Un disegno sussidiario per l’Università
In un editoriale del Sussidiario (in versione cartacea) del dicembre 2006 il prof. Giorgio Vittadini auspicava l’avvio di un processo realistico e graduale di riforma del sistema universitario, ispirato a un principio di concorrenza virtuosa tra atenei e docenti. Sogni di un riformista?
I problemi che affliggono il mondo universitario sono molti e complessi. Mettervi mano è un’impresa coraggiosa, ma è l’unica cosa sensata da fare adesso. Spesso, in epoca recente, il legislatore è intervenuto invece in modo frammentario e contraddittorio, quasi mai nella logica di un disegno razionale. L’ultimo esempio di tale modo di procedere è costituito dall’art. 16 del d.l. 112, concernente la trasformazione delle università in fondazioni.
Autonomia vuol dire organizzazione
Proprio quello dei profili organizzativi, invece, è un tema centrale, che non può essere affrontato in modo sbrigativo e parziale, come ho già detto in un precedente articolo. Dall’organizzazione degli enti, infatti, dipende in larga misura la possibilità di realizzare quella autonomia che la Costituzione garantisce alle università, ma che, nei fatti, è sempre stata ostaggio vuoi del centralismo statale (dei governi di sinistra e di destra) vuoi del conservatorismo della stessa accademia, preoccupata di difendere le proprie rendite. Occorre dunque avviare una seria riflessione circa l’utilità della forma “fondazione” rispetto agli scopi che, attraverso il sistema universitario, si intendono perseguire.
Un buon punto di partenza può essere costituito da due proposte di legge (la n. 6327 e la n. 6338), presentate alla Camera nel corso della XIV legislatura. Tali progetti di legge prevedevano di conferire delega al Governo per l’ampliamento e la diversificazione dell’offerta formativa del sistema universitario con specifico riguardo alle forme di organizzazione degli atenei e ai sistemi di valutazione dei risultati della ricerca e della didattica. Le due proposte, peraltro, erano strettamente connesse, in un disegno di ristrutturazione complessivo finalizzato al raggiungimento di una effettiva autonomia organizzativa, scientifica e didattica degli atenei, nonché alla promozione di forme di autofinanziamento.
Per raggiungere questi obiettivi la proposta di legge n. 6338, a firma dell’On. Nicola Rossi, prevedeva la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Il decreto delegato avrebbe dovuto specificare poi la disciplina delle procedure deliberative di trasformazione, nel rispetto delle regole statutarie vigenti negli atenei.
Le caratteristiche di un’università fondazione
Gli atenei trasformati in fondazioni avrebbero potuto iscrivere nel fondo di dotazione iniziale i beni già di proprietà dell’università ed avrebbero potuto godere della più completa autonomia finanziaria, gestionale, didattica e scientifica. Le fondazioni, inoltre, sarebbero state libere di assumere personale (docente e non docente) con contratti di diritto privato; di organizzare l’intera struttura della didattica con i soli vincoli del rispetto del diritto comunitario e del conseguimento di un regime di mutuo riconoscimento dei titoli di studio con altri Stati dell’Unione europea (il che avrebbe costituito, di fatto e senza tanto rumore, il primo passo per l’abolizione del valore legale del titolo di studio); di stabilire le norme per l’ammissione degli studenti e l’entità delle tasse di frequenza; di provvedere in piena autonomia ai servizi connessi (mense e alloggi); di acquisire risorse da destinare esclusivamente agli scopi statutari della fondazione universitaria.
Un altro modo di concepire i finanziamenti
Contestualmente il progetto di legge prevedeva di istituire nel bilancio statale un apposito fondo (Fondo per le università autonome) di ammontare pari almeno alla somma dei trasferimenti già in essere verso le università che avessero optato per la trasformazione in fondazione, incrementato del 10%.
Il fondo veniva poi ripartito in due capitoli. Il primo destinato a finanziare la ricerca dei singoli dipartimenti universitari sulla base di un processo di valutazione operato da un’apposita Autorità amministrativa indipendente (di cui al progetto di legge n. 6327). Il secondo, destinato alla didattica, avrebbe invece dato luogo al finanziamento di un programma di borse di studio, comprensive del pagamento della tassa di frequenza, riservate agli studenti delle università-fondazioni, capaci e meritevoli, ma non in grado di affrontare la spesa.
Dallo statalismo alla sussidiarietà
Non è detto che quella delineata dal progetto di legge Rossi sia senz’altro la migliore tra le soluzioni possibili. Si tratta tuttavia di una proposta interessante, che ha diversi effetti positivi. In primo luogo perché prefigura un sistema concorrenziale, volto a ridurre la sfera pubblica non solo a valle (attraverso la trasformazione delle università in fondazioni), ma anche a monte (distinguendo la funzione dello stato finanziatore dal ruolo di valutatore, attribuito all’Autorità indipendente).
Il sistema si configura inoltre come sistema misto in cui possono convivere università tradizionali, che non intendono accollarsi i rischi dell’autonomia, e università-fondazioni, che accettano di competere in campo aperto. Lo stato, da parte sua, darebbe vita ad un circolo virtuoso in cui i migliori dipartimenti, (sottolineiamo “dipartimenti” non “atenei”), valutati da un soggetto terzo, sono premiati in termini di maggiori finanziamenti per la ricerca.
Si tratta infine di un sistema sussidiario, che riconosce agli studenti la libertà di scegliere dove andare a studiare, senza il condizionamento derivante dalla capacità economica delle famiglie. In questo senso, peraltro, già il Prof. Pietro Ichino, sempre sul Sussidiario, così si era espresso: «Lo stato smetta di finanziare direttamente gli atenei e invece dia ad ogni diciottenne l’80% del costo standard per l’iscrizione ad una facoltà universitaria liberamente scelta a suo rischio».
Sogni di riformisti? Questo Governo ha tutte le carte in regola per poter avviare un processo riformatore. Ne avrà la volontà?