SPY FINANZA/ Il gioco delle tre carte che fa correre i mercati
Domani la Fed potrebbe portare novità importanti, mentre la Bce fa capire che il tapering può attendere e la Cina ferma la Borsa. MAURO BOTTARELLI

E pensare che c’è gente come me che si preoccupa per il futuro. Cosa da pazzi. Venerdì Wall Street ha chiuso la miglior settimana dallo scorso gennaio e ha proiettato il suo indice principale, lo S&P500 (il quale pesa 21mila miliardi di dollari), per la prima volta sopra la soglia psicologica dei 2.500 punti. Questo nonostante l’enorme pericolo rappresentato dalla Corea del Nord. O, forse, grazie a esso. Come ha notato il Financial Times, la corsa delle quotazioni americane dopo la crisi finanziaria il cui grilletto è stato suonato il fallimento Lehman ha ufficialmente superato il rialzo andato in scena nel Dopoguerra, tra il 1949 e il 1956. Di più, stando ai conteggi di BofA-Merrill Lynch, dai minimi del marzo 2009 lo S&P500 ha ormai guadagnato il 270% ed è diventato il secondo periodo di rialzi più forte di sempre. Eppure, le indagini sui fund manager delle banche rivelano che gli addetti ai lavori sono recentemente corsi a proteggersi contro i rischi di un crollo azionario: se invece la corsa dell’indice dovesse proseguire, per diventare una performance da record assoluto dovrebbe ancora superare quanto visto nel periodo 1987-2000. Ce la farà?
Chissà. Per chi non lo ricordasse, però, finì con l’esplosione della bolla delle dotcom. Ma attenzione, questa settimana ci sono tre elementi catalizzanti sui mercati. Anzi, come in una partita di poker, avremo a che fare con tre donne che hanno virtualmente in mano i destini di buona parte di ciò che circola sui mercati finanziari. Primo, il Fomc della Fed previsto per domani, già diventato dinamo dei rialzi, visto che dovrebbe dare il via al dimagrimento dello stato patrimoniale della Banca centrale Usa. Di fatto, la vendita di Treasury sul mercato per darsi una ripulita. Tutti gli indici segnalano ottimismo, l’Msci World ieri ha aperto al massimo record, l’Euro Stoxx era al top da sei settimane e l’Msci Asia-Pacific, escluso il Giappone, era a livelli che non si vedevano da fine 2007. Insomma, una festa.
C’è poi Angela Merkel, la quale vede la sua Cdu veleggiare al 37% contro solo il 20% della Spd di Martin Schulz a meno di una settimana dal voto politico di domenica prossima in Germania: di fatto, vittoria archiviata senza nemmeno giocare la partita, salvo disastri. Infine, venerdì Theresa May, nella suggestiva e simbolica cornice di Firenze, di fatto sancirà l’atto ufficiale del Brexit, dopo che il 12 settembre Westminster ha cancellato la legge che garantiva all’Ue e alle sue normative la preponderanza su quanto deciso nel Regno Unito. Il tutto, con una sterlina che la scorsa settimana ha segnato un +2,98% sul dollaro, +3,75% sull’euro, il Gilt a 10 anni su di 32 punti base e la possibilità di un aumento dei tassi da parte della Bank of England in novembre salita dal 18,4% al 64,5% dopo il dato dell’inflazione di agosto.
Non manca qualcuno all’appello? Ah già, quel pidocchio economico della Cina. La quale, il 18 ottobre vedrà l’apertura del Congresso del Partito Comunista, evento che sta paralizzando molte decisioni in questo ultimo periodo. Ma non solo. Guardate questo grafico, il quale ci mostra gli scostamenti del mercato azionario del Dragone: calma piatta. Ma come, un mercato con quella capitalizzazione, in un contesto determinato da clientela retail e grossi swings che sembra un lago alpino in primavera? Eh sì, perché in nome del libero mercato, del cui status Pechino vuole l’ufficializzazione e in ossequio al fiasco già messo in campo nell’estate del 2015, la China Securities Regulatory Commission ha ordinato ai broker locali di «mitigare i rischi e garantire la stabilità dei mercati prima e durante il Congresso del Partito», stando a quanto rilanciato ieri da Bloomberg. Un ordine chiaro e con una postilla: vacanze vietate per tutti i responsabili di brokeraggio dall’11 ottobre a fine del simposio politico.
