La politica finanziaria dell’Italia in crescita zero sarà difficilmente messa in rotta stabile dal Def: tanto più che chi è chiamato a redigerlo – il ministro dell’Economia Giovanni Tria – è oggetto di attacchi quotidiani da parte delle stesse forze della maggioranza giallo-verde. Ma i mesi più complicati saranno – come d’abitudine – quelli autunnali: sempre ammesso che l’estate non riservi sorprese sui mercati come quella di otto anni fa. Tuttavia gli sviluppi di Brexit e soprattutto la delicata fase di rimpasto degli organigrammi Ue a valle delle elezioni europee di fine maggio sembrano escludere – almeno in teoria – che l’Italia si ritrovi nell’occhio del ciclone come nel luglio-agosto 2011 (l’aggravarsi della crisi libica rimanda in ogni caso a un precedente inquietante).
Non è comunque sorprendente che nel dibattito pubblico riemergano alcuni temi economici di fondo. Il neo-segretario della Cgil Maurizio Landini ha rispolverato una parola apparentemente tabù: “imposizione patrimoniale”. Il punto di partenza della sua analisi è prevalentemente politico-sociale, ma non privo di consequenzialità economico-finanziaria. Per Landini il nodo profondo e sintetico della crisi italiana è la crescente diseguaglianza socio-economica: comune del resto a tutti i paesi sulle due sponde dell’Atlantico settentrionale. L’obiettivo della redistribuzione della ricchezza attraverso forme di prelievo fiscale straordinario – di “contributo d’equità” chiesto ai cittadini più agiati – appare dunque al leader Cgil la via maestra per rilanciare subito la coesione sociale e la domanda interna attraverso il sostegno dei redditi più bassi. Ma ciò evidentemente, seguirebbe un percorso diametralmente opposto al reddito di cittadinanza targato M5S, finanziato in deficit sul bilancio pubblico.
Sotto questo profilo Landini mostra una consapevolezza di principio dei parametri Ue, oltreché della lezione giunta nelle ultime settimane dalla Francia di Macron: dove l’aumento del prezzo dei carburanti tradizionali unito alla detassazione delle grandi ricchezze ha scatenato i gilets jaunes. Senza naturalmente dimenticare gli Usa: dove la lunga campagna delle presidenziali 2020 vede già i pre-candidati democratici puntare su un giro di vite fiscale contro gli iper.-profitti di Wall Street e Big Tech e grandi ricchezze.
Un leader molto diverso da Landini – un banchiere come il Ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina – alla vigilia di una visita a papa Francesco ha invece affrontato la crisi italiana da un altro lato: l’insostenibilità del debito pubblico, spada di Damocle costante per spread e rating e zavorra di ogni tentativo del governo di Roma di ottenere flessibilità finanziaria dalla Ue. Per Messina – che riecheggia le posizioni del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e del presidente Bce Mario Draghi – la priorità è dunque tagliare il debito, riconsolidando in via accelerata la credibilità italiana presso i mercati finanziari e la Commissione di Bruxelles, ridando stabilità al sistema bancario e quindi creando le condizioni per eventuali politiche di stimolo, concertate nella nuova governance dell’euro.
Se la premessa analitica è classica, Messina non indica tuttavia la patrimoniale o le privatizzazioni come soluzioni strumentali: suggerisce invece di utilizzare il risparmio privato, che rimane una grande ricchezza-Paese. Andrebbe quindi rafforzato e reso strutturale il format dei Pir, i piani individuali di risparmio partiti un po’ in sordina nel tentativo di convogliare il risparmio delle famiglie verso il finanziamento di mercato delle imprese italiane. In estrema sintesi: i Pir potrebbero “catturare” sul mercato il risparmio ormai poco attratto dai Btp e attirarlo su cartolarizzazioni dei beni pubblici o altre forme di impiego utile a sostituire debito pubblico tout court, tagliandolo dalla contabilità Ue. Comunque: i “ricchi” non verrebbero espropriati per via fiscale delle loro risorse a diretto beneficio dei “poveri”, ma verrebbe esercitata verso di loro una suasion forte a mettere a disposizione le loro ricchezze in specifici investimenti-Paese tecnicamente strutturati. Il ruolo del sistema bancario – e del polo Poste-Cdp – sarebbe centrale ed essenziale.
È evidente, in ogni caso, che il sindacalista e il banchiere non condividono la priorità politico-economica, né la scelta macro-strumentale: È altrettanto vero che i due “piani” potrebbero teoricamente coesistere. così come anche essere cortocircuitati: con la patrimoniale utilizzata per dare un segnale esterno ed essenzialmente tecnocratico sul taglia-debito, non per attivare uno stimolo economico interno con forti connotati politico-sociali.