CONSIGLIO EUROPEO/ Il piano Merkel-Macron spinge l’Italia al commissariamento
In tema di unione monetaria il patto franco-tedesco è pieno di insidie per i Paesi ad alto debito. Ma in ballo c’è soprattutto in quale direzione vuole andare l’Europa. GIUSEPPE PENNISI

Sotto il profilo formale e ufficiale, il Consiglio europeo del 28-29 giugno si presenta con un’agenda ricca: migrazioni (riformare il sistema comune di asilo e trovare soluzioni alle pressioni migratorie), quadro finanziario pluriennale, fiscalità e innovazione digitale, posizione dell’Unione europea in vista del vertice Nato di luglio e orientamenti per i lavori sulla sicurezza comune, stato dei negoziati sulla Brexit, riforma dell’unione economica e monetaria. Un ordine del giorno, quindi, importante, la cui discussione sarebbe stata preparata da incontri bilaterali o tra gruppi di Stati, incontri dedicati a temi specifici.
Questi incontri (alcuni dei quali solo tentati) hanno mostrato che sui temi fondanti i 27 Stati della Ue sono su posizioni distanti, e spesso incompatibili e divergenti.
In materia di migrazioni, ad esempio, la riunione “informale” di ieri ha messo in campo i punti di vista più differenti e più contrastanti, non solo tra gli Stati del Nord Europa e l’area mediterranea e quella prossima ai Balcani, ma anche all’interno dei Paesi meridionali e della “grande coalizione” della Repubblica federale tedesca (che, proprio su questo argomento, rischia di rompersi e portare il Paese più importante della Ue a nuove elezioni). Non ha portato a nessuna conclusione operativa.
In materia di unione economica e monetaria, il programma definito il 19 giugno tra il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Merkel è pieno di insidie per Stati ad alto debito pubblico come l’Italia; potrebbe comportare la ristrutturazione forzata, con il supporto e l’intervento dell’European Stability Mechanism (ESM), e con il commissariamento de facto della politica economica.
Data la centralità che, al momento, hanno le migrazioni e la riforma dell’eurozona, poco ci si attende in merito alla sicurezza comune; sullo stato dei negoziati sulla Brexit ci si aspetta tutt’al più un burocratico rapporto, In effetti, a vent’anni circa dalla nascita dell’unione monetaria e a una quindicina dall’allargamento, il progetto di un’integrazione della Ue “sempre più stretta” sembra aver perso non solo il tempo di marcia (possibile in una “Europa a più velocità”), ma soprattutto il senso di direzione. E ciò è molto più grave.
Negli anni Novanta del secolo scorso sono stato, in varie occasioni, critico delle modalità con cui si creava l’unione monetaria, prima di avere un effettivo mercato unico dei prodotti, dei servizi e dei fattori di produzione, nonché le premesse per un’area valutaria ottimale. Sono stato ancora più critico di un allargamento che ritenevo fosse molto prematuro. Ma non si può portare indietro un quarto di secolo di storia. Oggi, devolvere unione monetaria e allargamento avrebbe costi enormi che infierirebbero soprattutto sulle fasce più deboli delle popolazioni europee.
Non si può che auspicare un Consiglio europeo in grado di prendere misure immediate sui problemi più “caldi” (migrazioni e completamento dell’unione bancaria) e che dia l’avvio a una fase di riflessione tra capi di Stato e di Governo sulla direzione che vuole prendere il progetto di ciò che resta di Unione europea. Occorre, forse, abbandonare il sogno spinelliano di federazione europea e tornare a qualcosa di simile alla gaullista Europe des Patries aggiornata, per tenere conto dell’unione monetaria.
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