Quella di ieri è stata a giornata tipo di quelli che io definisco i “terroristi dell’ovvio”. Già, perché il nostro Paese non deve fare i conti sono con un Governo di dilettanti e irresponsabili, ma anche con un’opposizione, politica e mediatica, a dir poco infantile. Mi siete testimoni: da giorni dico che la vera anomalia di cui aver paura è la spread che resta fermo, immobile, cristallizzato nel range compreso fra 290 e 310 punti base, qualsiasi cosa accada. Di più, almeno a livello di percezione e prezzatura anticipatoria: qualsiasi cosa si dica. E i motivi da temere sono due. Primo, i mercati scontano il teatrino in atto e non si azzardano ad attaccare un debito ancora coperto dagli acquisti Bce. Secondo, il nostro mercato del debito è ormai illiquido sull’esempio giapponese, con appunto Bce e banche nazionali come unici acquirenti. In vista della fine del Qe, una prospettiva poco allettante. Per il semplice fatto che un mercato con volumi ridotti è soggetto a scossoni enormi, anche a fronte di vendite non da sell-off, quando partirà un attacco sostanziato da ragioni reali. O, strumentali, come ad esempio la necessità di un casus belli che costringa Draghi a salvare l’eurozona un’altra volta. E quel casus belli, per chi ancora non lo avesse capito, si è deciso che sia proprio l’Italia. A livello europeo. Ma non solo.
Ed ecco che, invece, cosa fanno i “terroristi dell’ovvio”? Appena lo spread ieri ha messo la testa fuori dal range in cui ha pascolato per oltre quindici giorni, arrivando a 317 per pochi minuti, eccoli che twittano, preconizzando cavallette e armageddon: ogni riferimento a Matteo Renzi è puramente voluto. Ancorché, a sua parziale discolpa e attenuante generica si possa citare la disperazione politica in cui versa in vista del Congresso Pd e delle primarie, tale da vederlo politicamente lucido nelle sue mosse strategiche quanto una mosca intrappolata in un bicchiere. Di altri personaggi della presunta opposizione, nemmeno parlo. Per carità di Patria e per evitare di offendere la vostra e la mia intelligenza, anche solo nominandoli warholianamente.
Ora, che lo spread ieri vivesse un rialzo, lo sapevano – da giorni – anche i sassi. C’era una scadenza prefissata, quella della risposta all’Ue sulle critiche mosse alla manovra e c’era un’intenzione chiara del Governo – altrettanto nota e chiara – di ignorare quegli appunti, tirando diritti sulla strada del deficit. Stupirsi, quindi, equivaleva a rivelarsi sorpresi del fatto che il 25 dicembre la gente spacchetti i regali. Ma si sa, l’opposizione in Italia regala sempre soddisfazioni. Almeno quella che ancora dà segnali di vita, pur flebili: Forza Italia e Fratelli d’Italia ormai sopravvivono per mera testimonianza, come il Psdi ai tempi del Pentapartito. Alle due del pomeriggio, metà giornata abbondante di contrattazioni e allarmi di vario genere già nell’aria, lo spread aveva già ritracciato a 309, limite del confine di attenzione sullo storico di breve termine. Ovvero, sull’arco temporale della baruffe goldoniane con l’Europa, dal Def in poi. Davvero pensate che contino qualcosa, cinque o sei punti base in più o in meno a livello intraday?
E poi, l’azionario. Piazza Affari era in ribasso. Molto pesante, fin dall’apertura. Ma allo stesso modo, più o meno, lo erano Parigi e Francoforte. Perché mentre Renzi twittava ovvietà e il Governo gonfiava il petto come Mussolini in spiaggia, ecco la vera notizia. Intendiamoci, anche in questo caso nulla che non ci si attendesse ma, contestualizzato, qualcosa di ben più strutturale del nostro spread che flirtava con quota 310: la certificazione della continua frenata dell’economia tedesca. In Germania, infatti, il Pil è diminuito dello 0,2% nel terzo trimestre rispetto ai tre mesi precedenti, come confermato dall’Ufficio federale di Statistica, Destatis. Il risultato è peggiore delle stime degli economisti di Factset, che prevedevano un meno 0,1%, mentre su base annua il Pil tedesco ha segnato un incremento dell’1,1%. Il dato negativo del terzo trimestre contrasta però nettamente con la tendenza di inizio anno, caratterizzata da una crescita dello 0,4% nel primo trimestre e dello 0,5% nel secondo: si tratta del primo arretramento ufficiale dell’economia tedesca dall’inizio del 2015.
Sul calo ha pesato l’industria dell’auto, la cui produzione nel trimestre è stata frenata dall’entrata in vigore dei nuovi standard sulle emissioni e della guerra dei dazi fra Washington e Pechino, ma l’Ufficio federale di statistica motiva la frenata anche con un aumento delle importazioni, una riduzione delle esportazioni tedesche verso il resto del mondo e, ben più grave, una flessione dei consumi privati. Insomma, signori, l’economia dell’eurozona nel suo complesso, tracciata attraverso il proxy collettivamente acquisito e tracciato dell’economia della sua locomotiva, è in contrazione. Sta finendo il ciclo di ripresa innescato e garantito dalla liquidità del Qe, dalle aste Ltro, dal Whatever it takes, dai tassi negativi. dagli acquisti onnivori di Mario Draghi, sovrani e corporate. Sta finendo un’epoca. E, in un contesto simile, cosa fa la ultra-indebitata Italia? Una manovra non solo in deficit (fin qui, infatti, non ci sarebbe nulla di male, a parte il timing scelto), ma a deficit per finanziare idiozie assistenzialiste come il reddito di cittadinanza, il tutto alzando di fatto le tasse alle imprese per oltre 6 miliardi nel 2019, visto lo stralcio di molte agevolazioni contenuto nella manovra. Geniale, in tempi di contrazione ufficiale della crescita europea e di fine contemporanea del Qe!
