%, in apertura di contrattazioni europee. E perché pensate che Donald Trump abbia tagliato la spesa sociale con l’accetta, in primis i sussidi alimentari? Perché tra poco ci sarà un’alternativa per disoccupati e diseredati vari: arruolarsi. A la guerre comme a la guerre.