Stavolta la ricreazione è davvero finita. E c’è da cominciare ad avere paura. Davvero. Perché quanto sta accadendo, il modo in cui le cose si stanno sviluppando, giorno dopo giorno, lascia trasparire una regia, una trama e una distribuzione dei ruoli in commedia che per l’Italia non prevede affatto quello da protagonista, né da salvatore della patria. Né, purtroppo, da superstite. Piuttosto, l’agnello sacrificale che permette al tema di svilupparsi. Come sapete non mi interessano più di tanto le reazioni delle Borse agli eventi politici e geopolitici, soprattutto in un periodo come questo di valutazioni distorte e drogate, ma alcuni segnali sono ancora dei buoni indicatori, quantomeno di trend sul breve: quando, infatti, la Borsa di Milano ha accelerato al ribasso? Attorno all’ora di pranzo, quando l’unica notizia rilevante a livello politico interno era la richiesta da parte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio di altre 24 ore di tempo al Quirinale per elaborare programma di governo e lista dei ministri da sottoporgli: con il presidente Mattarella che oggi sarà impegnato fuori Roma, di fatto si slitta a lunedì. Quindi, un ampio margine.
I mercati hanno forse prezzato questo segnale come sintomo di difficoltà nel raggiungimento della mitologica quadra fra i due estemporanei alleati? Nemmeno per sogno, di quei due ai mercati – almeno per ora – interessa zero. A colpire simbolicamente Milano è stato invece il riflesso italiano di parole spese all’estero, esattamente ad Aquisgrana, dove Angela Merkel ha proferito le seguenti parole: «Non si può più pensare che gli Usa ci difenderanno, l’Europa deve prendere il destino nelle sue mani». Concetto già espresso lo scorso anno, alla vigilia di quello che fu un primo, a dir poco gelido, incontro con il neo-eletto presidente americano, Donald Trump. Ma la Merkel ha detto anche altro: «Sui temi finanziari, la discussione è difficile, ma faremo progressi nell’unione bancaria e rafforzeremo l’eurozona», sottolineando come l’obiettivo prefissato dai leader sia quello di giungere a dei progressi in tal senso entro giugno «e così sarà». E chi negozierà quei progressi a nome dell’Italia?
Se il timing è quello attuale e se tutto andrà bene, non si arriverà a un eventuale voto delle Camere sul nuovo governo prima della fine della settimana prossima: il che vuol dire, che un eventuale insediamento operativo partirebbe, con tutte le sue ovvie farraginosità procedurali, non prima della settimana che inizia il 21 maggio. Ma poi, tempistica a parte, con quale agenda andremo a Bruxelles a trattare sui progressi evocati dalla Merkel? Quella di Salvini? O quella di Di Maio, per il quale si parla appunto di possibile nomina a ministro degli Esteri? E se si tratterà di quest’ultimo, dobbiamo pensare al Di Maio prima maniera o quello in stile democristiano dell’ultimo periodo? Insomma, l’evocato referendum sull’euro di cui ha parlato non più tardi della scorsa settimana Beppe Grillo in un’intervista con un settimanale francese, piomberà a nome di palazzo Chigi sul tavolo delle trattative europee? E se sì, con quale effetto? E se non appare una coincidenza che il presidente Mattarella, in quasi contemporanea con le parole della Merkel, mettesse pubblicamente in guardia dalle tentazioni sovraniste in un contesto di europeismo ormai ineluttabile come strada da percorrere, qualcosa di molto serio andava ad aggravare il peso di quanto affermato dalla Cancelliera tedesca.
Il fatto che Angela Merkel ed Emmanuel Macron, insieme ad Aquisgrana per un vertice trilaterale con l’Ucraina, abbiano invocato la distensione nei rapporti fra Israele e Iran appare abbastanza normale, soprattutto dopo il pesante raid dei caccia con la stella di David contro obiettivi iraniani in Siria dell’altra notte, ma è il contesto generale a farci capire che stavolta qualcosa potrebbe davvero essersi rotto nei rapporti fra Ue e Usa, tanto che l’altro giorno lo stesso capo della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha inusitatamente parlato di «interessi e prospettive ormai non più convergenti» fra i due soggetti. L’uscita dall’accordo sul nucleare iraniano e il ripristino delle sanzioni contro Teheran e contro chi ci fa business, attese a detta di Capitol Hill già dalla prossima settimana, sono state la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso?
Pare decisamente di sì. Per due ordini di ragioni. Primo, la politica protezionistica di Trump, lungi dal fare male al bersaglio ufficiale, ovvero la Cina, sta invece colpendo pesantemente l’economia europea, la quale non solo è già in difficoltà per le sanzioni contro la Russia – di fatto imposte da Washington -, ma ora dovrà fronteggiare anche l’ipotesi di una perdita miliardaria per le imprese del Vecchio Continente, se si atterranno ai diktat americani e stracceranno gli accordi già stipulati con Teheran. E la questione potrebbe aggravarsi, perché questi grafici ci mostrano quale sia la situazione reale dell’economia iraniana, soprattutto in relazione al tasso di cambio al mercato nero (quindi, quello reale) fra rial e dollaro, un qualcosa che ha spedito l’inflazione al 75,8% e che, soprattutto, ha portato in pochi mesi l’Iran dall’11mo al terzo posto fra i Paesi più colpiti da alti tassi di miseria al mondo (Annual Misery Index della Hanke, per riferimenti), dietro soltanto a Venezuela e Siria.