E qui, quindi, arriviamo al punto che da sempre caratterizza il mio pensiero al riguardo: l’Europa e l’Italia stanno giocando allo sketch hollywoodiano del poliziotto buono e poliziotto cattivo, lo conferma lo spread piantato come un palo del telefono delle scorse settimane. Il motivo è semplice: essendo l’anello debole fra i Paesi più grandi ma anche, appunto, troppo grande per essere trattata come la Grecia, l’Italia pareva perfetta per garantire alla Bce il proverbiale “incidente in attesa di accadere”, un bell’intoppo sulla strada lastricata dai destini rosi degli unicorni e dei cieli sempre blu che “obbligasse” suo malgrado la Bce a cambiare i propri piani e a garantire un qualche livello di supporto ulteriore all’area euro, anche dopo il 1 gennaio prossimo. Il piano, in sé, era semplice ma non stupido: diciamo che si è andati sul sicuro, un copione consolidato ma efficace. Chiedere referenze alla Fed.
C’è però un problema, certificato dal dato tedesco: la situazione, complice il rallentamento cinese e i disastri che la politica proprio della Fed sta innescando sui mercati attraverso la curva dei tassi, rischia di andare fuori controllo, di mandare all’aria il piano così ben escogitato. A quel punto, la Bce potrebbe lo stesso trovare il suo casus belli e invertire il programma, ma dovrebbe farlo in un contesto non previsto, davvero emergenziale. E, soprattutto, disordinato. Questo è il rischio vero, ovviamente non capito né da maggioranza, né da opposizione, visto che se Renzi ha fatto come sua abitudine apologia dell’ovvio, anche il socialmente attivissimo onorevole Borghi non ha voluto smentirsi a livello di infantilismo. E appena uscito il dato tedesco sul Pil ha twittato come un scolaro poco dotato che, invece che studiare e pensare a migliorarsi, si diverte a prendere in giro il compagno secchione che questa volta ha preso 5- nel compito in classe.
Loro giocano, si divertono, fanno i tweet, le dirette Facebook: attendiamo con ansia gare di “schiaffo del soldato” con Moscovici o campionati di rutti con Juncker. Altro che danzare sul Titanic, qui stanno proprio facendo un’orgia. Di incompetenza, irresponsabilità e disinformazione. A destra come a sinistra come nell’iperuranio del big data, dove immagino si collochino gli interessi della Casaleggio Associati tramite il suo proxy politico. E a certificare la gravità del momento, ci ha pensato ieri un editoriale pubblicato da Handelsblatt, il principale quotidiano economico tedesco, a firma, guarda caso, di Jörg Krämer, capo economista di Commerzbank, l’istituto già salvato dalla Merkel che ora, per restare in piedi, al 99% dovrà fondersi con l’altra grande malata d’Europa, Deutsche Bank in continua emorragia di capitalizzazione.
E cosa dice il buon Jörg Krämer? Invita la Bce a stare ferma e lasciare che sia la forza dei mercati a rimettere in riga il Governo italiano rispetto alla manovra. Di fatto, un invito alla speculazione affinché picchi duro e ci spedisca lo spread dove arrivò nel 2011, tanto per dar vita a un deja vù in piena regola. Banale, la stessa tesi di quell’altro scienziato di Oettinger. Ovviamente, Mario Draghi dovrà lasciar fare, evitando acquisti che spaventino gli attori di mercato e li facciano recedere dai loro intenti speculativi. Già immagino i Borghi del mondo schiumare rabbia contro i perfidi tedeschi e il loro dannato euro: signori, nel disastro che si sta sostanziando a livello globale, c’è da sorridere. Perché il capo economista di una delle principali banche tedesche che arriva a scrivere idiozie disperate di questo genere sul più importante quotidiano economico-finanziario del Paese parla la lingua della debolezza. Estrema. Sostanziata, di fatto, dalla debolezza politica del Governo di Berlino, Angela Merkel in testa.
E con un’occasione del genere per trattare non più in condizioni da Calimero designato noi ci mettiamo a fare la guerra frontale all’Unione per il reddito di cittadinanza che farà felice Crotone, invece che prendere l’iniziativa e chiedere, ad esempio, la convocazione di una riunione urgente per discutere, seriamente e a bocce ferme, della situazione economica dell’eurozona, un Ecofin allargato d’emergenza, partendo proprio dalla nostra manovra, come atto di responsabilità e serietà? Questo non significherebbe calare le braghe, bensì usare il cervello e non qualcos’altro nelle trattative. Le crisi, spesso e volentieri, si tramutano in opportunità. E davanti a noi, oltre alla tempesta, ne abbiamo una di portata storica. Certo, se a gestirla è questo Governo o il terrorismo dell’ovvio alla Renzi dell’opposizione, tanto vale desistere. Almeno, al danno eviteremo anche la beffa del ridicolo.