L’effetto dell’accordo, siglato sabato scorso al G20 di Buenos Aires, tra Donald Trump e Xi Jinping è durato poco, dopo il forte rialzo delle Borse di lunedì 3 dicembre. Come un fulmine a ciel sereno, è scoppiato il caso Meng Wanzhou, la Cfo e figlia del fondatore di Huawei, arrestata in Canada su richiesta degli Stati Uniti con l’accusa di aver violato le sanzioni contro l’Iran: i mercati hanno svoltato bruscamente al ribasso, temendo per l’effettiva possibilità di successo dei negoziati tra Washington e Pechino, alla fine dei 90 giorni di tregua sull’aumento dei dazi annunciati da Trump. Anzi, gli operatori ritengono probabile che già nella prima parte del 2019 le ostilità riprenderanno. Benzina sul fuoco “in un clima già depressivo – commenta Alessandro Magagnoli, analista tecnico e cofondatore di Financial Trend Analysis (Ftaonline) – testimoniato anche dall’ulteriore riduzione della curva dei rendimenti tra i Treasury Usa biennali e decennali, scesa a inizio settimana sui minimi dal luglio 2007. Addirittura su alcune scadenze la curva dei tassi risulta invertita – come nel caso del differenziale tra i titoli governativi a 3 e a 5 anni, che è negativo -, una condizione che spesso anticipa l’avvio di una vera e propria recessione”.
E sul mercato azionario che cosa sta succedendo?
Si inizia già a parlare, con preoccupazione, dell’eventualità che possa realizzarsi una “death cross”.
Di che si tratta?
E’ l’incrocio mortale delle medie mobili a 50 e 200 sedute. Quando questa situazione si verifica – e per l’S&P 500 l’eventualità che accada è molto elevata, dal momento che le medie sono già quasi coincidenti in area 2.750/2.755 punti, con la media mobile a 50 periodi che taglia dall’alto verso il basso quella a 200 giorni -, molto spesso si avvia una fase calante duratura. Sia la correzione della seconda metà del 2011 sia quella del 2015 sono infatti state anticipate da questo “incrocio della morte”.
Insomma, una sorta di onda lunga che va a inteferire con tutti i mercati, non solo quelli americani?
Lo vediamo bene sulle quotazioni dei bond cinesi, che si rafforzano con i rendimenti in calo verso il 3,3%. Stesso andamento per il Bund, i cui rendimenti sono scesi per “simpatia” con i titoli di analoga scadenza statunitensi. Meno evidente, invece, l’effetto sui Btp italiani, sui quali pesa ancora l’incertezza riguardo alle modifiche da apportare alla manovra e ai rapporti con la Commissione Ue. Queste dinamiche hanno comportato il mantenimento dello spread Btp-Bund attorno ai 280/290 punti, un valore ancora elevato rispetto alla media recente: quella a 200 periodi vale 225 punti base, valutazione che probabilmente potrebbe essere raggiunta in tempi brevi nel caso arrivassero segnali concreti di distensione tra il nostro governo e Bruxelles.
Tra Usa e Cina chi avrà la meglio nel duro confronto in atto?
E’ presto per dire se ci saranno vincitori o vinti da questa guerra. Per il momento chi ne sta traendo vantaggio, fosse solo per l’interruzione della fase di rafforzamento del dollaro e per il fatto che la Cina è “condannata” a favorire la crescita, sono i mercati emergenti. Mentre i grandi litigano, infatti, è previsto un aumento degli scambi tra i Paesi dei mercati emergenti. Con l’S&P 500 in affanno e ritenuto da molti ormai caro a questi prezzi, un’alternativa nel primo scorcio del 2019 potrebbe essere proprio quella di guardare in direzione dei mercati emergenti.
Che cosa dicono i grafici sugli emergenti?
Dall’indice Msci Emerging sono venuti proprio negli ultimi giorni importanti segnali grafici di forza: il superamento in area 1.000/1.010 del lato alto del canale ribassista che parte dai massimi di inizio 2018 e della media mobile esponenziale a 100 giorni. Se questi due eventi vengono inquadrati in un contesto più ampio, analizzando l’andamento dell’indice dai minimi di inizio 2016, assumono una valenza ancora più positiva. Il calo visto nel 2018 si è infatti limitato a ritracciare il 60% circa del rialzo precedente, quello dai minimi di inizio 2016, rimanendo quindi ampiamente all’interno dei canoni utilizzati per separare una fase correttiva, quindi di discesa temporanea, da una di inversione di trend, quindi di ribasso duraturo. Per il momento la reazione dai minimi di fine ottobre è ancora acerba per potere scommettere su di un suo proseguimento anche nel medio periodo, ma nel frattempo anche sul grafico di forza relativa che mette in rapporto l’Msci Emerging con l’Msci World, l’indice benchmark della Borsa mondiale, dopo un anno circa di ribasso, quindi con gli emergenti che sottoperformavano l’indice mondiale, da un bimestre circa, e dopo il completamento di un testa spalle rialzista, il vento è cambiato in favore degli emergenti. La rottura anche di quota 1050, media mobile esponenziale a 200 giorni, permetterebbe di ipotizzare il ritorno in area 1.150. Solo oltre quei livelli verrebbero inviati segnali duraturi di ripresa. Sotto area 950, invece, i recenti segnali di forza risulterebbero riassorbiti.
Piazza Affari come viene influenzata da questo contesto generale?
Guardando alla Borsa italiana da un punto di vista grafico, si nota che per il momento il rimbalzo del Ftse Mib dai minimi di fine ottobre di quota 18.411, che ha riportato le quotazioni in vista dei 19.675 punti, non è stato particolarmente significativo. Solo la rottura di quota 19.675, dove si collocano il 38,2% di ritracciamento del ribasso dal picco del 26 settembre e il massimo dell’8 novembre (esattamente a 19.224) fornirebbe infatti segnali di forza credibili. La rottura dei 19.675 punti aprirebbe la strada con buona probabilità anche al raggiungimento di area 20.800, target del doppio minimo ottenuto proiettando verso l’alto l’ampiezza della figura dal punto di rottura. Il mancato superamento di 19.675 e la violazione di area 18.400 potrebbero invece comportare movimenti verso il supporto a 17.180 punti, base del canale ribassista che contiene la discesa dai massimi di maggio.
E la famigerata “death cross”?
Purtroppo nel caso del Ftse Mib si è già realizzata da tempo: le due medie mobili esponenziali a 50 e 200 giorni si sono infatti incrociate al ribasso già dalla fine di giugno, attualmente resistenza rispettivamente a 19.500 e 20.880 punti. Motivo in più per rimanere prudenti sul mercato azionario domestico, almeno fino a quando lo spread non scenderà al di sotto della soglia dei 250 punti.
(Marco Biscella)