Ieri Mediaset ha festeggiato l’accordo con Sky con un rialzo del 6,4%; quattro giorni consecutivi di borsa chiusa non sono riusciti a far dimenticare l’accordo annunciato tra Sky e Mediaset venerdì scorso. Gli estremi dell’accordo sono noti: 9 canali di Mediaset Premium saranno disponibili sulla piattaforma satellitare di Sky dal primo giugno; Sky potrà offrire sul digitale terrestre un pacchetto di canali a pagamento a cui si potrà aggiungere anche un pacchetto “sport”; Mediaset ha ottenuto da Sky Italia un’opzione di vendita sulla piattaforma tecnologica di Premium. Ieri, in giornata, fonti autorevoli (tra cui Reuters) riportava la notizia secondo cui Mediaset non sarebbe interessata ad acquistare i diritti tv per la serie A per il triennio 2018/2021.
La festa in borsa di Mediaset di ieri è innanzitutto frutto della chiara percezione che il mercato dei diritti televisivi italiano sia diventato meno competitivo con l’accordo tra le due emittenti. L’investimento in diritti sportivi live di Mediaset non ha portato i risultati i risultati economici sperati; i diritti live sono l’arma competitiva migliore per attrarre abbonati a pagamento e per questo la guerra tra Sky e Mediaset è passata per i diritti sportivi. Gli altri contenuti, dalle serie televisive ai film, giocano in un’arena competitiva più affollata, incluse le youtube di questo mondo, e, eventualmente, sono “recuperabili” nel mare magnum di internet. L’offerta di Mediaset, con l’esclusiva sui diritti della Champions League, non è stata sufficiente per spostare abbonati da Sky; non è tanto una questione di “bravura”, ma più probabilmente di struttura del mercato italiano in cui non c’è spazio per due operatori premium. Sky e Mediaset Premium, piuttosto che Vivendi, non possono avere successo contemporaneamente. E chi dei due non ha successo perde soldi.
Oggi è difficile ipotizzare che qualcuno abbia successo, contro Sky, dove Mediaset, con la sua esperienza decennale nel mercato italiano, è dovuta scendere a compromessi. Chiunque volesse provarci dovrebbe mettere in conto investimenti per centinaia di milioni di euro, pensare di poter far meglio di Mediaset e di offrire pacchetti più appetibili di quelli di Sky; poi c’è la naturale pigrizia dei clienti a cambiare fornitore. La competizione nell’arena dei diritti televisivi potrebbe spostarsi e cambiare natura evolvendo verso un modello in cui la competizione è tra canali diversi più che tra operatori diversi nello stesso canale.
La risalita azionaria di Mediaset dovrebbe facilitare l’uscita dal capitale di Vivendi che era interessata a Mediaset in virtù di Premium e della pay per view. Vendere una partecipazione del 30% sul mercato è molto difficile, ma diventa impossibile con un titolo che non ha particolari ragioni per salire. Se la partita aperta da Elliott in Telecom Italia dovesse virare contro gli interessi di Vivendi per il gruppo francese si prospetterebbe una fase critica. Il Governo italiano dovrebbe sfruttare questa fase per adeguarsi ai migliori standard europei e internazionali: su settori chiave come quello dei media e delle telecom il mercato può arrivare solo fino a un certo punto. Molto meglio che ci siano azionisti allineati agli interessi di investimento di lungo periodo del sistema Paese e che questi azionisti abbiano una certa carta d’identità.
Ricordiamo ancora una volta che in America, da sempre, per comprare una tv bisogna essere cittadini americani; figuriamoci la rete su cui passano telefonate ed e-mail. Osserviamo che in Francia e in Germania la contendibilità della rete o dei media non è contemplabile neanche come ipotesi di pura fantascienza.