FCA/ Da Manley e CR7: le cose giuste che Jaki Elkann ha fatto e deve fare
La scelta di Manley come nuovo capo di Fca, da parte di Jaki Elkann, appare corretta come quella di chiamare CR7 alla Juventus. Ora sono attese altre decisioni: pro-Italia. NICOLA BERTI

Ha fatto bene Jaki Elkann a scegliere Mike Manley come nuovo Ceo di Fca. Il Lingotto (perché tale resta e stamattina il successore dello sfortunato Sergio Marchionne riunirà a Torino il Group executive council) è un produttore globale di automobili con il capitale largamente diffuso fra gli investitori istituzionali di Wall Street: il brand manager di Jeep era senza dubbio la figura con più credenziali all’interno del top management di Fca per rassicurare azionisti e stakeholder.
È probabile che l’ingegnere di origini inglesi avrebbe raccolto l’eredità di Marchionne anche fra un anno, in condizioni meno drammatiche. Elkann, nipote dell’Avvocato Agnelli e lui pure ingegnere, non può essere minimamente oggetto di riserve o rimpianti per questa scelta: se tutelare le radici italiane di un gruppo globale era un suo obiettivo (e certamente lo resta), ciò vuol dire guardare alla competitività industriale dell’intero polo (anche se — come non è affatto escluso — il gruppo nato da Fiat e Chrysler dovesse ora andare incontro a nuove aggregazioni).
Nelle ultime settimane – quando Marchionne era già stato sottoposto a un intervento chirurgico, ma i suoi problemi di salute non sembravano preoccupanti — il presidente di Exor e Fca ha fatto un’altra “cosa giusta”. Da azionista di controllo della Juventus ha tacitamente supportato il cugino Andrea Agnelli nell’ingaggio di Cristiano Ronaldo. E ci sono pochi dubbi che lo stesso Marchionne, prima del ricovero, fosse a conoscenza del progetto e lo avesse autorizzato. L’idea di rilanciare il club bianconero con un’operazione gemella della chiamata di Sebastian Vettel alla Ferrari (di cui Marchionne è stato fino all’altro ieri presidente eseceutivo) è stata oggetto di critiche di qualche voce. Ma anche su questo versante pochi hanno dubbi sul fatto che il progetto di “clonare” il Real Madrid a Torino — non in un emirato — con un effetto-traino su un’indebolita industria nazionale del calcio, è una strategia degna di questo nome. A maggior ragione – come qualcuno ha ipotizzato — se la prospettiva di una ulteriore aggregazione internazionale per Fca avesse tempi ravvicinati e la famiglia Agnelli volesse mostrare di restare attaccata all’Italia e a Torino.
Da oggi sarà comunque compito di Manley pensare al futuro dei 67mila dipendenti Fca in Italia (poco meno di un terzo del totale). Dovrà essere lui a garantire l’ennesima sfida che Marchionne aveva annunciato pochi mesi fa: portare entro l’anno a livello di pieno impiego tutti gli impianti italiani del gruppo, soggetti alla impegnativa virata strategica verso la produzione di vetture “non mass market” e invece a più alto valore aggiunto (come le Alfa Romeo).
A Elkann, nel frattempo, rimane un’ultima “cosa giusta”: non da realizzare, ma da preparare “in pectore”. Se e quando Exor dovesse allentare o interrompere i legami finanziari con Fca e realizzare incassi importanti, la quarta, anzi la quinta generazione della famiglia Agnelli dal 1899, dovrebbe immaginare forme e misure di reinvestimento strategico nell’Azienda-Italia. Potrà sembrare ai limiti della provocazione, ma un settore designato appare quello dei media. Exor è già azionista qualificato di Gedi e dell’Economist. Lo è stata di Rcs e di Telecom, ai tempi della prima privatizzazione. Elkann è amico personale della famiglia Murdoch. Se e quando avesse a disposizione i capitali necessari a investimenti di livello globale nella media industry, non ci sono dubbi che potrebbe muoversi con le stesse ambizioni sulle quali è stata costruita l’operazione CR7. Nei suoi 14 anni al Lingotto, Marchionne, è vero, ha fatto di tutto per sganciare Fiat e i suoi azionisti dal sistema media nazionale: ma era quello “novecentesco”.
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