SPY FINANZA/ Anche la Germania finisce nel mirino della speculazione

- Mauro Bottarelli

Il fondo Bridgewater rinnova le sue scommesse al ribasso puntando contro Francia e Germania, ovvero l’asse portante di tutta l’Europa. MAURO BOTTARELLI

martin_schulz_1_lapresse_2017 Martin Schulz (Lapresse)

Guardate il grafico più in basso: ci mostra le principali aziende finite nel mirino di Bridgewater, il fondo Usa guidato da Ray Dalio che ha deciso di andare ulteriormente short sul mercato europeo. La scommessa generale ammonta a 22 miliardi di dollari, 9 dei quali aggiunti la scorsa settimana, così composta: 7,3 miliardi contro ditte tedesche, 4,5 miliardi contro aziende francesi, 1,7 miliardi spagnole e il grosso del resto contro nomi italiani, fra cui Unicredit ed Enel. Da notare come ultimamente Bridgewater abbia tagliato le scommesse short contro Olanda, Spagna e Irlanda e aumentato – per controvalore – quelle contro Germania e Italia. 

C’è da aver paura? Tendenzialmente, gli attacchi speculativi – quelli seri e che fanno male – arrivano di sorpresa, perché il succo dell’intera operazione sta proprio nel cogliere in fallo l’oggetto della scommessa ribassista, non dandogli tempo di difendersi: per capirci, l’ente regolatore della Borsa tedesca, la Bafin, penso che terrà gli occhi aperti. Potete contare che faccia lo stesso la sonnecchiosa Consob? Io no. Quante volte si è dovuti ricorrere, anche nel recente passato, a manovre emergenziali come la sospensione di titoli dalla contrattazione o il divieto di short selling, proprio per evitare attacchi diretti, vedi Alitalia o Mps? Sempre tardi, però, tanto più che puoi mettere tutti i bandi che vuoi, visto che si può sempre operare al ribasso con le opzioni put.

La scommessa di Dalio e del suo fondo risale allo scorso ottobre ma all’epoca si trattava di uno short da poco, esattamente 700 milioni di dollari: ora la cifra si è fatta seria. E, per una volta, l’Italia rappresenta soltanto il paniere in cui certamente cascherà qualche uovo, ma non il bersaglio grosso: a far paura, quantomeno se ci trovassimo nei panni di Mario Draghi, dovrebbe piuttosto essere l’azzardo su Francia e, soprattutto, Germania. Per quale motivo, infatti, le principali ditte delle nazioni-motore d’Europa dovrebbero patire dei cali tanto sensibili da permettere a Dalio di incassare una cifra tale da garantirgli delle sontuose vacanze estive? Contro chi sta scommettendo in realtà, Bridgewater? Forse contro la tenuta dell’eurozona? E non sto parlando di crollo dell’euro, di uscita disordinata di uno Stato, di crisi sovrana stile 2011: sto proprio parlando di messa in discussione dell’intero nuovo impianto europeo, sto parlando della tenuta dell’asse franco-tedesco. Sto parlando, in parole povere, della tenuta dell’accordo politico in Germania per una nuova Grosse Koalition. 

Già, perché nonostante il doppio passo indietro del giubilato Martin Schulz, prima da potenziale, futuro ministro degli Esteri e poi da segretario della Spd, i malumori in casa socialdemocratica sono tutt’altro che sopiti, così come la possibilità che i 464mila iscritti alla Spd boccino l’accordo di massima per un esecutivo di coalizione, nonostante le enormi concessioni politiche della Merkel a livello di dicasteri offerti all’alleato. Il voto è in atto in questi giorni e culminerà con uno scrutinio a inizio marzo: a quel punto, sapremo se la Germania avrà un governo o, caso più unico che raro nella storia politica recente, dovrà tornare alle urne, dopo l’impasse scaturita dal voto del 24 settembre scorso. 

Se questa ipotesi divenisse realtà, la scommessa di Ray Dalio non sarebbe soltanto vincente, ma qualcosa di paragonabile allo short di David Einhorn contro Lehman Brothers o di chi ebbe l’ardire di scommettere contro Enron, quando il gigante energetico sembrava invincibile e invece crollò in soli 24 giorni. Tanto più che ci sarebbero un paio di variabili di cui tenere ulteriormente conto. Primo, il voto interno del Spd offrirà al pubblico il suo scrutinio a ridosso, se non lo stesso giorno, del voto politico in Italia, definito da tutte le banche d’affari e i fondi un appuntamento dichiarato con l’instabilità. Secondo, l’euro è tornato sopra quota 1,24 sul dollaro e, vista l’aria che tira negli Usa, difficilmente abbandonerà in fretta la sua china rialzista, mettendo in forte difficoltà le aziende europee a maggiore vocazione di export: anche su questo, certamente, si basa lo short di Dalio. Anche perché, nonostante la pace dei mercati nel giorno del dato sull’inflazione Usa, il rendimento del Treasury a 10 anni, il canarino nella miniera di possibili scossoni, sta flirtando da mercoledì con area 3% e alcuni segnali parlano chiaro: a Washington vogliono un dollaro debole e il più possibile instabilità.

