IN BORSA CHIUDE SOPRA QUOTA 2,75 EURO
Mps in Borsa chiude con un rialzo dell’8,7%, riavvicinandosi alla soglia dei 2,8 euro ad azione. Mps Capital Services ha concesso un finanziamento ad Amegas, società appartenente a ZetaGas e operante nel settore del commercio al dettaglio e all’ingrosso di Gpl, nonché di prodotti petroliferi e petrolchimici e loro derivati. Per questa operazione, spiega toplegal.it, la società del gruppo Montepaschi ha deciso di farsi assistere da Curtis, con un team guidato dal partner Alfonso de Marco e composto da Filippo Bianchi, Valerio Cellentani e Valentina Petti del dipartimento banking. ZetaGas, invece, è stato assistito da un team guidato da Paolo Iannone, name partner di Iannone Migliore. Il finanziamento è destinato a supportare Amegas nell’attuazione del programma di investimenti e consolidamento nel mercato italiano avviato con l’acquisto di una rete di distributori di carburante nel Lazio.
PICCOLI AZIONISTI SUL PIEDE DI GUERRA
Mps in Borsa sale del 6%, risalendo sopra i 2,7 euro ad azione. Secondo quanto scrive finanzareport.it, vista la situazione di Montepaschi è probabile che in occasione della prossima assemblea i piccoli azionisti cerchino di mettere alla corda i vertici aziendali. In questo senso “l’Associazione Buongoverno Mps, da sempre molto attiva a Siena per tutelare quello che viene definito un bene prezioso per il territorio senese e nazionale, ha già deciso di avviare la raccolta delle deleghe per presentarsi in assemblea e sollevare il timore di dover di nuovo pagare le conseguenze di un nuovo salvataggio. L’associazione teme in particolare ulteriori conversioni forzose che andrebbero a penalizzare chi ha già pagato il conto con l’ultima ricapitalizzazione precauzionale e l’annesso burden sharing sui titolari delle obbligazioni subordinate Lower Tier II che tanti danni ha prodotto tra i piccoli risparmiatori”.
COSÌ MPS RALLENTA IL RISIKO BANCARIO
Il sistema bancario italiano, complici anche le richieste delle autorità di vigilanza, si prepara a un riassetto. “Tutti i vertici delle banche hanno sul tavolo dossier e ipotesi di integrazione preparati dalle banche d’affari”, scrive Il Sole 24 Ore, secondo cui ci sono stati già dei contatti diretti per cercare di creare “almeno due poli nazionali dimensionalmente più vicini a Intesa e Unicredit”. In questo senso quindi i “naturali poli di attrazione” sono almeno tre: Ubi Banca, Banco Bpm e Credit Agricole. Le operazioni sono state però recentemente rallentate, secondo il quotidiano di Confindustria, da tre fattori nuovi. Il primo riguarda l’addendum Bce sugli Npl, con la richiesta di ratio patrimoniali da aumentare nel caso di fusione. Il secondo elemento ha a che fare con la sentenza della Corte Costituzionale che ha promosso il decreto popolari, aprendo la strada alla trasformazione in Spa della Banca Popolare di Sondrio, che potrebbe rientrare in un’operazione di aggregazione tra banche medie, Bper e Creval in primis.
Infine, c’è il caso Montepaschi a tenere le bocce ferme, viste le difficoltà che sta incontrando la banca toscana dal suo ritorno in Borsa. Tra poche settimane sarà più chiaro com’è andato il primo trimestre dell’anno dal punto di vista dell’attività commerciale e dunque ci saranno più elementi per valutare le possibilità di un ritorno alla redditività di Mps. Certo è che dopo le elezioni non essendo chiaro chi governerà è difficile capire cosa farà lo Stato in caso di peggioramento della situazione di Rocca Salimbeni. Non è da escludere che vengano fatte pressioni per fonderla con un’altra banca. Ecco quindi che l’incertezza tiene fermo il risiko bancario italiano.