SPILLO/ Derivati del Tesoro, 4 miliardi persi per una schedina sbagliata?
Stanno emergendo dettagli sulla vicenda riguardante i derivati del Tesoro sul debito pubblico che non sono affatto confortanti, anche per il futuro. GIANFRANCO D’ATRI

“Potevamo noi nel 2013 essere un pochino più svegli? Forse”. La citazione è tratta dall’audizione di Ignazio Visco alla Commissione parlamentare sulle banche [1] e, benché riferita in particolare alla vicenda delle banche risolte, rappresenta bene la posizione di chi ha avuto, e ha ancora oggi, il potere di controllo e gestione dei mercati finanziari, circa le proprie responsabilità. Miliardi e miliardi persi dai cittadini italiani, sia individualmente che come collettività nelle diverse vicende finanziarie degli ultimi anni, sono quindi stati determinati dalla mancanza di qualche buon caffè e da un pisolino di troppo, non dagli errori dei funzionari addetti a svolgere funzioni importantissime.
D’altra parte la Commissione, come ipotizzavamo sin dalla sua istituzione, non è pervenuta a nessun risultato concreto, concentrandosi solamente sulla ricostruzione storica di vari accadimenti e suggerendo, a futura memoria, vari possibili provvedimenti legislativi. Nelle relazioni, sia di maggioranza che di minoranza, manca poi del tutto l’approfondimento del tema della gestione del debito pubblico e dei contratti derivati sottoscritti dall’Italia che stanno determinando costi aggiuntivi annui per decine di miliardi.
A questo punto l’unica fonte di possibile chiarezza rimane il processo presso la Corte dei Conti nei confronti degli ex direttori del Tesoro Cannata, La Via, Grillo e Siniscalchi. Ovviamente il procedimento mira ad accertare le responsabilità ai sensi di legge e a determinare eventuali risarcimenti sul caso specifico della rinegoziazione del contratto con Morgan Stanley. La durata, la possibilità di appello e la complessità del tema ci lasciano pensare che anche in tal caso si approderà a nulla, salvo a farci conoscere meglio l’adeguatezza delle persone cui abbiamo affidato – e ancora hanno in mano – la gestione delle finanze dello Stato. In particolare l’emissione del debito pubblico che, sicuramente, giocherà un ruolo importante nella definizione delle scelte politiche dei prossimi mesi, continuerà probabilmente a essere affidato agli stessi meccanismi.
Il merito della Corte sarà forse quello di far emergere e a farci conoscere compiutamente gli ingranaggi e le forze che hanno determinato, nel tempo, le dimensioni del nostro indebitamento, oltre alle scelte di politica economica.
La difesa del presunto colpevole, la banca beneficiaria Morgan Stanley, affidata a Catricalà, non ha colto l’ironia delle proprie tesi nella recente udienza. L’ex ministro ha giustificato il contratto capestro fatto firmare al Tesoro paragonandolo al Superenalotto: non si annulla la schedina che vince solo perché sfavorevole allo Stato. Quindi, i nostri funzionari di punta – successivamente arruolati proprio dalle grandi banche di affari per queste loro abilità – avrebbero perso 4 miliardi perché giocavano al lotto e puntavano sui numeri sbagliati. Ora capiamo il senso della frase di Visco e perché dormivano più del necessario: speravano di ricevere i numeri giusti nel sogno.
[1] Pag.15 – Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario – Resoconto sommario n. 47 del 30/01/2018.
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