SPILLO/ Il rischio impeachment? E’ per Draghi…
Cottarelli è candidato al Mef in un possibile governo d’emergenza a guida Lega e con l’appoggio di M5s. La partita che si gioca riguarda Draghi. Ecco perché. NICOLA BERTI

Assai più di Sergio Mattarella, a rischio impeachement è stato — e in parte è tuttora — il presidente della Bce, Mario Draghi. Se il governo M5s-Lega fosse stato veramente autorizzato a partire — con Paolo Savona al Mef — l’ipotesi di un’immediata pressione su Draghi da parte di Germania e paesi satelliti nell’eurozona non sarebbe stata affatto fantascientifica. Né è stata una gaffe quella del commissario Ue agli Affari economici, Gunther Oettinger, sulla “lezione data dai mercati all’Italia”. Né è stato folklore giornalistico l’op-ed dello Spiegel sugli italiani “scrocconi”.
Per la verità il primo segnale allarmante captato delle diplomazie del Nord Europa era stato un messaggio inviato dal presidente francese Emmanuel Macron al premier incaricato Giuseppe Conte. “Impaziente di lavorare con il nuovo governo italiano” si era detto l’Eliseo con una formula apparentemente di routine. Ma perché Parigi strizzava l’occhio a un governo così poco euro-ortodosso prima ancor prima che s’insediasse a Palazzo Chigi?
Non è stato difficile — a Berlino e altrove — cogliere un’ennesima mossa di Macron su uno scacchiere internazionale forse addirittura più confuso e frenetico di quello interno italiano. Mancano quattro settimane al Consiglio Ue di fine giugno e in agenda c’è — nei fatti — la vera ripresa dell’attività politico-istituzionale in Europa dopo un lungo anno di appuntamenti elettorali seguiti alle presidenziali Usa e dominati dai voti in Francia, Germania e Italia.
Al centro del tavolo Macron e Angela Merkel IV hanno posto fin dall’anno scorso una sorta di “rifondazione” della Ue, a cominciare dalla revisione dei Trattati di Maastricht sull’Unione monetaria. Ma al Consiglio di Bruxelles i leader Ue si ritroveranno in situazione molto diversa da quella immaginata. La nuova coalizione tedesca è tutt’altro che grande e la Merkel appare usurata, forse irreparabilmente. Macron, da quando è stato eletto, cerca invece continuamente forza in un attivismo che inevitabilmente lo ha portato a rendere instabile il tradizionale asse “carolingio” della Ue. E le scosse, ad esempio sui rapporti con gli Usa di Trump e/o la Russia di Putin oppure nel teatro mediorientale, hanno prodotto vere e proprie fratture.
La vittima principale è stata proprio la prospettiva ravvicinata di una riforma condivisa dell’euro, con l’introduzione di strutture politiche di governo dell’unione fiscale, monetaria e bancaria in luogo di una semplice gestione tecnocratica, per parametri. Ma ciò che un anno fa sembrava possibile — oltreché auspicabile — non sembra oggi praticabile e cresce l’attesa di un rinvio-congelamento dell’apertura del cantiere. Cionondimeno ben diverso sarebbe stato — o ancora potrebbe essere — un Consiglio Ue in cui un governo italiano M5s-Lega facesse da subito sponda a Macron nel premere sulla Germania per far cadere il “muro di Francoforte”.
Poiché la prospettiva è stata reale — e non è ancora tramontata — non è stato sorprendente che nel mirino sia subito finito Draghi: non più l’uomo che nel 2011 aveva definitivamente conquistato una credibilità come presidente designato della Bce imponendo un’austerity draconiana al suo Paese; ma il banchiere centrale che ha condotto il lungo “quantitative easing” a favore dei Paesi con rating più debole e debito più fragile nell’eurozona.
Quale miglior pretesto di un’Italia divenuta formalmente “ribelle” per far liberare a Draghi la poltrona di vertice della Bce con un anno di anticipo? A quel punto issare con un blitz all’Eurotower il presidente della Bundesbank Jens Weidmann — oppure un banchiere centrale satellite — avrebbe chiuso la “riforma dell’euro” ancora prima che si aprisse il confronto fra Berlino e Parigi e Roma, non da ultimo con la Fed neo-trumpiana e con la City in Brexit.
E’ sempre più chiaro che è questa la ragione prima per cui il presidente della Repubblica si è esposto al rischio impeachment. Ed è probabilmente anche la ragione per cui lunedì mattina ha messo celermente sul tavolo la carta-Cottarelli: per quanto ostica sia stata l’immagine emblematica di un funzionario del Fmi che varcava il portone del Quirinale. Ora Cottarelli è candidato al Mef in un possibile governo d’emergenza a guida leghista e con l’appoggio di M5s.
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