Nel quarto trimestre del 2018 il Pil italiano ha avuto un decremento dello 0,2%, che segue un decremento dello 0,1% del trimestre precedente. Tecnicamente si dice che siamo in recessione, perché il decremento è stato registrato in due trimestri consecutivi.
Chiaramente, se avessimo avuto nel trimestre precedente un Pil senza alcuna variazione e questo trimestre invece un decremento dello 0,8%, tecnicamente la nostra situazione sarebbe stata migliore!
Queste sono le statistiche che ci propinano con questa Europa, che per la prima volta sarebbe quasi riuscita ad azzeccare una previsione. E ovviamente sono scattati i fendenti delle opposizioni e le contro-invettive governative. Invito tutti alla calma e ad esaminare con la propria testa i dati.
Di cosa stiamo parlando? Del fatto che l’Istat ha registrato per il 2018 i seguenti quattro dati trimestrali, che porterebbero il Pil annuale a 1.614,77 miliardi di euro (riporto nella tabella anche i corrispondenti dati del 2017, sempre fonte Istat):
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In base alla variazione annuale, il Pil cresce dello 0,83%, ma assume un andamento flettente nel secondo semestre dell’anno. Vorrei far notare che la riduzione del terzo trimestre è pari a 0,55 miliardi di euro e quella del quarto di 0,89 miliardi di euro e la sola segnalazione della recessione tecnica ha comportato un innalzamento del famigerato spread, che non sarebbe nulla se il nostro sistema bancario non fosse di proprietà straniera. Infatti, i maggiori interessi eventualmente da pagare dal settore pubblico, dalle imprese e dai privati cittadini contribuirebbero a innalzare il Pil futuro, ma non è così, perché le banche che lavorano in Italia portano i loro utili all’estero.
Richiamo l’attenzione su un altro punto. Le variazioni dello zerovirgola rilevate dall’Istat nei due trimestri incriminati sono anch’essi un nulla se confrontiamo il dato totale del Pil a prezzi di mercato segnalato dall’ente statistico per il 2017, pari a 1.724,95 miliardi di euro. Cioè l’Istat per un’analisi utilizza un dato e per un’altra valori che divergono di ben 123,44 miliardi.
Ebbene, se le fonti divergono così tanto, ho il legittimo diritto di dubitare delle statistiche, atteso che i vari enti che si cimentano nella loro determinazione non sono assolutamente in grado di pervenire a risultati univoci, tant’è vero che sono costretti a giustificare i loro criteri di calcolo. Intanto, però, ci tocca pagare di più le somme che siamo costretti a prendere a prestito, contribuendo a peggiorare la situazione economica del Paese.
Quali dati andiamo a peggiorare? Andremo ad aumentare i margini delle banche che incrementano il debito complessivo italiano e che per il 2017 (fonte: Banca d’Italia) sono stati pari a 39,1 miliardi per gli interessi e 30,5 miliardi per le commissioni, per un totale di 69,6 miliardi di euro a cui dobbiamo aggiungere, sempre per lo stesso anno, gli interessi passivi pagati dall’amministrazione pubblica, che sono stati registrati per 70,6 miliardi (la fonte Senato/Camera porta dati diversi nella stessa pubblicazione, ma non è importante la cifra, quanto il discorso complessivo), arrivando a un totale di 140,6 miliardi a servizio del debito per l’utilizzo di una moneta costruita per penalizzare quegli Stati le cui iniziali corrispondono all’acronimo inglese Pigs.
Possiamo fare qualcosa? Sì, lo possiamo fare, ma non dobbiamo sperare che lo facciano i nostri politici, visto l’approccio e le discussioni sterili sull’analisi dei dati sopra richiamati. Bisogna agire sulle modalità di emissione dell’euro e modificare la filosofia che guida l’approccio produttivo mondiale. La globalizzazione e il mercato vanno disciplinati in modo da essere attenti ai bisogni dell’uomo, senza essere guidati dall’egoismo, dall’invidia e dal profitto. Se i responsabili che occupano i posti decisionali non cambiano il loro modo di pensare e di agire, dobbiamo proteggerci dagli effetti negativi della loro azione e da quelli dell’emissione dell’euro come moneta prestata, arrivando a sostituire l’euro con uno strumento alternativo.