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Home » Economia e Finanza » FINANZA E POLITICA/ La fregatura pronta con la prossima manovra

  • Economia e Finanza

FINANZA E POLITICA/ La fregatura pronta con la prossima manovra

Int. Luigi Campiglio
Pubblicato 26 Aprile 2018
Palazzo_Chigi_Lapresse

Palazzo Chigi (LaPresse)

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il Def e ci sono i presupposti per una manovra autunnale dai contenuti non certo esaltanti. LUIGI CAMPIGLIO

Oggi il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare il Def, che, come si era ipotizzato nelle scorse settimane, conterrà i quadri macroeconomico e di finanza pubblica tendenziali. Resterà al prossimo esecutivo, quindi, il compito di valutare il da farsi sulle clausole di salvaguardia che potrebbero far scattare un aumento dell’Iva. Disinnescarle, per il solo 2019, costerebbe 12,5 miliardi di euro. E se, come riporta La Stampa, si allontana il rischio di una manovra correttiva, la Commissione europea potrebbe chiedere all’esecutivo che verrà di recuperare i 3,5 miliardi di euro necessari con la Legge di bilancio 2019. Una manovra che già con questi vincoli non sembra lasciare spazi a interventi per lo sviluppo. Abbiamo fatto il punto con Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.


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Professore, per disinnescare le clausole di salvaguardia non sembra esserci alternativa ai tagli di spesa pubblica.

Sì, ma abbiamo già raschiato il fondo del barile. Si possono certo tagliare i costi della politica, le auto blu agli ammiragli, ma non sono importi che fanno la differenza. La cifra non è alta, perché i 12,5 miliardi necessari corrispondono a circa l’1,5% della spesa pubblica, che ammonta a quasi 840 miliardi. Il punto è che negli ultimi anni si è già tagliato in certi settori importanti.


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Può farci qualche esempio?

La spesa pubblica è rimasta costante tra il 2015 e il 2016 e non credo sia aumentata nel 2017. I costi per il funzionamento della macchina pubblica sono già diminuiti da 138 a 132 miliardi, quelli per l’istruzione nel 2007 erano pari a 72 miliardi, mentre oggi sono scesi a 65. Contemporaneamente la spesa per la sanità è stata limata dai 117 miliardi del 2015 agli attuali 116,8, quella per l’ordine pubblico è rimasta invariata da 31 miliardi. Le voci che sono cresciute sono quelle relative alla cultura, passata dagli 11 miliardi del 2012 agli attuali 14, alla difesa, cresciuta da 19 a 21 miliardi, e alla protezione sociale, aumentata da 330 a 354 miliardi. E non dobbiamo dimenticare un cosa.


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Quale?

Le spese per interessi sul debito erano scese, ma potrebbero aumentare. C’è poi da tenere conto che c’è stato il rinnovo del contratto del pubblico impiego e quindi la spesa pubblica, seppur di poco, aumenterà. Dunque dove andare a tagliare? Si vuol tagliare la spesa sulla sicurezza con il clima che c’è nel Paese? Oppure quella per la protezione sociale? È chiaro che si tratterebbe di scelte politiche.

Secondo lei cosa accadrà?

Politicamente l’unica cosa sensata è operare tagli lineari. Oppure una manovra di taglio e “ribaltamento”, come è già stato fatto in passato, sulla finanza pubblica locale. Si potrebbe anche pensare di neutralizzare solo in parte le clausole, facendo aumentare di un po’ l’Iva. Anche se, per quel che si è visto in passato, un aumento dell’Iva diventa poi il pretesto per rincari generalizzati. Il punto è che l’unico modo per presentarsi in Europa con i conti a posto è fare quello che diciamo continuamente di non voler fare: i tagli lineari.

Vista questa situazione è il caso di dimenticarsi di realizzare le promesse e gli annunci della campagna elettorale..

Credo che, visto il clima sociale, almeno un po’ delle promesse che sono state fatte bisognerà mantenerle. Come? Tutti lo negheranno fino alla morte, ma si cercherà di dare con una mano quello che si toglie con l’altra. 

In che modo?

Per esempio, si può tagliare sulle entrate, ma contemporaneamente “privatizzare” un po’ di sanità, cioè portare avanti un processo già in atto per cui gli accessi alle prestazioni coperte dalla spesa pubblica vengono ridotti e diventa quasi “indispensabile” pagare per visite o esami. Oppure si ribalta tutto sulla spesa locale. E a quel punto si penalizza il Sud. Solo che così aumentano le disuguaglianze. Se la sanità diventa privata, si pagherà quello che prima veniva fornito gratuitamente. Sa qual è la quota di prestazioni sociali in natura (come appunto le cure mediche) in rapporto al Pil dell’Italia?

No, qual è il dato?

È pari al 7%, mentre il Paese europeo con il dato più alto è la Svezia, con il 13,5%. L’Italia ha davanti a sé Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda, Belgio, Austria, Spagna, Irlanda e Slovenia. Dunque i vincoli di bilancio in alcuni casi fanno bene, se ci sono degli sprechi, ma in altri fanno malissimo. Quindi bisognerebbe tirare fuori gli sprechi, ma questo non si può fare guardando solo i numeri. Da anni nel nostro Paese si parla di spending review, ma sembra che non si sia imparato nulla: non c’è una cultura di razionalità della spesa.

Professore, per recuperare delle risorse si possono vendere le partecipazioni pubbliche in aziende come Eni e Leonardo…

Per carità, sarebbe un disastro! Già stiamo svendendo il Paese e con Fincantieri avremo praticamente un diritto di veto francese, nonostante sia la società italiana a comprare Stx. Se in Italia l’indice di Borsa dall’inizio dell’anno è salito, mentre altrove, per esempio in Germania, è sceso, è perché dall’estero si vede del valore nelle imprese italiane. Ma non si possono cedere le imprese strategiche, di questo passo percorreremo la strada della Grecia che ha persino venduto delle isole. Per darsi respiro per anno, ci si toglie ossigeno per il resto della vita.

(Lorenzo Torrisi)


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