E, guarda caso, il Congresso è stato piazzato strategicamente, visto che la prima settimana di ottobre i mercati cinesi saranno chiusi per festività, riducendo quindi di molto la possibilità di scostamenti sgraditi di mercato. Eh sì, perché hanno anche il coraggio di chiamarlo mercato. A certi colossi piace vincere facile, non c’è che dire. Ma dev’essere connaturato ontologicamente in un’ottica marxiana questa volontà della cosiddetta “borghesia”, che oggi chiamiamo elite o establishment, di giocare sempre sul sicuro, perché mentre le Banche centrali garantiscono agli indici azionari sempre nuovi record e i dati macro ci mostrano invece un’incidenza della ripresa pressoché inesistente per il famoso 99% del mondo, salari in testa, ecco che questo grafico mette per bene le cose in prospettiva: oggi come oggi, stando a uno studio pubblicato ieri dal National Bureau of Economic Research, il 10% del Pil mondiale è detenuto in paradisi off-shore. Ma attenzione, perché è quando andiamo a dividere percentualmente in aree geografiche questo dato che si scopre qualcosa di davvero interessante: se prendiamo l’Europa il numero sale al 15% e per quanto riguarda le cosiddette “petro-aree”, ovvero Paesi del Golfo e America Latina, siamo addirittura al 60%. Solo gli Usa sono poco al di sotto della media, mentre all’interno dell’Ue sono Germania e Francia a farla da padrone.
Ecco cosa dice il report, testuale: «Quando si prende il valore totale delle ricchezze off-shore come percentuale del Pil, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Arabia Saudita, Russia e Argentina guidano la classifica, seguiti da Germania, Regno Unito e Francia ben al di sopra della media. Poi gli Usa, un pochino al di sotto del range». Negli Stati Uniti sono più onesti? No, semplicemente il gruppo di lavoro ha trovato tre caratteristiche comuni fra chi detiene larga parte delle ricchezze nel paradiso dell’evasione: prossimità alla Svizzera, la presenza di risorse nazionali e l’instabilità economica. Insomma, ricapitoliamo: indici azionari ai massimi, mercato cinese di fatto chiuso per Congresso del Politburo e ricchezze che abbandonano con sempre maggiore frequenza e volumi i Paesi dove sono generate per andare a nascondersi. Vi pare un contesto di ripresa e di fiducia?
Ma attenzione alla variabile impazzita, la stessa che gira come una trottola da mesi. È di ieri il dato sull’inflazione dell’eurozona, il quale ad agosto, stando alla lettura definitiva, è salito dell’1,5% su base annua e dello 0,3% su base mensile. In linea al consenso anche l’indice dei prezzi core (che esclude le componenti dell’energia, degli alimenti e dell’alcool) e in crescita a livello mensile dello 0,3% e dell’1,2% su base annua. Nel 28 Paesi dell’Ue l’inflazione ad agosto si è attestata all’1,7% su base tendenziale, contro l’1,5% di luglio. I tassi più alti sono stati registrati in Lituania (4,6%), Estonia (4,2%) e Lettonia (3,2%), mentre quelli più bassi sono stati osservati in Irlanda (0,4%), Cipro (0,5%) e Grecia e Romania (0,6%): l’Italia si trova appena sotto la media della zona euro con l’1,4% in agosto rispetto al 1,2% di luglio e allo 0,1% dell’anno precedente.
A livello di zona euro, l’impatto maggiore sull’aumento dei prezzi è stato dovuto ai carburanti da trasporto, ai servizi di alloggio e al trasporto aereo, mentre l’impatto sui prezzi invece è stato negativo per protezione sociale, legumi e telecomunicazioni. Dopo la pubblicazione del dato, l’euro è leggermente risalito sul dollaro a quota 1,195, dopo un recupero nella prima parte della mattinata da 1,1917. Ma attenzione, perché la vera notizia è un’altra, sempre legata questo dato: la Bce, nelle anticipazioni del suo ultimo bollettino mensile, ha stimato che l’inflazione resterà sotto l’1% nell’area euro nel primo trimestre 2018. La frenata sarà legata, stando all’istituto di Francoforte, al «forte impatto negativo dei prezzi, piuttosto volatili, dell’energia e dei beni alimentari».
Accidenti, il target del 2% resta dunque ancora lontano. E come si da a dar vita al tapering, in queste condizioni? Non si può, quindi si continua a stampare. Per fare cosa? Aiutare l’economia reale? No, mantenere in vita i mercati e, soprattutto, monetizzare in una partita di giro globale tutto il debito che la Fed sta per cominciare a scaricare dal suo stato patrimoniale, in modo che i giornali scrivano che la normalizzazione monetaria va avanti, l’economia Usa scoppia di salute e la ripresa globale è sostenuta e sostenibile. Balle, è un colossale gioco delle tre carte, dove tutti fanno la loro mano, sapendo che comunque nessuno pagherà dazio. È una simulazione e, quando c’è rischio, si fa come in Cina, truccando le carte. Nel frattempo, però, casualmente aumenta e di molto la quantità di denaro che dai Paesi maggiormente sensibili sta sparendo nei paradisi fiscali. Compresi Regno Unito, Germania e Francia. Sicuri che vada tutto bene?
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