I politici di oggi ritengono l’elevato indebitamento (Verschuldung) responsabile del fatto che la loro libertà d’azione sia massicciamente limitata. Se siamo liberi da debiti (Schuldenfrei), cioè se siamo completamente liberi, dobbiamo agire sul serio. Forse ci indebitiamo in modo permanente per non dover agire, ossia per non essere liberi, per non dover essere responsabili. I debiti elevati non dimostrano che non siamo ancora capaci di essere liberi? Non è il capitale un nuovo Dio, che ci rende di nuovo debitori? Walter Benjamin concepisce il capitalismo come una religione. Si tratterebbe del “primo caso di un culto che non consente espiazione, bensì produce colpa e debito”. Poiché non c’è possibilità di sdebitarsi, si perpetua lo stato di schiavitù: “Una terribile coscienza della colpa, che non sa purificarsi, ricorre al culto non per espiare in esso questa colpa. Bensì per renderla universale”».
Questo passaggio del saggio Psicopolitica del sociologo sudcoreano e docente alla Universität der Künste di Berlino, Byung-Chul Han sembra volerci dire qualcosa: ovvero, attenti alle domande che vi state ponendo e alle risposte che vi state dando, perché sono quelle sbagliate. Di più, diffidate da chi vi offre suggerimenti e scorciatoie: la realtà, spesso, è tanto testarda quanto altra da ciò che appare. Quel saggio è illuminante, 100 pagine che si leggono di un fiato e spalancano riflessione a getto continuo con temi affrontati lo scorso anno e divenuti negli ultimi mesi – nel caso Facebook, settimane – di stringente e inquietante attualità.
Qual è stata, infatti, l’unica costante post-2008? L’aumento esponenziale del debito, pubblico e privato. E quale è stata la risposta? Austerità formale rispetto ai conti pubblici (se il debito pubblico continua a salire, è dura parlare infatti di austerity), l’Italia con il suo 2011 ne sa qualcosa ma sostanziale negazione in nuce dell’indebitamento privato tramite il pubblico (tassi a zero delle Banche centrali che portano il concetto stesso di azzardo morale al suo parossismo più criminale) come contemporanea problema e soluzione: come può un sistema che si arroga l’aggettivo di libero riferendosi alla sua natura di riferimento nel mercato, campare di fatto sul debito? Cosa c’è di libero in un sistema dove vince sempre il banco, ovvero chi dà le carte del Qe e chi si siede al tavolo perché soggetto strutturale del sistema? In nome di quale nuovo Dio dobbiamo sentire i soloni del mercato, del liberismo, del capitalismo, dettarci un’agenda che è la negazione stessa dei principi che millantano di incarnare e difendere?
Vi chiederete perché tutta questa filosofia, a fronte di una mia natura prettamente basata su numeri, cifre, percentuali e grafici: perché? Perché come vi dicevo in chiusura del mio articolo di ieri, il problema che la crisi del 2008 ha portato drammaticamente alla luce non ha trovato una soluzione e, anzi, sta per riproporsi in maniera ancora più grave, principalmente perché ne abbiamo ignorato la natura culturale, sociale e politica, prima che prettamente economica. Quale risposta ha infatti offerta la politica economica, monetaria e fiscale allo tsunami generato dal terremoto Lehman Brothers? Ulteriore indebitamento generale come unica fonte di crescita: sia esso in maniera diretta, vedi gli aiuti di Stato e gli incentivi federali sotto Barack Obama o indiretta, vedi il continuo finanziamento backdoor garantito dalla monetizzazione del debito da parte delle Banche centrali, di fatto una perpetua cinghia di trasmissione che si è fatta sistema strutturale e non situazione emergenziale e straordinaria.
Come può, quindi, chi ha reso possibile la crisi e ne ha perpetuato e aggravato negli anni a seguire i vizi e le storture, essere ancor ritenuto in grado di offrire una soluzione, una risposta, una via d’uscita? Ma, soprattutto, quale credibilità può avere una classe dirigente che, a non avere le fette di salame sugli occhi, dimostra ogni giorno di più la propria insipienza, cambiando versione e priorità come si cambiano mutande e calzini? Guardate questo grafico, è tratto dall’ultimo report di Bank of America relativo al sentiment degli investitori in reddito fisso, sia investment grade che ad alto rendimento e balza immediatamente agli occhi un’anomalia: dopo aver temuto come la peste bubbonica una fiammata inflazionistica a inizio anno, ecco che il principale timore è tornato ad essere l’esatto contrario, ovvero il fallimento delle politiche di Qe nel raggiungimento proprio del mitico target del 2% circa di inflazione, il tutto a causa del recente rallentamento in tal senso dei dati macro.