Insomma, quando la scorsa settimana Rudolph Giuliani ha dichiarato che Donald Trump è impegnato nel perseguimento di un regime change in Iran non scherzava e la chiave potrebbe essere lo strangolamento economico, un qualcosa che crea le condizioni per l’aumento del malessere fra la popolazione e il rischio di ribellioni e sommosse. Certo, questo grafico ci mostra come l’Iran, terzo Paese produttore di petrolio in seno all’Opec, guardi altrove per il suo export di greggio, ma di quei Paesi, alcuni – vedi la Corea del Sud – non oseranno sfidare le ire Usa, continuando a rifornirsi da Teheran.
Come vedete, il nostro Paese è quinto nella classifica dei principali clienti del petrolio iraniano: il nuovo governo Salvini-Di Maio, cosa farà al riguardo? Come tutelerà il nostro import e, contestualmente, l’attività dell’Eni? Le parole della Merkel, ci dicono due cose: primo, la situazione economica tedesca pare peggiore anche di quanto dicano i dati macro, se si arriva a un faccia a faccia di questo livello. Secondo, l’accelerazione della crisi diplomatico/commerciale fra Ue e Usa vede operativo unicamente l’asse franco-tedesco, il resto dell’Unione si accoda. Ora, da capire resta una cosa: la guerra che pare ormai dichiarata è contro la politica Usa e per un’Europa indipendente e padrone del suo destino (volesse il cielo) o è soltanto l’ennesima guerra proxy, ovvero un conflitto contro Donald Trump e il suo entourage che l’Europa combatte in nome e per conto dei suoi storici referenti, in questo caso il combinato fra nomenklatura dell’era Obama-Clinton e Deep State in vista delle elezioni di mid-term?
La differenza non è da poco. Non foss’altro per quest’altra dinamica: come vi dico da tempo, la Cina non solo ha smesso di garantire l’impulso creditizio a un mondo che finge di stare bene e vede la Fed alzare i tassi e la Bce approcciarsi al tapering del suo programma di stimolo, ma, come notate, sta facendo indebolire lo yuan, un qualcosa che non potrà che aggravare le pressioni sui competitor commerciali, Europa compresa. Pechino ha distorsioni macro troppo grosse con cui fare i conti e non può più garantire un equilibrio globale, perché piaccia o meno la manipolazione dello yuan ha portato nel tempo più guadagni che dumping per tutti: deve pensare prima a sé e poi agli altri. E gli Usa, in piena bolla azionaria e da leverage pubblico/privato lo sanno, quindi non potendo attaccare la Cina perché si sostanzierebbe in una missione suicida, tentano l’affondo contro l’altro competitor, quello che non manipola, ma che drena risorse e quote di mercato globale, oltretutto con una valuta che potenzialmente potrebbe fare concorrenza seria al dollaro come moneta benchmark, se l’Ue non fosse un club dove ogni pensa ai fatti propri.
Siamo a uno snodo fondamentale e, attenzione, perché ieri la Bce nel suo bollettino mensile ha detto qualcosa di molto, molto importante: sottolineando ulteriormente come i rischi per la crescita economica continuino ad aggravarsi proprio per le dispute commerciali, ha detto chiaramente che gli stimoli monetari non solo sono ancora necessari, ma lo sono in modalità ampia. Di fatto, il Qe andrà avanti oltre settembre e arriverà tranquillamente a metà 2019. Non si può ancora dire ufficialmente, perché Oltreoceano i fondi non attendono altro, ma il fatto che ad aprile Bridgewater, il più grande hedge fund del mondo, abbia stracciato i suoi competitor parla una lingua chiara. E sapete perché? Perché lo ha fatto con una strategia di derisking, ovvero andando short sulle equities. Insomma, scarica e scommette al ribasso. Quindi, i segnali ci sono tutti per avere davvero paura.
Uno su tutti: visto quanto ha detto la Merkel e visto che la Bce, per chi sa leggere fra le righe, ha di fatto quasi ammesso che il Qe andrà avanti, perché Piazza Affari ha accelerato al ribasso? Qualcuno ha mandato un segnale? Quasi certamente, ma, paradossalmente, un segnale amico: ovvero, fermate la follia che state facendo a livello politico finché potete, perché su quel tandem a palazzo Chigi per guidare il Paese qualcuno ci sta scommettendo sopra, ma per fare di ciò che resta dell’Italia un sol boccone, salvo poi lasciarla andare al proprio destino. Lo spread sale, poco, lentamente ma sale: Mario Draghi ha smesso di comprare? Se sì, è solo per avvertirci. Non a caso, il presidente Mattarella ha parlato chiaro ieri, aprendo a Firenze i lavori del convegno The State of the Union: «Il contributo dato da rilevanti istituzioni dell’Unione, come la Banca centrale europea, con una saggia politica di accompagnamento della ripresa economica, va messo in luce. Nonostante il suo mandato comprenda, a differenza delle altre Banche centrali, esclusivamente l’obiettivo di una accurata gestione della stabilità monetaria, sarebbe arbitrario non riconoscerlo». Più chiaro di così, solo Salvini e Di Maio possono non capirlo.
Mi sono trasformato in filo-europeista? No, assolutamente, continuo a criticare l’euroburocrazia, le distorsioni, i disequilibri e le storture di Bruxelles e Francoforte. Ma non sono un totale suicida, so capire quando certe battaglie si possono combattere e quando no. Regalate L’arte della guerra di Sun Tzu a certi politici che girano in questi giorni, potrebbe rivelarsi utile. Quasi vitale.