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Home » Educazione » Riforme scolastiche » Scuola: bene il rigore sui tagli al personale, purché si avviino le riforme

  • Riforme scolastiche
  • Educazione

Scuola: bene il rigore sui tagli al personale, purché si avviino le riforme

Giovanni Cominelli
Pubblicato 20 Giugno 2008
scuola-pubblica_FA1

La parte più innovatrice del corpo docente, quella più generosa e disponibile al cambiamento, può accettare i tagli solo se si fanno riforme, che rendano il lavoro più efficace e più riconosciuto sul piano sociale ed economico 

Le cifre non sono ancora né precise, né definitive, ma la linea di tendenza è segnata. La manovra triennale 2009-11 prevista dal governo riduce entro il 31 dicembre 2011 il personale ATA (amministrativo, tecnico e ausiliario) del 17%, 42.000 unità su poco meno di 250.000; alla stessa data i docenti caleranno di 67.000, cui aggiungere altri 20.000 già decisi dal governo Prodi: circa il 10% del corpo insegnante.
Tuttavia, poiché non è pensabile far saltare le cattedre ad anno scolastico già iniziato, i tagli si concentrano dall’autunno 2009 all’autunno 2011: due anni, non tre! Da anni Documenti ministeriali, Quaderni bianchi, saggi, articoli e convegni denunciano la sproporzione tra l’investimento in istruzione – che ci pone, a seconda dei parametri adottati, tra il 4° e il 6° posto al mondo nella graduatoria della maggior spesa – e i risultati, che impietosamente si devono registrare.


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La causa del dissesto è nota: una politica di assunzione del personale, che ha portato a un rapporto tra insegnante e alunni di 1 a 10. Tornare a una spesa sostenibile finanziariamente e efficace sul piano educativo è un imperativo categorico. Solo diminuendo il personale in eccesso sarà possibile pagare di più e qualificare meglio il personale necessario. Va detto, per completezza di discorso, che il rigore era già stata avviato da Luigi Berlinguer con il piano di razionalizzazione nella seconda metà degli anni ’90 e continuato, con accelerazioni e frenate, dai ministri successivi.

La ragione è arcinota: a partire dagli anni ’70 sono stati immessi migliaia di insegnanti in proporzione all’aumento degli alunni. Ma dal 1981 al 2001 gli alunni sono diminuiti di circa un paio di milioni, gli insegnanti invece hanno continuato ad aumentare.
Il Ministero ha fatto politica del rimedio alla disoccupazione intellettuale in circolo vizioso con le Università, che la generano. Non è necessario consultare la Sibilla cumana per prevedere che le resistenze dei sindacati saranno fortissime. Sono due le tentazioni possibili per il Ministro. La prima: tentare di diminuire l’entità dei tagli e di diluirli su un arco più lungo di tempo. Rispetto al programma della Moratti del 2005, che ipotizzava “il rientro” in un decennio, le scelte di Fioroni hanno finito per allontanare dal Ministero l’amaro calice, che ora tocca al successore in tempi brevissimi.


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Più pericolosa sarebbe una seconda tentazione: quella di separare ancora una volta il rigore dall’innovazione, il tempo della quantità diminuita e quello della qualità in aumento. È solo di apparente buon senso il ragionamento per il quale non si può far ingoiare due pillole amare in un colpo solo. In realtà, la parte più innovatrice del corpo docente, quella più generosa e disponibile al cambiamento, può accettare i tagli solo se si fanno riforme, che rendano il lavoro più efficace e più riconosciuto sul piano sociale ed economico. Per la parte innovatrice degli insegnanti rigore e riforme sono due facce della stessa medaglia. Ma la minoranza sindacalizzata, che non vuole né l’uno né le altre, punterà ad innescare un “autunno caldo”.

Vero è che in democrazia i ministri hanno bisogno del consenso non solo quando vengono eletti, ma anche nel prosieguo dell’azione. I sondaggi, le manifestazioni di piazza, gli articoli di giornale sono una specie di referendum quotidiano. Ma qui si vedrà la qualità della classe politica: se penserà al bene comune del Paese sul medio-lungo periodo o al consenso da raccogliere nell’immediato. Occorre tuttavia osservare che “il pensiero lungo” sarà facilitato dal fatto che il consenso al centrodestra da parte degli insegnanti è sempre stato storicamente molto basso. Nessuna rinuncia al rigore e alle riforme porterebbe consenso massiccio al governo. Molto, viceversa, ne toglierebbe da parte dei genitori, dei cittadini, del Paese che soffre l’emergenza educativa.


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