Nulla di sorprendente, a non voler comportarsi come un Beppe Severgnini qualsiasi: basti guardare questo grafico per accorgersi come il G-10 Eco Surprise Index di Citi, dopo aver toccato il livello più alto dalla crisi finanziaria, sia precipitato in rosso soltanto tre mesi dopo, confermando come sia quantomeno traballante la famosa ripresa economica globale e coordinata. In tre mesi, dalle stelle alle stalle: cosa è successo? È fallita Goldman Sachs? È scoppiata una Guerra nucleare? Impeachment di Trump alle porte? Svendita di debito sovrano nell’eurozona stile 2011? No, formalmente va tutto benissimo. Almeno, così ci dice la stampa autorevole e simposi di professoroni come quello appena tenutosi a Cernobbio.
Eppure, in tre mesi si è passati dal paradiso all’inferno: non è che questo sia stato reso possibile dal fatto che fino ad oggi ci hanno raccontato una quantità di balle relative allo stato di salute reale dell’economia globale, Usa in testa, da trasformare Pinocchio in un esempio di rettitudine e serietà? Prendete il dato occupazionale statunitense di venerdì scorso, sotto le aspettative per quanto riguardo il numero di nuovi assunti non agricoli ma in avanzamento rispetto al dato della paga media oraria. Bene, nessun giornale, né telegiornale si è però scomodato a frammentare il dato generale e dirvi questo: precarizzazione come unica via strutturale verso la falsa piena occupazione che l’amministrazione Trump vuole spacciare in vista delle elezioni di medio termine, picchiato contestualmente duro sul tasto della retorica anti-cinese e in difesa del sano lavoro statunitense. Quale? Quello al minimo di paga, senza tutele e part-time, magari a cuocere hamburger, portare drink ai tavoli o fare da assistenti ai clienti all’ingresso di un Wal-Mart vestito come un imbecille a 55 anni pur di raggranellare i contributi che mancano per una pensione da fame?
Capite che se questa è la ripresa sostenuta, sostenibile e coordinata globalmente, c’è poco da stupirsi sia per l’indice G-10 di Citi che per il sondaggio di Bank of America sui timori per chi siede su quel vulcano in attesa di eruzione che è il reddito fisso. Perché, cari signori, quando vivi in un mondo denominato da 200 triliardi di debito, un ammontare ben superiore al 300% del Pil globale, non hai molte alternative, se non sei Severgnini e disponi quindi di pollice opponibile a livello di buonafede: o ci pensa l’inflazione a tenere a bada quel mostro oppure arriva come alternativa unica il default, sia esso sovrano o privato. È semplice, il resto sono supercazzole buone per Cernobbio ma che, alla prova dei fatti, portano a risultati come quelli evidenziati dai grafici di prima: il mondo cambia timori e priorità di 180 gradi nell’arco di tre mesi. Credibile, a vostro modo di vedere?
C’è poco da fare, o cambia il modello di riferimento, la narrativa stessa di questa società neoliberista d’accatto e basata sul debito (una bella contraddizione per chi si riempie in continuazione la bocca con il libero mercato, non vi pare?) oppure continueremo a passare da un’emergenza a un’altra, da una crisi ciclica a un’altra incolpando di volta in volta una scusa diversa ma evitando, bellamente, di ammettere che è il sistema stesso ad essere distorto e che solo attraverso la distorsione del debito può continuare a perseguire quello che è il suo scopo precipuo: garantire alle elites di vivere al di sopra delle possibilità che il mercato offre, lasciando il 99% del mondo non solo grattarsi le rogne conseguente ma anche a pagare il prezzo accessorio di questo processo degenerativo, ovvero la scomparsa dei diritti fondamentali, del welfare, dell’occupazione intesa come mezzo di produzione e sostentamento e non come panacea temporanea e da accettarsi in ogni sua forma alla disperazione.
