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FINANZA E MEDIA/ Per editori e giornalisti italiani è l’ora di un grande concordato

- Gianni Credit

L’editoria giornalistica italiana tradizionale di fine 2017 appare come un campo di battaglia: tante le chiusure e le situazioni critiche. Urge una svolta, segnala GIANNI CREDIT

Lapresse

I giornalisti de Il Sole 24 Ore hanno scioperato due giorni alla vigilia di Natale: l’editoriale di Confindustria ha disdetto a sorpresa una parte del contratto integrativo, annunciando alla redazione un taglio non marginale degli stipendi. Ma anche in un altro quotidiano-leader come Repubblica le acque non sono affatto tranquille: pochi giorni fa l’assemblea dei giornalisti ha respinto all’unanimità la prospettiva di nuove riduzioni di organici o retribuzioni e la rappresentanza sindacale interna verrà rinnovata dichiaratamente in vista di una fase conflittuale. E Gedi – la nuova editoriale di Repubblica e Stampa – è un gruppo in ristrutturazione post-fusione, ma non in crisi. Sta scontando semmai qualche aggiustamento di rapporto fra la famiglia De Benedetti e la famiglia Agnelli nei nuovi assetti di controllo, ma ha conti lontani dalla situazione drammatica de Il Sole 24 Ore. Il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport, intanto, sono tornati a uno stato di relativa stabilità gestionale, anche se il debito che ancora pesa sul gruppo Cairo dopo l’Opa su Rcs è un “non problema” congelato: per via del supporto strategico dato da Intesa Sanpaolo.

Attorno, l’editoria giornalistica italiana tradizionale di fine 2017 è comunque un campo di battaglia: non si contano, quasi quotidianamente, le chiusure di testate e i dissesti (anche di una promettente iniziativa digitale come Blogosfera), gli stipendi non pagati, gli annunci di esuberi, le richieste di ammortizzatori sociali, peraltro sempre più difficili. Nel tritacarne sono finiti anche circa 2mila giornalisti pensionati, titolari di un vecchio istituto, la cosiddetta ex indennità fissa per coloro che hanno lavorato in una singola testata per almeno 15 anni continuativi. Il nuovo piano di smaltimento rateale è stato messo in discussione da una proposta congiunta fra Fieg (editori) e Fnsi (sindacato dei giornalisti): una “rottamazione” al 50% di quanto è ancora dovuto. È evidente l’intento di risparmiare anche solo qualche milione utile – forse – a sostenere l’occupazione, soprattutto assunzioni di giovani giornalisti. 

La Fnsi, del resto, è stata chiara in un cambio realistico di approccio per un 2018 che si profila come “rifondativo” della professione giornalistica in Italia: la priorità non è (più) la tutela tout court di chi vive nelle redazioni, ma le creazione di nuove condizioni perché chi in Italia vuol vivere di giornalismo trovi approdi diversi dallo sfruttamento e dal precariato; e perché le stesse strutture di welfare della categoria (non ultime nel reggere l’identità della comunità professionale) ritrovino sostenibilità.

È tardi per recriminare sui ritardi (qui un articolo del Sussidiario del Capodanno 2015) . Più facile e utile guardare a ciò che può realisticamente accadere o cosa sarebbe utile accadesse. È chiaro che nell’editoria giornalistica più che in altri settori rimane indispensabile una ristrutturazione drastica. Gran parte degli editori è ancora organizzata per un mercato protetto dalla barriera linguistica e da quella tecnologica, abbattute da tempo. Una copia di quotidiano cartaceo venduta in edicola nominalmente a più di un euro viene già in realtà collocata in abbonamento digitale a un quarto di quel prezzo: ed è un fatturato sempre più difficile da difendere su un mercato globalizzato in cui solo “provider” di assoluta eccellenza possono ormai permettersi di chiedere un prezzo diretto per i propri contenuti in vendita sulla rete. Né le cose vanno meglio sul fronte pubblicitario, ormai saldamente presidiato degli Over-The-Top Google e i suoi fratelli e sorelle. 

È evidente che la struttura di costi disegnata molto tempo fa dai contratti di lavoro nazionali e corporativi è del tutto superata: non va adattata, va ricostruita. Non da ultimo perché le competenze indispensabili oggi per il newsproviding digitale eccedono ormai di molto il patrimonio professionale di un giornalista tradizionale. E per un giornalista junior – al pari di tutti i coetanei – è oggi più importate avere una carta da giocare, in una partita win win con ”nuovi editori”, piuttosto che inseguire all’infinito il miraggio di golden jobs che in realtà non esistono più: che sono sradicati da ogni realtà economica, professionale, perfino di accettazione sociale.

Se, come, quando un accordo “rifondativo” del giornalismo in Italia sarà possibile dipende dai giornalisti non meno che dagli editori e non dipende del tutto da loro. Con gli OTT ormai tratta direttamente un’entità sovrannazionale come l’Ue. Un’aggregazione di livello alto ma non massimo come quella in cantiere fra Vivendi, Tim e Mediaset non è già più sotto il controllo dei sistema-Paese. Editori e giornalisti possono soltanto – ma per molti versi devono – dar vita in fretta a un concordato in cui decidere assieme gli impegni rispettivi nel mondo nuovo. Fra i primi impegni utili c’è sicuramente quello di aggiungere posti al tavolo per altri giornalisti ed editori: che non nuovi non sono più da tempo, ma non sono ancora giudicati tali. 



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