Nell’inquieto decennale della grande crisi bancaria globale, Francia e Germania accelerano nelle ristrutturazioni dei propri sistemi nazionali, tutt’altro che risanati e riconsolidati. E sia l’incerta leadership di Emmanuel Macron sia la “piccola coalizione” di Angela Merkel mostrano di muoversi all’insegna di un sovranismo reale, misto di nazionalismo e statalismo. Il tutto sotto la spinta visibile dai rispettivi poteri forti interni: la tecnocrazia para-pubblica a Parigi, l’establishment industrial-finanziario fra Berlino, Francoforte e Monaco.
Di giovedì scorso è l’annuncio del ministro dell’Economia di Parigi, Bruno Le Maire, riguardo all’aggregazione fra La Poste e Cnp Assurances. Regista dell’operazione è la Cdc — la Cassa Depositi e Prestiti francese — azionista di maggioranza in entrambi i gruppi. Una concentrazione lontano da ogni intento di privatizzazione, si è subito premurato di confermare il governo. L’obiettivo dichiarato è invece quello di costruire “un grande polo bancassicurativo pubblico al servizio di tutti i cittadini”. Via libera al progetto è giunto anche dal gruppo BPCE, un’importante centrale di banche cooperative d’Oltralpe, azionista di Cnp Assurance: un soggetto para-privato teoricamente in grado di opporsi a un progetto che cambia lo scacchiere competitivo nei servizi finanziari alle famiglie e segna un ritorno importante dello Stato nel mercato.
In Germania, intanto, non cessano indiscrezioni e attese su una fusione fra Deutsche Bank e Commerzbank, dato per imminente dal Financial Times. Entrambe i gruppi sono lontani dall’aver curato le ferite riportate dal crollo dei mercati e da tutte le turbolenze seguite al 2008. Commerzbank, in particolare, è stata salvata dallo Stato tedesco, che detiene da nove anni un 25 per cento di maggioranza relativa (il Tesoro italiano è divenuto controllante di Mps solo a fine 2016, solo dopo due ricapitalizzazioni sul mercato). Deutsche Bank è ai minimi in Borsa, fra continui cambi di top management e interrogativi sulla reale stabilità del suo bilancio, zeppo di titoli derivati che anche la vigilanza Bce continua a dire di aver difficoltà a valutare (con una cautela imbarazzata e sospetta, opposta al rigore costantemente tenuto verso le banche italiane). Anche per questo, nell’ultimo anno la Deutsche è stata oggetto di un tentativo di scalata da parte del conglomerato cinese HNA: raid respinto con fatica, ma non senza che in Germania crescessero preoccupazioni e polemiche. Tanto che il debole governo “Merkel IV” starebbe preparando una controversa legge-muro contro tentativi sgraditi di acquisizione dall’estero di aziende d’interesse nazionale. Deutsche Bank, nel frattempo, è già stata oggetto di un rafforzamento strategico dirigistico e sovranista quando il governo ha pilotato la cessione del ramo Postbank dalla Deutsche Post.
In Italia — dove l’ipotesi di ri-nazionalizzazione delle Autostrade sta infiammando il dibattito pubblico — si rincorrono le voci sul possibile rilancio dell’ipotesi di fusione transnazionale fra Société Générale e UniCredit (pilotata dal banchiere francese Jean Pierre Mustier). Resta intanto incerto il futuro del polo Mediobanca-Generali, finora connotato dalla presenza di azionisti francesi forti e del Ceo Philippe Donnet a Trieste e resta intanto congelato il destino di Tim (dove Cdp e il fondo Elliot contrastano l’aggressività di Vivendi) e quello collegato di Mediaset, pure assediata da Vincent Bolloré. Rimane infine sul tappeto il contratto di governo fra Lega e M5s, con la previsione puntuale di creazione di un grande polo bancario pubblico fra Cdp e Mps e (forse) le stesse Poste italiane.