Guardate questo altro grafico, ci dice chiaramente una cosa: il mondo non è mai stato così indebitato come oggi. Mai. Dalla crisi del 2008, il debito globale è cresciuto del 40% circa, qualcosa come 50 triliardi di dollari. Quella massa di denaro, per la stragrande maggioranza create dal nulla dalle Banche centrali attraverso le operazioni di stimolo monetario, doveva far ripartire l’inflazione e con essa l’economia, quella reale, a livello mondiale: sono servite soltanto a garantire rally azionari e obbligazionari, ovvero il benessere di pochi a fronte di un conto per tutti che si sostanzia nell’aumento proprio del debito. Il quale, occorre ribadirlo ancora, non si cancella come vorrebbero fare i Grillini con un colpo di sovranismo: o ristrutturi, o ripaghi o fai default.
C’è poi la quarta via, quella che ti garantisce un po’ d’aria prima dell’asfissia, nella speranza di una soluzione di lungo termine o di un miracolo: l’inflazione, unico strumento di contenimento del debito quando haircuts e ristrutturazioni non sono più strade percorribili. Capite perché ci troviamo di fronte a cambi repentini di priorità e timori come quelli mostratici dai grafici iniziali, roba da trasformare i cambi d’umore di una donna in menopausa in inni alla stabilità emotiva? Perché siamo arrivati al punto sostanziale di non ritorno, alla grande domande, al punto interrogativo culturale e sociale, prima che economico: si può andare avanti, campando unicamente sul debito? No e questo ultimo grafico, parla chiaro rispetto alle spese per interessi sul debito a livello federale degli Usa: siamo in pieno “territorio inesplorato” e lo dice Goldman Sachs, non il sottoscritto o qualche dissidente come me dal mainstream.
C’è un’unica, grande, enorme preoccupazione sui mercati, la quale muove i crolli come i picchi degli indici, i tassi come i prezzi delle commodities, le necessità di guerra guerreggiata e bellica e l’azzardo deflagrante di quella commerciale: i mercati cominciano a porsi seriamente l’interrogativo relativo alla sostenibilità del debito record che grava sul mondo. Finora, grazie all’attività onnivora delle Banche centrali, nessuno temeva troppo l’arrivo del redde rationem, tutti vivevano alla giornata, cercando di fare più soldi possibili prima che la musica cessasse sul ponte del Titanic e si sentisse il sordo schianto dell’iceberg contro la chiglia: ora quel botto si è sentito. Non in tv, non su giornali, non a Cernobbio, non nel mondo fatato di Severgnini ma sui mercati si è sentito. Netto. E non si tratta solo della relazione evidenziata dal grafico fra spese per interessi e livello del debito Usa: riguarda un intero sistema, questo sì coordinato, sincronizzato e interconnesso a livello globale.
Se non si mette in discussione questo, potremo sopravvivere saltellando fra crisi e riprese cicliche e anticicliche ma non usciremo mai dal circolo vizioso made in Usa del vivere al di sopra delle proprie possibilità, salvo cercare di far pagare ad altri il conto. Attenzione, perché quella domanda latente sulla sostenibilità ontologica del debito attuale, la stessa che offre una spiegazione ai repentini cambi di direzione dei sondaggi e dei report (oltre che del sentiment dei mercati e dei corsi azionari e obbligazionari), potrebbe smettere di essere un esercizio di stile accademico e diventare l’unico, vero argomento in discussione, il discrimine fra crescita e recessione globale: quando accadrà, perché l’ipotesi del “se” accadrà la lasciamo ai banchettanti di Cernobbio e ai Severgnini di tutto il mondo, saranno dolori. Veri. E accadrà, forse prima di quanto pensiamo.
Guarda caso, però, come denunciato da tre settimane dal ministero degli Esteri russo (e come vi ho riportato più di una volta), ieri in Siria l’aviazione di Assad avrebbe bombardato la città di Duma con armi chimiche, intossicando una settantina di persone, fra cui moltissimi bambini. Guarda che combinazione: non vogliono proprio capirla, cercano ancora scappatoie da warfare per calciare avanti il barattolo e far soldi. Illusi. E criminali.