Perché? Semplice, per esportarla in Europa, dove la Banca centrale è ancora impegnata nel suo Qe, ma ha a che fare con troppe teste e troppe economie diverse tenute insieme con lo sputo per poter reagire in tempo allo shock: manna per gli Stati Uniti. Guardate questi due grafici freschi freschi dei dati macro di ieri: volendo credere alla vulgata Usa, il rischio inflazione è in piena ebollizione. E attenzione, perché il tasso del mutuo medio trentennale è salito questa settimana al 4,57%, il massimo da gennaio 2014, mettendo sotto pressione le richieste di nuovi mutui negli Usa: altra campanella d’allarme, altra sirena entrata in azione, soprattutto perché riguarda il comparto ultra-sensibile dell’immobiliare. Il piano, ovviamente, non fa capo alla Casa Bianca, la quale invece ne fa parte come capro espiatorio: quando scoppierà il bubbone, in maniera più o meno controllata, chi finirà nel mirino della critica, se non Donald Trump con la sua riforma fiscale monstre e il suo budget 2019 completamente impostato sul deficit spending? 

 

Esattamente ciò che Wall Street e i suoi referenti a Capitol Hill volevano da principio, ovvero far scoppiare la bolla nella maniera più rumorosa ma meno letale possibile e, nel contempo, chiamarsi fuori da ogni responsabilità, avendo come comodo capro espiatorio nientemeno che il presidente e il suo entourage, tutti sacrificabili e, anzi, perfettamente giubilabili in tempo per le elezioni di mid-term. Vi pare un caso che, parlando di fronte al Senato, tutti i capi delle varie intelligence Usa – dalla Cia alla Nsa al Fbi – abbiamo mercoledì ricominciato con la tarantella delle ingerenze russe in vista proprio del voto di medio termine? E la rinnovata tensione in Siria non è forse propedeutica a qualche cortina fumogena da usarsi in caso di necessità, con tanto di bufala sull’uccisione di 100 mercenari russi, quando in realtà si trattava di più innocui e sacrificabili curdi? E le voci della malattia di Vladimir Putin, casualmente messe in circolazione solo ora, a poche settimane dal voto del 18 marzo che vede l’uomo del Cremlino trionfatore ancor prima che vengano montati i seggi? Troppi indizi. I quali, a guardare bene e a pensar male, fanno ben più di una prova, almeno per quanto mi riguarda. 

Ray Dalio avrà fatto tutti questi calcoli, prima di dar vita al suo short sulle aziende europee? Magari no, magari si sarà limitato a scommettere sull’instabilità tedesca di inizio marzo e sul combinato con quella italiana, il che tra l’altro spiegherebbe il suo aver alzato la posta in concomitanza con il passo indietro di Martin Schulz: e l’Italia come si prepara al possibile attacco di primavera, visto che non si tratta di un’imboscata ma di una dichiarazione palese? Litigando sui rimborsi farlocchi dei Cinque Stelle e, ancor peggio, a livello governativo e diplomatico, dando vita a un braccio di ferro con Erdogan sulla questione cipriota e sulla piattaforma dell’Eni tenuta in scacco al largo dell’Isola. D’altronde, noi siamo il Paese delle anime belle, quello dove ci scandalizziamo per i giornalisti imprigionati in Turchia e attacchiamo pubblicamente il numero uno turco mentre è in visita nel nostro Paese, dimenticando la quantità di affari che abbiamo in corso e il fatto che ci siano modi e tempi, ad esempio l’ambito comunitario europeo, per compiere certi passi senza esporsi in prima persona come dei kamikaze senza cervello. E lo stesso vale per l’Egitto con la questione Regeni, tornata di nuova in auge in questi giorni e con toni molto pericolosi, conoscendo Al-Sisi e la sua indole poco incline al compromesso. 

Saremo così stupidi da farci trovare a discutere sui conti della serva di Luigi Di Maio, quando partirà l’eventuale attacco? Saremo così poco furbi da tramutare il caso Macerata nella nuova Waterloo, quando l’assise della Spd potrebbe mandare all’aria il compromesso di governo e innescare una crisi sovrana sui mercati europei? Saremo così stupidi da non cautelarci a livello di regolamentazione dei mercati? Ditemi di no, per favore. Almeno stavolta che ci hanno avvertito in anticipo, evitiamo di vivere l’ennesimo 1992. Altrimenti, smettiamola di lamentarci e accettiamo con animo pacificato il nostro ruolo – meritato – di protettorato o colonia. 





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